04 febbraio 2018

V DOMENICA T.O. - Anno B -


Gb 7,1-4.6-7                1Cor 9,16-19.22-23       Mc 1,29-39             

OMELIA

Entrare nella personalità di Gesù s'incarna nel crescere ogni giorno nella speranza, nel gusto della vita. L'incontro con il Maestro rappresenta il criterio di uno stile di vita e il principio di una costante novità, soprattutto alla luce del pessimismo che abbiamo ascoltato nel testo di Giobbe.

L'uomo, al mattino della sua esistenza, facilmente è catturato dalle oscurità, dalle difficoltà, dalle complessità della vita e di fronte a questa dinamica esistenziale la risposta che Gesù ci dà è l'itinerario della sua giornata. Infatti, se guardiamo attentamente il testo evangelico, esso è una sintesi della giornata di Gesù il quale entra nella storia degli uomini per annunciare il Vangelo. È quella passione di cui ci ha parlato Paolo: la bellezza di comunicare agli uomini la speranza annunciando il Vangelo. Il cristiano perciò davanti agli interrogativi della vita ha una forte sete che Dio gli parli e gli regali quell'annuncio evangelico che gli dà la forza della vita.

L'interrogativo che nasce è quello di comprendere cosa voglia dire annunciare il Vangelo.

Se entriamo nella profondità del testo scritturistico ci accorgiamo di alcune sottolineature che diventano redenzione davanti al buio e al vuoto del quotidiano. Siamo chiamati a comprendere cosa significhi annunciare il Vangelo: è comunicare la novità della presenza di Dio. Il Vangelo è una persona, una persona che si accosta all'uomo, all' uomo con tutti i suoi timori, i suoi interrogativi regalandogli il senso della vita. Tante stanchezze nascono nel cuore dell'uomo perché davanti al vissuto non riesce a trovarne il significato. L'uomo vive, ma perché vive?

Annunciare il Vangelo è dire all'umanità che nel mistero del Maestro divino c'è il senso stesso della vita. Annunciare è regalare una novità di Dio che genera nell'uomo la libertà del cuore.

L'uomo infatti non riesce a gustare la bellezza e la profondità della vita perché è troppo incapsulato e schiacciato dai suoi interrogativi e non riesce ad entrare nella libertà del cuore.

L'esultanza d' annunciare il Vangelo si ritraduce nel seminare quella speranza che diventa interiormente il coraggio dell'istante.

La bellezza del Vangelo non è sapere tante cose, ma riacquisire giorno per giorno cosa significhi sostanzialmente vivere. E’ diventare quelle creature nuove alle quali il Signore regala tutto se stesso.

Se volessimo entrare in profondità, la gioia d'annunciare il Vangelo si ritraduce nel vivere la stessa gestualità di Gesù, che si pone accanto all'uomo con tutta la tragicità della sua esistenza e lo rigenera a vita nuova; è quella meravigliosa sintesi tra la parola, annuncio e gesto che rifà e ricrea l'uomo. Ecco perciò un primo aspetto che cogliamo questa mattina dalla parola del Signore davanti agli interrogativi, tante volte pesanti per l'esistenza. Forse l'uomo nella sua superficialità non si pone questi interrogativi, ma quando ci si confronta seriamente con il reale noi entriamo in una grande nebbia esistenziale e l'unica soluzione è accogliere Gesù, la sua parola, il suo mistero. La bellezza di essere cristiani è condividere la sua presenza incarnando nel quotidiano la gestualità stessa di Gesù.

Ma qual era l'anima che permetteva a Gesù di regalare continuamente coraggio e speranza gli uomini? L'evangelista Marco ci fa percepire lo stile interiore di Gesù nella narrazione che abbiamo ascoltato. È molto bello percepire come l'evangelista se, da una parte, ci dà la fenomenologia della sua esperienza di evangelizzazione, e afferma che il Signore in mezzo agli uomini è la novità che dà speranza, dall'altra l'evangelista sottolinea dove egli attingesse questa esuberanza evangelica. La sua esistenza era la comunicazione sacramentale della novità del mondo. E' quello spaccato della vita di Gesù di cui ci ha parlato Marco questa mattina: “al mattino presto si alzò quando era buio e uscito si ritirò in un luogo deserto e là pregava”. In questo testo scopriamo tre atteggiamenti che chiunque voglia annunciare il Vangelo deve continuamente acquisire per poter veramente regalare all'uomo la speranza, per poter avere l'entusiasmo di Paolo che “si fa tutto a tutti pur di conquistare qualcuno”.

Innanzitutto gustiamo in quella esperienza di dialogo con il  Padre il senso del silenzio. Ogni parola è feconda quando esce dal silenzio del cuore. E’ Gesù in ascolto del Padre.

In questo noi veramente ogni giorno siamo chiamati ad essere alunni di Gesù, Gesù è speranza per gli uomini perché egli è sempre in dialogo con il Padre e il Padre era il suo grande maestro.

Che cosa gli ha permesso davanti ad una giornata di successo di andare da un'altra parte?

Quella libertà interiore che è superiore alle realtà contingenti, da dove è scaturita se non dal silenzio della solitudine con il Padre? In tale contesto il silenzio diventa solitudine, solitudine comunionale dove Gesù porta davanti al Padre la povertà nella storia degli uomini. Un simile atteggiamento non era un silenzio vuoto. In quel deserto mattutino e oscuro Gesù porta, nella sua solitudine, al Padre l'intera umanità. Il suo non è un dialogo solipsista, nel suo mistero di comunione con il Padre ci troviamo di fronte ad un dialogo dell'umanità che sta cercando una soluzione ai suoi interrogativi. In quella solitudine il Padre che gli da il vero Vangelo, la speranza da disseminare nel cuore dell'uomo, la bellezza e la fecondità della vita che diventa libertà.

L'uomo davanti alla narrazione evangelica di questa mattina può avere delle perplessità: perché andare da un'altra parte quando quella giornata era così densa di successo apostolico?

L'uomo contemporaneo non ha la libertà del cuore perché la sua vita è determinata dagli effetti, la sua vita è condizionata dalle situazioni storiche, Gesù in quel silenzio di solitudine comunionale veniva educato alla libertà. L'oggi del Padre era il criterio della sua esistenza.

L'uomo di oggi non ha tutta l'esuberanza di Paolo, come abbiamo ascoltato, perché è troppo incastrato nelle situazioni esistenziali delle paure che tante volte lo qualificano negli itinerari evangelici. Chi entra come Gesù in quella solitudine comunionale del silenzio ritrova la libertà.

Noi siamo chiamati nell'annunciare il Vangelo a incarnare l'interiorità di Gesù che sono i gesti del nostro quotidiano che devono sempre generare speranza, comunione, fraternità.

Se tante volte risentiamo nella cultura odierna il grido di Giobbe dobbiamo riscoprire l'entusiasmo di Paolo imitando quel Gesù che dà speranza in una libertà del cuore costruita nella solitudine di comunione e nel silenzio di accoglienza del dono del Vangelo che ci fa il Padre. Se noi riuscissimo a entrare in questa sensibilità, la nostra vita sarebbe ben diversa, ci sarebbe sicuramente un tormento, ma emergerebbe anche la luce, e il Vangelo diverrebbe nella nostra esistenza una speranza continua perché ci sentiremmo creature nuove che regalano la gioia di vivere.

Se l'uomo si pone l'interrogativo "perché vivere", il Vangelo entra nella nostra storia e ci regala la luce che vince le tenebre.

Ora la bellezza di ritrovarci questa mattina nell'eucaristia è rivivere la stessa gestualità di Gesù. È Gesù che chiamandoci all'eucaristia pone il gesto di essere in mezzo a noi, di regalarci la sua parola e introdurci nel miracolo per eccellenza: la sua presenza eucaristica. E allora il senso della vita viene riscoperto, rigenerato e la bellezza di uscire dalla chiesa questa mattina è cantare la libertà del cuore per dire Gesù, unico Vangelo, unica speranza, unica luce dell'uomo in ricerca.

Viviamo con la forza dello Spirito quello che la parola di Dio questa mattina potrebbe averci regalato per essere persone che, pur nel tormento, sono nella speranza perché  nel nostro cuore, il Vangelo è accolto, condiviso e annunciato per la speranza di tutti fratelli.








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