17 aprile 2016

IV DOMENICA DI PASQUA - Anno C -

At 13,14.43-52                  Ap 7,9.14-17                      Gv 10,27-30
OMELIA
La presenza del Risorto nel cammino della Chiesa è uno stimolo continuo per poter entrare in un'attrazione che si ritraduce nell’ intenso desiderio di voler vedere il Signore. Tale verità sarà piena e completa solo quando, come abbiamo sentito dal  libro dell'Apocalisse  saremo definitivamente rivestiti di quelle vesti candide che ci doneranno la luminosità stessa di Dio.

Tutta la vita è una attrazione verso questo momento culminante della nostra storia quando, introdotti nella luminosità trasfigurante di Dio, per sempre potremo gustare la presenza del Maestro in una gioia che non ha nessun confine. Il Signore è in mezzo a noi per farsi desiderare in questo meraviglioso fascino di gloria. Di fronte a questa grande meta Gesù, questa mattina, attraverso il testo evangelico ascoltato ci aiuta a cogliere il nucleo perché questa luminosità possa veramente entrare nella nostra esistenza.

Innanzitutto i tre verbi con i quali Gesù definisce le sue pecore: ascoltano la mia voce, io le conosco ed esse mi seguono. Tre caratteristiche che il discepolo è chiamato ad assumere per poter crescere in questa grandezza verso la quale è orientato.

"Ascoltano la mia voce".

Se entriamo nel profondo di questa espressione ascoltare la voce è - nella scuola Giovannea - qualcosa di molto più profondo. Non è semplicemente ascoltare la voce, ma è vedere la voce. Un'espressione questa che nel nostro linguaggio può sembrare abbastanza paradossale! Entriamo nel libro dell'Apocalisse e scopriamo che la bellezza della vita del discepolo è vedere la voce. Infatti, quando uno è profondamente immerso nella dimensione relazionale con una persona e, questa persona è diventata il senso portante della vita e in questa persona ritrova veramente se stesso, il discepolo non ascolta una voce, ma vede l'altro che gli parla. Quella voce è una risonanza simbolica di un rapporto interiore interpersonale. L'uomo ascolta tante cose, ma nel fascino profondo dell'amore vede chi sta parlando. In certo qual modo quella voce è il linguaggio dell'incontro di due persone.

Il discepolo non può fare a meno del Maestro; il fascino del Maestro è la capacità interpretativa delle parole. Se entriamo nel profondo, non solo ascoltiamo le parole, ma cerchiamo di interpretarle, di capirle e noi riusciamo a capire e interpretare le parole se conosciamo colui che ci sta parlando.

La bellezza del discepolo è Gesù: nella nostra vita noi ascoltiamo la sua voce mentre contempliamo la sua persona.

Il Vangelo entra nella nostra esistenza solo se accogliamo il divin Maestro. Se non accogliamo il divin Maestro, il divin Maestro non diviene il senso portante della vita, quelle parole non dicono nulla.

Tante persone dicono: ho letto il Vangelo e non mi ha detto nulla.

Il Vangelo è una lettera di Dio innamorato dell'uomo che vuol parlare all'uomo; se manca questo principio fondamentale che è l'essere innamorati di Gesù, il Vangelo non dice niente. È un libro! Con tutta la sacralità che questo libro ha, ma è un libro.

La bellezza dell'entrare nel mistero di Dio è vedere questa voce: le orecchie risuonano di alcuni suoni, ma il cuore contempla una persona e, in questa persona, ritrova veramente se stesso. Ecco perché Gesù ha usato il secondo verbo "Io li conosco", perché attraverso questo ascolto scaturisce una intimità interpersonale.

Conoscere - nel Vangelo di Giovanni - è l'intimità assunta, conoscere per Giovanni è una trasfigurazione che permea tutto in tutto il nostro sensitivo, conoscere è una trasfigurazione in atto: "io non conosco delle parole, mi lascio trasfigurare da una persona".

Allora intuiamo il meraviglioso mistero che si costruisce nella nostra esistenza attraverso quel semplice ascoltare la voce.

Il risultato è "Mi seguono": è vivere una tensione, passare dalla visione dell'udire la voce a vedere, faccia a faccia, la voce, in una gloria che non ha confini. Il cristiano è un pellegrino nel tempo, innamorato di un Signore che desidera vedere presto faccia a faccia.

Davanti a questo grande disegno che il discepolo dovrebbe continuamente alimentare nella propria storia cadiamo in questa possibile difficoltà: Signore, è possibile?

Il discepolo quando è davanti a grandi ideali ha sempre il dubbio metodico: è possibile?

L'evangelista Giovanni ha intuito questa difficoltà utilizzando l'immagine delle mani. È molto bello come Gesù abbia detto: "Nessuno le strapperà dalla mia mano"… cosa vuol dire "mano"?

La bellezza di Giovanni è che il suo linguaggio è estremamente simbolico e ci permette di cogliere, in profondo, il  senso della verità.

Cosa è la mano?

La mano è il calore di un cuore, è il calore di una intimità che si regala all'altro, la mano è il calore del cuore.

È molto bello riandare a un bel testo del profeta Isaia che nel Libro della Consolazioni ha un'immagine molto stimolante. Dio parlando al profeta dice: "Voi, mio popolo, siete disegnati sulla mia mano".

La mano di Dio ha il disegno di ciascuno di noi.

Usando il linguaggio del Cantico dei Cantici è il tatuaggio d'amore di Dio.

La creatura è nelle mani di Dio, la creatura gusta continuamente il calore di Dio. Quando uno è nelle mani e il cui calore avverte fino in fondo non è più solo. Le dinamiche dell'intelligenza generano paure, la mano dà sicurezza.

Come il bambino che impara a camminare ha bisogno della mano della mamma così il cristiano è nella mano di Dio.

È una verità questa che, tante volte, non riusciamo a cogliere perché non abbiamo l'umanità di Gesù. Se amassimo l'umanità di Gesù ci accorgeremmo che sacramentalmente siamo nella sua mano, ci dà il suo calore, ci dà la sua forza, ci dà la sua sicurezza e ci dice che tutto è possibile. In questo ci accorgiamo come la visione che continuamente alimenta il nostro spirito per vedere la gloria di Dio si costruisce in un cuore che, affascinato da una persona, si lascia prendere per mano da questa persona sapendo che quella mano da noi non si stacca più.

Quando la nostra mano è nella mano di Dio abbiamo la certezza di giungere ai pascoli eterni del regno, a quella meravigliosa visione dell'Apocalisse che abbiamo ascoltato, dove non ci sarà più lacrime, non ci sarà più il dolore, ma il pastore, Cristo Gesù, ci guiderà a quei pascoli eterni che è la visione eterna del paradiso.

Illuminiamoci con questa verità in modo che se la nostra esistenza è ricca di tante tribolazioni, tuttavia, nelle mani dell'Ineffabile gustiamo già, fin da adesso, la luminosità dell'eterno.

È l'eucaristia che stiamo celebrando, dove stiamo vedendo il Signore con il cuore e il Signore ci parla dicendo: "prendete e mangiate questo mio corpo offerto per voi, prendete e bevete questo è il sangue versato per voi" e il Signore, nel momento in cui entrerà in noi, ci trasfigurerà e ci dirà: se io sono in te, se io sono l'anima della tua anima, di cosa hai paura?

Vivendo così l'eucaristia sentiamoci profondamente rinnovati per camminare in una speranza che ha il sapore di eternità perché la bellezza della vita è desiderare quel desiderio meraviglioso: il Signore visto faccia a faccia.
 
 
 
 
-

Nessun commento:

Posta un commento