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16 DICEMBRE 2019
LECTIO DIVINA ALLA COMUNITA’
CRISTIANA DI SAN PIO X A BERGAMOLa condivisione della fedeltà divina: la visitazione
L’incontro
della scorsa settimana ci ha introdotto nella personalità di Maria, che rivela
il mistero di Dio, nel versetto con il quale si conclude l’annunciazione: - “Ecco la
serva del Signore, avvenga di me secondo la tua parola”. E l'angelo partì da lei.
- Riprendiamo quel dialogo
finale che esprime la grandezza di Maria.
Innanzitutto,
“Ecco”,
“Eccomi”,
la parola chiave di tutta la storia della salvezza con la quale Maria anticipa
nella sua vita l’«Eccomi» di Gesù.
Ricordiamo sempre il capitolo decimo della Lettera agli Ebrei, che cita
Il salmo 39: “Sacrificio
e offerta non hai voluto, ecco io vengo Signore per fare la tua
volontà”. Maria ha anticipato l’«Eccomi» di Gesù, come abbiamo intuito
nell'orazione del giorno dell'Immacolata, perché il dono di Maria Immacolata
nasce dalla Pasqua del Figlio: in previsione della sua morte fu liberata da
ogni peccato. Maria è “Eccomi”, perché l’uomo, nel progetto di Dio, è “Eccomi”.
È una verità fondamentale nel cammino della storia dell’umanità.
Servire
Perché
“Eccomi, sono
la serva del Signore”? Quando leggiamo il Vangelo di Luca e
sentiamo la parola “servo”, occorre tradurre “colui che ascolta”. Noi con il
termine “servire” intendiamo dire “fare tante cose”, mentre il servizio secondo
Luca è ascoltare: “Eccomi, sono l'ascolto del tuo mistero!”. La beatitudine
della Madonna è stata infatti: “Beata colei che ascolta la parola di Dio e la
mette in pratica”. Il vero servizio è ascoltare, io ascolto perché sono
proprietà di Dio.
Obbedire non è fare, il senso vero dell’obbedire
è la gratitudine alla fonte della propria identità. Il quarto comandamento
prescrive di obbedire ai genitori, perché l’obbedienza è l'espressione della
gratitudine per il dono della vita. “Eccomi” perciò manifesta la vera vita
interiore: sono tutto di Dio, sono tutto capolavoro di Dio, quindi ascolto,
nasce in me la gratitudine ed “Eccomi”. La conclusione del Vangelo
dell'annunciazione ritraduce la vera armonia che con Maria entra nella storia:
“Eccomi”.
Partendo
questa visione, ci accorgiamo che Maria vive in se stessa il mistero di Gesù.
Lo osserviamo attraverso una sfaccettatura molto interessante. Qualche volta
pensiamo che nell'annunciazione Maria abbia detto “Ecco” è il Verbo si
sia incarnato Se entriamo in profondità, invece, tutta la vita di Maria è stata
“Eccomi”,
secondo un principio molto semplice: un genitore partorisce giorno per giorno i
propri figli. Davanti alle vicende di suo Figlio, Maria ha sempre detto “Eccomi”,
a partire dall’annuncio dell’angelo e per tutto il percorso successivo.
Ricordiamo,
a conclusione dei Vangeli dell'infanzia, l'episodio di Gesù, che a dodici anni
si perde. Maria e Giuseppe finalmente lo trovano nel tempio: - “Figlio, perché
ci hai fatto questo? Tuo padre ed io dolenti ti cercavamo”. “Perché mi cercavate?
Non sapevate che io devo fare le cose che piacciono al Padre mio?” Essi non
compresero. Maria meditava intensamente nel suo cuore…”
-. Meditare è partorire continuamente. “E il bambino scese con loro a Nazareth ed era loro sottomesso. Il
bambino cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini”.
Maria è la donna che obbedisce continuamente a Dio e alla storia del Figlio. La
sua bellezza è il suo silenzio davanti al mistero del Figlio. Ecco perché io
dico che quando una donna concepisce un figlio, in quel momento incomincia a
adorarlo, domandandosi quale sia il mistero che è in quel dono la Trinità le
dà. Idealmente ogni mamma è in ginocchio davanti al figlio, perché, in
silenzio, vuol percepire la profondità del dono di Dio. La conclusione del
Vangelo dell'annunciazione ha una rifrazione molto interessante per noi.
Dicevamo la volta scorsa che il testo ha tre piani di lettura: Maria, la Chiesa
e il cristiano. Questo ci dice che la vita è tutta ascolto. Cito sempre il
profeta Isaia: “Fin
dal mattino rende attento il mio orecchio, perché io ascolti come un iniziato”.
Davanti
a questo mistero, metteremo a tema l’atteggiamento di Maria.
Luca 1, 39-46
In quei giorni Maria si alzò e
andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella
casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di
Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito
Santo ed esclamò a gran voce: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto
del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco,
appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di
gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che
il Signore le ha detto”.
Allora Maria disse: “L'anima mia
magnifica il Signore...”.
In fretta
Una
prima osservazione è necessaria davanti a questo mistero: Maria va “in fretta”.
Qualche volta mi sono chiesto come mai, dopo quel grande evento, sia andata in
fretta verso la Giudea. Nella nostra struttura esistenziale, ci saremmo
soffermati un momento, avremmo riflettuto sul mistero che Dio ci aveva regalato
e avremmo detto: “Grazie Signore, mi hai fatto un capolavoro!” No, Maria in
fretta va, secondo me per un principio: i doni di Dio si conoscono regalandoli,
quando si entra a contatto con la storia, con la fraternità, con la vita di
comunione. Quell’ “in fretta” significa che Maria è depositaria di un
dono che è per gli altri. L'incontro dell’annunciazione avviene in Galilea, in
fretta poi Maria va in Giudea.
Che
cos'è la Giudea? Gerusalemme. In certo qual modo Maria, che è la fedeltà di Dio,
va a chi attende la fedeltà di Dio, Elisabetta. Dicevamo l'altra volta come
l'annunciazione sia la presentazione del volto di Gesù a Israele, che lo sta
aspettando, e che, per natura sua, è Gerusalemme. Maria quindi va a
Gerusalemme, per dire a Israele: “Dio è fedele”. Il desiderio più profondo
all'interno della storia di Maria è dire a Israele: “Attraverso la mia persona,
attraverso il mistero nel quale sono stata introdotta, ecco la fedeltà di Dio
si realizza!” È qualcosa di molto bello: regalare il mistero! La visitazione è
condividere il mistero.
Spesse
volte, in una lettura popolare, “in fretta” è stato interpretato come “andiamo a dare
un aiuto a Elisabetta che, essendo avanti negli anni, ha bisogno di
assistenza”. In questo modo applichiamo la nostra mentalità ad una realtà di
2000 anni fa, completamente diversa da come potremmo immaginare, perché i
legami all’interno del clan, del gruppo di appartenenza, erano molto forti, non
c'era il solipsismo della cultura contemporanea. “In fretta” non è
pertanto da intendersi come risposta a un bisogno. Lo si capisce chiaramente
dal particolare con il quale si conclude il Magnificat: “Maria rimase
con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua”. Praticamente 6 mesi
+ 3 mesi: nel momento in cui Elisabetta dà alla luce il bambino, Maria torna a
casa?
Il canto
Il
senso è un altro, ed è molto bello. Che cosa ha cantato Maria nel Magnificat? A
livello letterario il Magnificat è come il Cantico del mare, al capitolo 15
dell’Esodo. Passato il Mar Rosso, Mosè canta il Cantico del mare. Al termine
del passaggio dalla Galilea alla Giudea, Maria canta il Magnificat. È il canto
della libertà. È la bellezza di condividere le meraviglie di Dio. Questo
atteggiamento va applicato anche alla nostra esistenza: le meraviglie che Dio
ci offre continuamente devono esplodere, regalarsi. Faccio un esempio molto
semplice: a Pentecoste i 120 escono dal Cenacolo, cantando le meraviglie di
Dio.
Non avete mai pensato che cos'è il sagrato di
una chiesa? Quando si esce dalla chiesa, sul sagrato si cantano le meraviglie
di Dio. Come entrando in chiesa, nel silenzio, ci si accosta al mistero, così
alla fine si esce, cantando Il mistero. Le persone che ci vedono uscire dalla
celebrazione dovrebbero domandarsi che cosa sia accaduto di meraviglioso in
quel luogo, se, come la Madonna, “in fretta” proclamassimo le meraviglie del Signore. La
testimonianza, che Maria, e di riflesso la Chiesa dà, è l'esuberanza
dell’entusiasmo, l’esuberanza di una pienezza. Noi qualche volta andiamo a
incontrare il Signore soltanto per chiedergli qualche cosa, “ti do, perché tu
mi dia”. Noi andiamo invece a gustare, come Maria ed Elisabetta, la fedeltà di
Dio, per uscire cantando.
Il saluto
Ora
entriamo nel dialogo profondo tra Maria ed Elisabetta. Ci siamo accorti che
Maria non ha parlato. -Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena
Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo
grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito
Santo ed esclamò a gran voce: “Benedetta tu fra le donne!” -.
Nasce immediata la domanda: come poteva
Elisabetta fare un atto di fede così grande nei confronti di Maria? Maria non
le aveva narrato niente. È l’incontro. Entriamo allora nella ricchezza del
saluto. Che cosa significa salutare? Noi viviamo in modo molto superficiale i
linguaggi della vita. Dovremmo fermarci e interrogarci sul senso dei gesti che
poniamo. Mi riferisco ai gesti più ordinari. Cerchiamo i gesti straordinari e
perdiamo il senso dei gesti ordinari. Che cosa significa salutare, se non
regalare se stessi all'altro? Il Vangelo dice che, entrando in casa di
Zaccaria, Maria salutò Elisabetta: le regalò il suo mistero.
Vi faccio un esempio che dovremmo vivere nella
liturgia. La celebrazione eucaristica inizia con il saluto del presbitero, che,
con le mani aperte, dice: “Il Signore sia con voi”. Noi gli rispondiamo “E con
il tuo Spirito”. È il Risorto, che davanti a noi spalanca il suo mistero
d'amore. Ci lasciamo avvolgere da questo mistero di amore e diciamo: “Lo
Spirito che è in te, Gesù, è anche dentro di me. Viviamo la comunione con lo
stesso mistero.”, perché salutare è regalare la propria identità all'altro.
Qualche volta per noi il saluto è un gesto formale, abitudinario, privo del
calore di una vita che viene regalata all'altro.
Il
saluto di Maria dice invece la fedeltà di Dio, che si regala a chi sta
aspettando la salvezza, l’Antico Testamento, Elisabetta. È un incrocio tra la
gratuità che regala e una gratitudine che accoglie. Nell'incontro fra le due
mamme c'è l'incontro dei due figli, perché in essi c'è tutta la storia di Dio:
Maria- Gesù, Elisabetta- il Battista. Il Battista accoglie il saluto di Gesù e
gli risponde. Per questa ragione, nelle narrazioni evangeliche dell’avvento, la
figura del Battista è importante: esprime la persona di chi è oggetto di amore
e ci prepara a Gesù. Egli ci richiama con le sue tre caratteristiche: genera la
sete di Gesù, presenta Gesù e si ritira, perché gli uomini gustino Gesù.
L’attesa e il compimento
Elisabetta
fa un’autentica professione di fede. “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo. A
che devo che la madre del mio Signore venga a me?”. È la
professione di fede che caratterizza la bellezza di Maria e si ritraduce nel
linguaggio di Elisabetta, che è la donna dell'attesa, davanti a Maria che ne è
il compimento. Maria dà pienezza all’attendere. Ecco perché noi ci accorgiamo,
nella successione delle letture della Divina liturgia, che, chi non conosce
Giovanni, chi non diventa suo discepolo, non può diventare discepolo di Gesù.
Quando
si dice che sono cugini, si indica il legame che li unisce. Giovanni genera l’attesa, Gesù è il
compimento dell'attesa e questo secondo un principio che è nell’ordine della
storia della salvezza, ma anche della nostra struttura psicologica, per cui
l'incontro con l’altro è tanto ricco, quanto è bello nell'attesa. Quando eravamo ragazzini, per noi aspettare
Santa Lucia era dormire. Santa Lucia era una cosa improvvisa, che nessuno
sapeva. Oggi invece è contrattuale, perché i bambini sanno quello che arriverà
e non c'è più lo stupore.
Per il cristiano, la bellezza dell'attesa è
creare il terreno per accogliere la grandezza della fedeltà di Dio. Lo stupore
non è davanti a ciò che conosciamo, ma davanti a qualcosa di insperato. Noi
abbiamo pianificato tutto e abbiamo perso una delle coordinate fondamentali
dell'esistenza: lo stupore dell'attesa. È interessante rilevare che nel Vangelo
Gesù generava stupore. Gli unici a non provare stupore erano gli scribi e i
farisei, perché al cuore puro dei discepoli contrapponevano il loro cuore duro.
Ecco perché questo incontro è sicuramente un'esperienza molto bella: c'è questa
comunione- condivisione tra chi attende e chi dà compimento.
Sarebbe
interessante chiedersi che cosa stiamo attendendo in questo tempo di avvento. La
bellezza è attendendo la creatività di Dio nei confronti della persona.
Il primato dell’invisibile
Maria
regala il saluto, Elisabetta lo accoglie e diventa feconda nella professione di
fede: “Beata
colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore”. C’è
uno stretto rapporto tra “Eccomi sono la serva del Signore, si faccia di me Secondo la tua
parola” e “Beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole
del Signore”, perché il discorso della fede si costruisce
sull'accoglienza della Parola: “Così dice il Signore!”. È quello che oggi
chiamiamo il primato dell'invisibile. Tra Maria e Elisabetta si afferma il
primato dell'invisibile che le unisce e porta Elisabetta alla professione di
fede. Questo è il senso della visitazione: una condivisione di cuori, una
condivisione di attesa-compimento, una condivisione delle meraviglie di Dio. Il
risultato è: “L’anima
mia magnifica il Signore, il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore”. Nella liturgia copta, egiziana, la prima
parola con la quale si inizia la giornata è Il canto del Magnificat, perché
l’uomo, usando l'immagine del salmo, di notte attende l’alba, attende l'aurora,
attende l’incontro con il Signore risorto, per cantare la propria gratitudine:
“L’anima mia
magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore”.
Proviamo a chiederci che cosa significa “magnifica il
Signore”: è l'espressione della gioia di fronte a qualcosa di non conosciuto.
Ciò che manca alla vita del cristiano è lo stupore, la bellezza di Dio. Oggi si
sta recuperando questa dimensione, ritenuta sostanziale per riavvicinare l'uomo
alla fede. E la bellezza dello stupore genera la bontà del cuore. La bontà è
uno stupore che ha permeato talmente le nostre persone, che diventiamo bontà.
Qualche volta noi non riusciamo ad essere bontà, perché diventiamo noi
protagonisti. La bellezza è un fascino che, penetrando nel cuore dell'uomo, gli
dice: “Sii bontà!”. La bontà è la bellezza in azione. Dovremmo imparare a
cantare: “L'anima
mia magnifica il Signore:”.
Dobbiamo
fare una sottolineatura importante. Come facciamo a conoscere Gesù, che non
conosceremo mai? Come facciamo ad entrare in quella comunione tra Maria ed
Elisabetta, che per me è l’eucaristia? Ci è possibile, perché, quando l'uomo
entra in una fase di stupore, ha già superato il limite dell'intelligenza e il cuore
diventa canto. Allora vediamo l'infinito. Io uso questa immagine: quando si sta
sulla riva del mare calmo, in quel momento lo sfondo è l'infinito e davanti al
bello non si ragiona, ma si canta, magari non verbalmente, ma sempre
cardiacamente, perché il bello conquista, il bello affascina, Il bello attira.
È l'esperienza della fede.
Quante
volte vogliamo entrare nella bellezza della fede ragionando, con il solo
risultato di consumare le cellule cerebrali e di ritrovarci esauriti. La
bellezza della vita è cantare e quando l'uomo canta si rigenera
esistenzialmente. Mi dicevano che il cardinale Martini, tra una conferenza e
l'altra, per ritrovare l'armonia della sua persona, metteva le cuffie e
ascoltava la musica classica, che ha la capacità di portare l'uomo
nell'armonia. Quando l'uomo è nell'armonia, incomincia a cantare: “L’anima mia
magnifica il Signore”, “Sei straordinario, Signore!”. Secondo me,
quando moriremo, faremo un’operazione di tipo oftalmico e vedremo la gloria di
Dio. Diremo: “Come sei bello Gesù, non credevo fossi così bello!”. E lo diremo
per tutta l'eternità. Dobbiamo entrare in questo stupore, per poter vedere
Maria che, con Elisabetta, canta le meraviglie di Dio.
Una vita abitata da Dio
È importante considerare la seconda parte del
versetto: “e
il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore”. Abbiamo
celebrato la festa dell'Immacolata, la festa umanamente incomprensibile della
maternità verginale, ma Maria “esulta in Dio mio salvatore”, abita nelle meraviglie
del Signore. Ha coscienza di essere intrinsecamente un capolavoro e lo ha
capito regalando il suo mistero ad Elisabetta.
Qualche
volta siamo tanto concentrati sull'io, sulle paure dell’io, da non riuscire a
gustare la bellezza della nostra identità, regalandola, nell'entusiasmo della
vita. Nei nostri incontri dovremmo avere la serenità del cuore, la tranquillità
degli occhi, la calma nel porre la mano e nel dire: “Buongiorno!”. Rileggendo i
Vangeli nella prospettiva della vita quotidiana, potremmo trovare tante
soluzioni ai nostri interrogativi. Allora è bello essere dei tapini: “ha guardato
la tapineità”,
perché lui è grande. Nel testo di Isaia si legge che i brontoloni non avranno
accesso al regno dei cieli. I brontoloni sono quelli che hanno allergie
oculistiche: non sanno vedere l'invisibile meraviglioso nel visibile storico.
Occorre
ritrovare la bellezza. Io devo essere bello, perché sono riflesso della
bellezza di Dio. Una preghiera deve essere bella, perché il cuore bello,
illuminato, canta le meraviglie di Dio. L’episodio della visitazione è molto
più che una corsa a fare la carità: è una corsa per condividere la bellezza di
Dio.
Per concludere la riflessione sull’annunciazione
e sulla visitazione, vi dico che, ogni volta che andiamo all’eucaristia,
viviamo questi due misteri. L’annunciazione è la nostra vita abitata da Dio: è
una cosa sulla quale noi riflettiamo poco. Penso al battesimo di Origene. Suo
padre Leonida, non appena il figlio fu battezzato, fece un rito che io ripeto,
quando battezzo. Prese il bambino e lo baciò sul petto, perché stava baciando
la Santissima Trinità. L’inabitazione della Trinità è la bellezza della nostra
esistenza, che condividiamo nell’assemblea eucaristica. Noi non andiamo a
messa, andiamo a condividere le meraviglie del Signore, nelle nostre povertà
storiche. Condividendo le meraviglie del Signore, ecco “L’anima mia
magnifica il Signore”: “E’ veramente cosa buona e giusta, nostro
dovere e fonte di salvezza rendere grazie, sempre e in ogni luogo, a te, Signore,
Padre grande”.
L'evangelista Luca incomincia il suo Vangelo
con la Madonna eucaristica e lo conclude con l'episodio eucaristico dei discepoli
di Emmaus, che, in casa, cantano le meraviglie di Dio, l’eucaristia, “e lo
riconobbero allo spezzare il pane”.
Alla
luce di queste semplici sottolineature, la Madonna diventa per noi matrice di
novità di vita. L'importante è non trattenere tutto per sé, ma regalare. Allora anche noi, quando usciamo di chiesa,
regaliamo, perché abbiamo fatto l'esperienza delle meraviglie del Signore. Uscire
di corsa, controllando l'orologio, è segno positivo di fede negativa, perché le
cose belle non prevedono l’orologio. Pensate ai genitori, quando i figli o le
figlie escono con i fidanzati: li attendono con l'orologio, dimenticando di
aver fatto la stessa cosa quando erano giovani. Quando mettiamo l'orologio alle
cose belle, diventano già stancanti. L’uomo di oggi non è più in festa, perché
corre sempre e non ha più la gioia di condividere la bellezza.
Quando entriamo in chiesa, vediamo sempre l’immagine
Madonna. Io non concepisco una chiesa senza l'iconografia mariana. Possiamo
togliere le immagini dei santi, ma non quella di Maria, che è il sorriso di chi
ha detto “Ecco”,
e corre e canta. Se entrassimo in questa esperienza, la vita sarebbe diversa. I
Bizantini cantano sempre, perché cantando respirano già l'eternità beata.
È
il mistero del Natale. Ricordate sempre come la chiesa utilizzi per il Natale: “Nel
mezzo della notte, quando tutte le cose erano in silenzio, la tua Parola
dall’alto dei cieli venne in mezzo a noi”. È lo stupore! Viviamo il Natale,
condividendo lo stupore di Maria, che ci educa ad essere, giorno per giorno,
autentici discepoli di Gesù.
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[3] 9 dicembre 2019
LECTIO DIVINA ALLA COMUNITA’ CRISTIANA DI SAN PIO X A BERGAMOMaria nell’annunciazione: la tipologia del cristiano
Nel
nostro cammino verso la grande venuta del Signore, dopo aver incontrato la
figura di Giuseppe, uomo giusto, che viveva continuamente dell'oggi misterioso
del Padre, questa sera spostiamo la nostra attenzione sulla figura di Maria
nell'episodio dell'annunciazione. Come
nel caso di Giuseppe siamo stati invitati ad applicare alla nostra esistenza il
suo mistero, così anche davanti al Vangelo dell'annunciazione dobbiamo tenere
presenti tre livelli di lettura, che ci possono aiutare: il mistero di Maria, il
mistero della Chiesa, il mistero del cristiano. Ogni volta che incontriamo un
testo evangelico, non dobbiamo ritenere che riguardi il passato, riguarda la
nostra storia oggi! Nel testo dell'annunciazione siamo invitati, guardando
Maria, a ritrovare la nostra identità di discepoli, che vivono il mistero della
Chiesa, perché i Vangeli narrano la storia del passato per interpellare il
presente.
Luca
1, 26-38
Al sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da
Dio a una città della Galilea, chiamata Nazareth, ad una vergine promessa sposa
di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava
Maria. Entrando da lei disse: “Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con
te”
A queste parole ella fu molto
turbata e si domandava che senso avesse quel saluto. L'angelo le disse:” Non
temere Maria, perché hai trovato grazia presso Dio, ecco concepirai un figlio,
lo darai alla luce. Sarà grande e verrà chiamato figlio dell'Altissimo. Il
Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla
casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine.”
Allora Maria disse all'angelo: “Come
avverrà questo, poiché non conosco uomo?”.
Le rispose l’angelo: “Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza
dell'Altissimo ti coprirà con la sua ombra, perciò colui che nascerà sarà Santo
e sarà chiamato figlio di Dio. Ed ecco Elisabetta nella sua vecchiaia ha
concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era ritenuta sterile:
nulla è impossibile a Dio. Allora Maria disse:
“Ecco la serva del Signore, avvenga per me secondo la tua parola”. E l'angelo
si allontanò da lei.
Due annunciazioni
Occorre
fare una precisazione, per riuscire a leggere in profondità questo racconto. Se
apriamo il Vangelo alla pagina precedente, abbiamo l'annunciazione a Zaccaria.
L'evangelista mette in stretto rapporto le due annunciazioni perché, sullo
sfondo dell'annunciazione a Zaccaria, emerga tutta l'originalità
dell'annunciazione a Maria. Luca infatti ha costruito i due racconti con un parallelismo
eccezionale, per farci intuire la luminosità dell’annunciazione nella storia
della Chiesa e di ogni battezzato.
Il primo elemento da tenere presente è il
contesto delle due annunciazioni, che ci aiuta a intendere e comprendere il
testo. Nell'annunciazione a Maria si legge che l'angelo Gabriele fu mandato a
Maria, in una città della Galilea, chiamata Nazaret, quindi l'annunciazione
avviene in un momento di vita ordinaria.
Proprio per evidenziare il valore della vita ordinaria, ecco l’annuncio
a Zaccaria:
“Al tempo di Erode, nella Giudea,
vi era un sacerdote di nome Zaccaria, della classe di Abia, che aveva in moglie
una discendente di Aronne, di nome Elisabetta. Ambedue erano giusti davanti a
Dio e osservavano irreprensibili tutte le leggi e le prescrizioni del Signore.
Essi non avevano figli, perché Elisabetta era sterile e tutti e due erano
avanti negli anni.
Avvenne che, mentre Zaccaria faceva le sue
funzioni davanti al Signore, durante il turno della sua classe, gli toccò in
sorte, secondo l'usanza del servizio sacerdotale, di entrare nel tempio del
Signore per fare l’offerta dell'incenso”. (Lc 1, 5-9)
La vita ordinaria
È
interessante il contesto. Da una parte la vita feriale: Nazareth, una
situazione storica diremmo noi di
emarginazione, Ricordiamo sempre nei testi giovannei:” Che cosa vuoi che venga di buono da Nazareth?”, nel dialogo tra Bartolomeo
e Filippo; “Studia e vedrai che non viene un profeta dalla Galilea”, quando i sacerdoti
rispondono a Nicodemo. L’angelo Gabriele appare in una realtà feriale, non
importante, ai confini della Palestina, mentre nell’annunciazione a Zaccaria
c'è tutta la dimensione rituale: il tempio, il rito, Gerusalemme. La bellezza
del rivelarsi di Dio sta nel fatto che non avviene nella solennità del tempio
di Gerusalemme, durante il rito dell’incenso, ma nella ferialità nascosta. Dio,
per venire nella storia, sceglie ciò che è ordinario, che non è valutato dalle
categorie comuni.
C'è una bella espressione, sempre nel Vangelo
di Luca, che possiamo applicare al brano che stiamo analizzando. Dopo che i
discepoli sono tornati dal viaggio missionario, sono ricchi di entusiasmo. Gesù
li raffredda subito: “In quello stesso istante, esultando nello Spirito Santo, Gesù disse: “Ti
ringrazio, Padre, Signore del cielo e della
terra, perché hai tenuto nascoste queste cose a quelli che contano e le hai
rivelate a quelli che non contano (Lc 10,21-22). L'esperienza di fondo che
determina la rivelazione è la radicale povertà dell'uomo. Quando Maria canta il Magnificat, noi
traduciamo “Ha guardato l'umiltà della sua serva”, ma se leggiamo il
testo greco troviamo “Ha guardato alla tapineità
della sua serva”. Dio non colloca il suo
rivelarsi nella discendenza di Aronne, non in un rito che avveniva nel tempio,
in corrispondenza delle preghiere del pio ebreo, ma in una situazione feriale, dove
la persona non conta agli occhi degli uomini.
Questo è un aspetto da tenere ben presente: la gloria di Dio è l'amore
al concreto di tutti i giorni, è la vera liturgia dell’uomo, che costruisce l’esistenza
nell’atteggiamento di Maria. Sullo sfondo di questo contesto, il volto di Maria
appare in tutta la sua bellezza.
La verginità
Continuando
ad esaminare il rapporto tra l'annunciazione a Zaccaria e l'annunciazione a
Maria, osserviamo le figure di Elisabetta e Zaccaria. Sono vecchi, avanti negli
anni, ed Elisabetta è sterile. Dall'altra parte l’angelo appare ad una giovane,
vergine, che vive la sua esistenza nel mistero di Dio. La rivelazione è nella
giovinezza, perché la giovinezza è apertura alla vita. In questo senso il
rapporto con Giuseppe è significativo, perché sognare appartiene alla
giovinezza, non esprime la sterilità, ma la fecondità. Appare allora il volto
di una donna che costruisce la sua esistenza attraverso la bellezza della sua
persona, che consiste nell’ essere vergine. Qualche volta, distratti dai quadri,
quando pensiamo al mistero dell'annunciazione, collochiamo Maria in un luogo,
pensiamo all'angelo che le appare e immaginiamo che questa rivelazione sia
avvenuta in uno spazio e in un tempo definiti.
Il testo dice che l'angelo entrò da lei, fuori dallo spazio e dal tempo,
in una comunicazione che è rivolta alla sua persona. Luca usa l'articolo
determinativo, per evidenziare la caratteristica di Maria: la vergine si
chiamava Maria.
Cerchiamo di comprendere il significato della
verginità, che è il luogo nel quale l'angelo sì rivela e rivela la volontà di
Dio. “Vergine” è una parola che noi tante volte interpretiamo negativamente,
mentre la verginità è l'apertura a 360° all'invadenza di Dio, è un fatto
interiore dove tutta la persona è conquistata da Dio: è un meraviglioso dialogo
interiore, fondamentale nell'esistenza di Maria. Torniamo a Giuseppe, il
sognatore. Era un uomo giusto, e, come Maria, radicalmente aperto a Dio. Dopo
il sogno, obbedisce. Maria vive questa radicalità nella apertura del cuore. L'unica
rappresentazione che mi ha dato l’idea di questo evento è nel film Gesù di
Zeffirelli, quando l'angelo è una grande luce che invade Maria e Maria si
lascia invadere. La bellezza della verginità è un cuore aperto, che si lascia
catturare dalla gratuità di Dio e Dio in lei liberamente fa cose grandi.
Il mutismo e il canto
Come
mai Zaccaria diventa muto, mentre Maria canta il Magnificat? Nel testo che
riguarda Zaccaria, egli risponde obiettando che è vecchio e sua moglie non è
più nell'età: ha come riferimento se stesso. Davanti all'accadimento di Dio, considera
le sue possibilità. Maria invece, essendo vergine, è aperta alla libertà, gratuita,
benevolenza di Dio.
Da
questo punto di vista mi è sempre piaciuto il quadro del Beato Angelico, al
museo di Cortona, dove l'annunciazione è costruita su due cerchi: il cerchio di
Maria e Il cerchio dell’angelo, disposti sulla stessa lunghezza d'onda. La
verginità è vivere sulla lunghezza d'onda del rivelarsi di Dio. In questo
consiste la grandezza di Maria, lo ha detto molto bene Elisabetta nella
visitazione: “E beata colei che ha creduto
nell'adempimento delle parole del Signore”. Zaccaria è rimasto muto, perché
non ha creduto e non si è lasciato invadere dal mistero di Dio. Zaccaria
diventa muto perché ormai il rito diventa muto. il chiasso non appartiene al
rivelarsi di Dio: è una verità sul quale riflettiamo poco. Il chiasso diventa muto, il vergine diventa
canto.
Maria, pura di cuore
Pensiamo
alla settima beatitudine: “Beati i puri di cuore
perché vedranno Dio”. Dal punto
di vista esegetico è una beatitudine liturgica. Beati quelli che sono
spalancati con tutta la loro persona all'invadenza di Dio. A me piace rileggere
questo incontro tra l'angelo Gabriele e Maria come un vedere la luminosità divina,
che si ritraduce con il saluto dell’angelo:”
Rallegrati piena
di grazia, il Signore è con te”. È l'invadenza della fedeltà di
Dio, poiché viene citato il testo di Sofonia, che realizza i tempi messianici
nel “Sei tutta grazia, sei il capolavoro della gratuità di Dio”. Ormai noi
guardiamo al cuore. Il cuore puro vede il rito come il dialogo con
l'eterno. il cuore non puro inventa
tante cose. Nel primo caso c’è la libertà davanti a Dio, nel secondo caso
l'uomo vuole impossessarsi di Dio.
Il
rapporto narrativo tra Maria e l'angelo e tra l'angelo e Maria è l'esperienza
del silenzio di Dio. Ricordate che nella
prima lezione ho fatto la distinzione tra la messa di mezzanotte e la Messa del
giorno e vi dicevo che la messa di mezzanotte è nella notte, nel silenzio,
perché in quella condizione si dà la fedeltà di Dio? Maria, nella sua verginità,
è talmente aperta a Dio che anche il buio diventa luce. Qualche volta noi vorremmo
capire tutto, ma l'uomo che capisce diventa protagonista. L’uomo che si
abbandona nel suo cuore all'accadimento di Dio è un uomo che è ricolmato di
Dio. Da questa angolatura, chi riesce a capire la gratuità di Dio? Solo il
vergine. Ecco perché l'uomo di oggi non riesce a cogliere la rivelazione di Dio:
non ha la purezza del cuore. Non ha la percezione del lasciarsi invadere, mentre
il vergine ha come criterio l’oggi misterioso di Dio.
L’annunciazione, realizzazione
dell’Antico Testamento
Sottolineo
un particolare che può magari, in modo immediato, risultare un po’ difficile da
capire per noi, ma mi permette di collegarmi alla genealogia. Dicevamo nella
prima lectio sul testo di Matteo che l’evento dell'incarnazione è il frutto di
una genealogia. Qui invece, ed è una cosa molto bella, che gli studiosi hanno
scoperto, il racconto dell'annunciazione è una centonizzazione di testi
dell'Antico Testamento. È po' come quando noi abbiamo il puzzle e ricostruiamo
la figura originaria, mettendo Insieme i pezzettini, per cui riappare
l’immagine iniziale. Nel testo greco, ogni parola dell’annunciazione si ritrova
nell'Antico Testamento: il racconto dell'annunciazione a Maria è l'Antico Testamento
realizzato, non più con la genealogia, ma con il genere letterario.
La povertà dell’uomo
Proviamo
a pensare la nostra storia: è il puzzle della fedeltà di Dio. Vi ricordate che
nel momento in si cui parla della Madonna, si parla di Maria, si parla della
Chiesa, si parla del discepolo? La nostra storia è la storia di Dio. Questa
storia di Dio è nel saluto: “Rallegrati, piena di grazia, il Signore è con te. A queste parole
ella rimase turbata e si chiedeva che senso avesse un tale saluto”:
non vuole capire, vuole collocare se stessa nel mistero di Dio. Nel cammino di fede, noi usiamo molto il
freno a mano, perché abbiamo paura di lasciarci invadere da Dio. La verginità
del cuore è la nostra apertura a 360 gradi sul progetto di Dio e ci fa percepire
una grandezza nella nostra radicale povertà. Ecco perché appare a Nazareth, in una
realtà sociologica di povertà esistenziale, dove la vera povertà è essere
affascinati da un Dio meraviglioso, nel quale la propria povertà diventa
feconda. Noi nelle nostre povertà andiamo in corto circuito. Maria, nella
povertà, si è aperta all'ineffabilità di Dio. È un mistero che non è facilmente
percepibile nella nostra esistenza, eppure la bellezza del rivelarsi di Dio è
questa povertà affascinata. In questo quadro l'angelo regala a Maria il
progetto di Dio: “Non temere Maria, perché hai trovato grazia presso Dio: ormai
tu sei un capolavoro!” Qualche volta noi
dimentichiamo questo mistero.
Le meraviglie di Dio
Zaccaria diventa
muto, Maria canta e il canto del Magnificat è il canto del passaggio del Mar
Rosso applicato al Nuovo Testamento: Dio si rivela meraviglioso. Una delle
realtà che noi abbiamo dimenticato è che il Dio nel quale noi crediamo è il Dio
meraviglioso. Si comprendono le parole di Maria: “Come avverrà questo, dal momento
che non conosco uomo?”. È la coscienza del limite: come mai nel mio
limite avvengono queste meraviglie? Spesso noi pensiamo alle nostre doti, più o
meno eccellenti: segno positivo di verginità negativa. Guardiamo a noi stessi: “Come è possibile che
nella mia povertà Dio sia così grande?” La risposta è bellissima: “La potenza
dell'altissimo ti coprirà con la sua ombra, perciò quello che darai alla luce sarà
chiamato santo, figlio di Dio”.
Cogliamo una dimensione della Trinità che abbiamo dimenticato. Nel
mistero dell'annunciazione, il Padre manda l'angelo e crea attraverso lo Spirito
Santo. In tutti i Vangeli ogni azione del Padre, che Cristo rivela agli
uomini, avviene nello Spirito Santo, per cui io sono giunto a formulare l’ipotesi
che lo Spirito Santo sia la femminilità della Santissima Trinità, la fecondità.
Ripensiamo alle parole dell’eucaristia: “Padre veramente santo, fonte di ogni
santità, santifica questi doni con l'effusione dello Spirito”. Nel testo latino
c'è un'espressione che non abbiamo in italiano: “Padre veramente santo, fonte
di ogni santità, fa’ scendere la rugiada del tuo Spirito”: “tui rore spiritus”.
E’ la verginità nell’evangelista Giovanni: “Non sappiamo donde venga, né dove vada”,
perché la verginità è il luogo della libertà.
“Eccomi!”
Torniamo alla
figura di Maria:”
Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me secondo la tua parola”.
“Eccomi”
è l'atteggiamento di chi si colloca nelle mani di Dio. Quando ho scritto il mio
libro sul matrimonio l'ho intitolato: Eccoci, o Signore! Gli sposi infatti regalano la loro
disponibilità alla fantasia di Dio, perché in quel momento si affidano alla
creatività dello Spirito Santo. “Eccomi” e l'entusiasmo. Uno dei problemi dell'uomo di
oggi è svegliarsi al mattino. Quando sentite la sveglietta suonare, è l'angelo
Gabriele che vi appare. Davanti a lui si
dice: “Eccomi, sono tua proprietà”. Il
vergine è l'obbedienza di chi si sente proprietà di Dio.
Maria dice: “Sono la serva”,
che propriamente significa: “Sono l'accoglienza del tuo mistero. Anche Gesù dice: “Eppure io sto in mezzo a voi come
colui che serve” (Lc 22,27). Chi accoglie, concepisce e dà alla
luce la novità di Dio: “Sono tua proprietà, perché tu possa essere il Signore della
mia storia: si faccia secondo la tua volontà!”. Noi usiamo un'espressione che
per me è pericolosa: “siamo chiamati a fare la volontà di Dio”. Ma per fare la
volontà di Dio dobbiamo conoscerla e noi non la conosceremo mai. Noi siamo chiamati ad essere nella misteriosa
volontà di Dio. Chi ha la bellezza della
verginità, qualunque sia la scelta fatta nella vita, ha questa disponibilità all’oggi
misterioso di Dio.
Il testo è iniziato con l'angelo Gabriele
mandato da Dio a una vergine; l'angelo entra in Maria; dopo il dialogo l'angelo
si allontana da lei. Quindi: l'angelo
appare a Maria; entra nel cuore verginale – “La potenza dell'altissimo ti ricoprirà”; “Eccomi!”
- si pone in stato di gratitudine e nella gratitudine si realizza la fecondità;
l'angelo ha compiuto la sua missione - “Si allontanò da lei”.
Se riuscissimo anche solo a intravedere
qualcosa in questa semplice lettura del Vangelo dell'annunciazione sullo sfondo
dell’annunciazione a Zaccaria, ci accorgemmo di cose molto belle. Al mattino
potremmo svegliarci nella coscienza che siamo capolavori di Dio. Siamo il respiro di Dio, che è lo Spirito Santo.
Allora: “Eccomi!” Incomincio la mia giornata, che diventa un culto a Dio
gradito.
Concluderemo il ciclo del Natale con la
presentazione di Gesù al tempio. Perché questo rito del riscatto è così
solenne? Maria e Giuseppe portano Gesù al tempio e offrono i doni attraverso la
figura levitica. Adesso non c'è più il tempio, perché il tempio è Gesù; non c'è
più l’offerta, perché l'offerta è Gesù; non c'è più il sacerdozio, perché il
sacerdozio è Gesù. Allora come faccio a rendere la mia vita un culto a Dio
gradito? In me abita Gesù; in me, Gesù diventa
la mia offerta di vita; Gesù, in me, mi rende proprietà del Dio Altissimo:
questo è il sacerdozio dei fedeli. Proviamo a pensare alla semplice azione
quotidiana del lavare i piatti: è Cristo che offre, attraverso il lavare le stoviglie,
il sacrificio a Dio gradito, la storia di tutti i giorni. Ecco perché approfondire questo testo non è
facile: Maria si gioca tutta sul cuore, Zaccaria tutto sul rito. Maria si sente invasa, Zaccaria si sente
bloccato e diventa muto. Noi dobbiamo ritrovare la bellezza di dire “Eccomi, tu
Signore cammini sempre in novità di vita”.
Non per niente quando Gesù muore, lo abbiamo ascoltato nel Vangelo della
domenica di Cristo Re, dice: “Nelle tue mani consegno il mio spirito”. Maria nella
sua vita ha vissuto il mistero di Gesù in anticipo. Se noi riuscissimo a
entrare in questa visione, poiché la nostra vita è piena di decisioni, il
nostro decidere sarebbe proprio un decidere alla luce del ”Eccomi!”. Impariamo da Maria la purezza del cuore e lasciamoci
invadere in modo radicale da questo amore divino, nel quale ritroviamo
veramente noi stessi.
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[2] 2 dicembre 2019
LECTIO DIVINA ALLA COMUNITA’ CRISTIANA DI SAN PIO X A
BERGAMOLa figura di Giuseppe: la bellezza di sognare nell’obbedienza
La settimana scorsa ci siamo soffermati sul prologo di Matteo, che
può essere considerato la sintesi delle tematiche di tutto il suo Vangelo. Con
quello schema di fondo, ci introduciamo nel brano successivo, che ha al centro
la figura di san Giuseppe, una figura che ha avuto un grande successo nell’800,
nel contesto della valorizzazione della Sacra Famiglia, ma che oggi è passata
in secondo piano, anche se la si sta riscoprendo, perché si afferma che
dialogare con san Giuseppe permette di trovare risposte ai problemi attuali.
Leggo quindi il brano che sarà oggetto della nostra riflessione
questa sera, partendo dalla conclusione della genealogia: “Giacobbe
generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo“(Mt
1,16).
Matteo 1,18-25:
“18Così fu generato
Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che
andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. 19Giuseppe suo sposo, poiché era uomo
giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. 20Mentre però stava considerando queste
cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: “Giuseppe,
figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti, il
bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; 21ella darà alla luce un figlio e tu lo
chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati”.
22Tutto questo è
avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del
profeta:
23Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio:
a lui sarà dato il nome di Emmanuele, che significa Dio con noi. 24Quando si destò dal sonno, Giuseppe
fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa; 25senza che egli la conoscesse, ella
diede alla luce un figlio ed egli lo chiamò Gesù”.
Per affrontare correttamente il tema di San Giuseppe nei Vangeli
dell’infanzia, occorre porsi in una visione che superi le letture improprie del
passato. Vorrei delinearne il volto,
anche alla luce degli ultimi studi, partendo dal testo di Matteo.
LA COMUNIONE TRA
GIUSEPPE E MARIA
Incominciamo con una riflessione. Quando pensiamo a san Giuseppe e
al suo rapporto con Maria abbiamo l’idea che Giuseppe fosse all’oscuro di
quanto stava accadendo, mentre, ed è la ragione per cui oggi si sta riscoprendo
la spiritualità di Nazareth, Giuseppe e Maria insieme stavano vivendo un
mistero. La figura di Maria era un mistero per Giuseppe, ma lei condivideva con
lui questo mistero: è la bellezza della famiglia di Nazareth, dove l’uno è per
l’altro e con l’altro. Giuseppe non era spettatore di quanto stava accadendo a
Maria: tra i due c’era un rapporto autentico. Noi abbiamo un concetto di
verginità poco interpersonale, invece la vera verginità è una relazione della
mente e del cuore. Se non partiamo da questa convinzione, non riusciamo a
cogliere l’atteggiamento di Giuseppe. Entrambi erano all’interno di un progetto
che non conoscevano. Luca ci fornisce un particolare importante: la bellezza di
Maria era il silenzio. Noi pensiamo che la vita sia capire, mentre essa è il
silenzio nella reciprocità.
All’inizio del brano che abbiamo ascoltato, immediatamente
troviamo l’affermazione: “Maria, essendo
promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò
incinta per opera dello Spirito Santo” (1,18).
Entrambi erano davanti ad un grande mistero.
La figura di Giuseppe è estremamente moderna, perché la bellezza
di ogni rapporto interpersonale è amare il mistero che è l’altro, il mistero
che è l’altra, dove nella reciprocità ci si comprende, proiettandosi in avanti
verso il mistero di Dio. Il rapporto tra Giuseppe e Maria non è il rapporto tra
due sconosciuti, ma tra due persone che vivono un’autentica vita familiare.
Oggi si sta scoprendo che
Gesù, specialmente nel Vangelo di Matteo, usa un linguaggio che ha acquisito dai
genitori. L’esempio che noi portiamo più facilmente sono le parabole, soprattutto
quelle culinarie, che Gesù ha imparato stando con Giuseppe e Maria. Oggi
addirittura c’è tutto un capitolo interessante di “Gesù cuoco”; addirittura c’è
un libretto, La cucina del Risorto, dove si sottolinea come nella sua famiglia
Gesù abbia goduto di quel clima di comunione da cui egli è nato, secondo un
misterioso progetto divino.
GIUSEPPE, UOMO
GIUSTO
Se partiamo da queste considerazioni, riusciamo a comprendere il
passaggio successivo che, soprattutto nella lettura contemporanea, ha un
significato molto profondo: “Giuseppe suo
sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di
ripudiarla in segreto” (1,19). La parola chiave è “giusto”, che nella
tradizione dell’Antico Testamento definisce un uomo “innamorato della volontà
di Dio”. Il pio ebreo sapeva che nella sua storia era chiamato a leggere e a
vivere la sua esistenza alla luce della storia di Dio, così come ci dice il
salmo 118 (119), il più lungo del Salterio, dove egli meditava continuamente la
legge del Signore. Non per niente il cardinale Martini sulla propria pietra
sepolcrale ha fatto scrivere “Lampada per
i miei passi è la tua Parola, luce sul mio cammino” (Sal 119,105).
Perché era un uomo giusto Giuseppe? Teniamo presente che il pio
ebreo, andando alla sinagoga continuamente, era educato alla storia di Dio.
Entrando in una sinagoga, al centro si vede il Santo dei Santi, il quale
contiene la Parola di Dio, che non è un libro: è Dio che si rivela! Quindi era
un uomo abituato alla rivelazione di Dio, ecco perché viene definito “uomo
giusto”: la sua esistenza ricercava continuamente quello che Dio voleva. Giusto
è l’uomo che nel cammino della vita ha la Parola come anima della sua storia e
sa di doversi porre davanti al mistero.
IL MISTERO
Ecco il passaggio nuovo, che fatichiamo a interpretare. Davanti al
mistero dice: “Non sono idoneo”. Questo
significa la frase che abbiamo ascoltato, riferita a Giuseppe che vuole
dimettere Maria. Noi leggiamo questa sua reazione, secondo le categorie morali
(“chissà cosa dirà la gente…?”), soprattutto del passato. Giuseppe non ha
allontanato Maria, ma ha pensato che il mistero di Dio era più grande delle sue
possibilità. Per lui Maria era il disegno di Dio e, poiché era uomo giusto e
aveva coscienza dei suoi limiti, si è domandato: “Quale grande disegno il Signore
mi vuole affidare?”. La risposta immediata è stata: “Non sono degno”. Uso un’immagine
per essere più chiaro: “Ma Signore, va’ a suonare il campanello di qualcun
altro per il tuo disegno di salvezza. Perché vuoi proprio me?”. È l’uomo povero,
biblicamente, il quale, vivendo della Parola di Dio, si riconosce inadeguato. È
l’atteggiamento caratteristico dei grandi uomini della Bibbia, pensiamo ai
profeti. Quando Dio appare a Isaia e lo manda ad evangelizzare, il profeta
chiede: “Come posso io, uomo dalle labbra impure, andare a evangelizzare?”. La
risposta è l’angelo che con le pinze prende il carbone di fuoco e gli brucia le
labbra (Is 6). Per inciso ricordo che quel gesto che il profeta subisce da parte
dell’angelo è l’eucaristia! L’eucaristia non è un pane: il pane è il fuoco di
questo carbone ardente che brucia tutte le povertà dell’uomo! Il profeta
Geremia balbetta, Mosè balbetta: il Signore chiama chi ha la consapevolezza di
essere povero. Dio dice a Giuseppe: “Ecco il disegno che io ho preparato per te!”.
Giuseppe risponde: “Io non ne sono degno.”. L’uomo ritiene di non essere in
grado di affrontare il disegno di Dio, ma il Signore gli dice: “Non temere, sei
nel mio mistero!”.
IL SOGNO
La volta scorsa abbiamo ascoltato il lungo elenco di 42 personaggi
che rappresenta la fedeltà di Dio alla storia degli uomini e Giuseppe è il 42°
di quella numerazione. Ma come si rivela la fedeltà di Dio? In sogno! Allora è
importante soffermarsi sul significato biblico del sogno: esso è il momento in
cui avviene la rivelazione di Dio. I personaggi più importanti della Scrittura
sognano: il patriarca Giuseppe è un sognatore e diventa la salvezza d’Israele,
quando è in Egitto; Giuseppe di -Nazareth sogna; per ben tre volte Paolo sogna.
Il sogno ritraduce un atteggiamento spirituale.
Il sogno avviene di notte, ma noi non abbiamo il concetto della
notte, dove l’assenza della luce costringe all’ immobilità. Nel buio totale,
senza nessuna fonte di luce, è impossibile vivere. In questa condizione, il
sogno è l’incontro tra il limite dell’uomo e la creatività di Dio, che ama
rivelarsi di notte per porre la sua potenza nell’impotenza dell’uomo. Sogna l’uomo
disponibile alla creatività divina. Giuseppe, uomo giusto, ha tutti gli
interrogativi dell’intelligenza, ma nel suo cuore sa che Dio è il suo Signore: di
notte, gli appare l’angelo, cioè Dio gli dà la sua comunicazione. Noi qualche
volta non riusciamo a essere credenti, perché vogliamo capire. La bellezza della
fede è accogliere la libertà di Dio. Giuseppe ce lo insegna. Dio non è
determinato dall’uomo, ma l’uomo che crede si lascia determinare da Dio.
IL SILENZIO
Una seconda caratteristica della notte è il silenzio, che
rappresenta la notte esistenziale, nella quale Dio parla. Il silenzio è essere
cuore a cuore con il Signore. Il cristiano, come Giuseppe, è colui che nella
sua esistenza è cuore a cuore con Dio e il cuore ha visioni più profonde
dell’intelligenza. La mia povertà mi dice: “Non accetto di essere in questo
grande mistero, ma poiché so che Dio è fedele (la genealogia), so che Dio è il Signore
della mia vita, so che ha un progetto su di me, mi pongo in silenzio perché il
suo progetto si realizzi”. L’uomo di oggi è tanto scontento, perché non sa più
fare silenzio.
Giuseppe, nella sua vicenda storica, ha saputo imparare ad
ascoltare. Giuseppe e Maria erano in comunione e tra loro c’era una
condivisione non di parole, perché la vera condivisione avviene con gli occhi e
con tutto il sensitivo che comporta lo sguardo. Il linguaggio più profondo non
è mai verbale, il linguaggio non verbale è molto più ricco! Giuseppe è abituato
al sogno, perché nel suo rapporto con Maria c’è il senso di un mistero al quale
con Maria egli si è affidato. In tutte le traversie essi erano insieme: Giuseppe
era il sognatore, ma con Maria camminavano insieme.
È allora molto bello vedere come la bellezza di Giuseppe sia il
silenzio dell’uomo che dice a Dio: “Sii libero nella mia vita”. Faccio un
esempio molto semplice: quando due genitori danno alla luce un bambino, il
progetto sul bambino è loro o devono obbedire al progetto di Dio su quel
bambino? Giuseppe e Maria sono insieme
davanti al progetto di Dio, che si gusta nel silenzio. Quante parole ha detto
Giuseppe? Nessuna, perché Giuseppe era un sognatore, uno che si fidava di Dio. Nell’affidarsi
a Dio, Giuseppe è andato in Egitto. Prima di lui anche il patriarca Giuseppe era
andato in Egitto e quelli che parevano essere i guai della sua vita si sono
rivelati l’epopea di Dio per tutto il popolo d’Israele.
L’OBBEDIENZA
“Quando si destò
dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese
con sé la sua sposa” (1,24). L’uomo giusto conosce un unico atteggiamento:
obbedire. L’’obbedienza è la bellezza dell’ascolto e il canto della
gratitudine. I figli devono obbedire ai genitori per esprimere la loro gratitudine
per quanto hanno ricevuto. Allo stesso modo, se il figlio è un dono di Dio, accogliere
un figlio richiede ai genitori di vivere in stato di obbedienza al disegno di
Dio su di lui.
Quindi si sveglia, Giuseppe prende coscienza del mistero e lo accetta,
perché è entrato nella decisione di vivere la sua vita nel mistero di Dio. È
interessante la conclusione del brano: «senza
che egli la conoscesse, ella diede alla luce un figlio ed egli lo chiamò Gesù» (Mt
1,25). Accoglie il mistero.
Ora uso un’immagine che non è di Matteo, ma di Luca. Ricordate
l’episodio di Gesù a 12 anni? Si perde nel tempio, lo vanno a cercare e Maria
gli dice: “Tuo padre e io, angosciati, ti
cercavamo”. Che cosa le risponde Gesù? “Perché
mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. Ma
essi non compresero (Lc 2,48-50). Accogliere il mistero è rinunciare a
volere capire. La bellezza della vita è fidarsi, affidarsi, perché, quando io
voglio capire, riduco la realtà alla mia intelligenza, ai miei pensieri e non
mi apro al mistero di Dio.
Giuseppe allora è, per
l’evangelista Matteo, il grande protagonista dei Vangeli dell’infanzia. Si
rivela un uomo estremamente moderno e la sua figura
diventa tipologia della nostra vita di fede. Infatti, così è scritto nel brano
che abbiamo ascoltato: «Tutto questo è
avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del
profeta: “Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà
dato il nome di Emmanuele”, che significa Dio con noi» (1,22-23). È
nell’obbedienza dell’uomo che la parola di Dio si realizza.
LA FEDE
Nel capitolo secondo, al versetto 14 di Matteo si legge: «Egli si alzò, nella notte, prese il bambino
e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode,
perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: “Dall'Egitto
ho chiamato mio figlio”». Dall’ Egitto
poi ritorna: «Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe
in Egitto e gli disse: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e va'
nella terra d'Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino”.
Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d'Israele. Ma,
quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre
Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione
della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nazareth, perché si
compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: “Sarà chiamato Nazareno”»
(2,19-23).
Il principio, che ha guidato sempre Giuseppe, era: “Anche se non
capisco, la Parola di Dio si realizza”. L’uomo che è affascinato dal mistero di
Dio, ricerca l’oggi di questo mistero nella sua storia, all’oggi di Dio
risponde positivamente e ha il risultato: oggi la volontà di Dio si realizza,
come nelle Scritture. Alla fine, però solo alla fine, sarà chiaro il progetto
del Signore. Noi vorremmo sapere fin dall’inizio! Quando dobbiamo decidere,
vorremmo poter prevedere e pianificare, per avventurarci senza troppi rischi e
imprevisti in esperienze nuove. Giuseppe non ha fatto così: si è affidato, usando
la frase di Gesù nell’orto degli ulivi: «non
la mia volontà, ma la tua sia fatta» (Lc 22,42). Ha scelto di essere
nell’oggi misterioso di Dio. Per questo è moderno: ci insegna, nella cultura
del consumismo, a sognare i sogni di Dio.
Concludendo questo discorso su Giuseppe, giungiamo alle parole
finali della profezia: «l’Emmanuele, Dio
in mezzo a noi». Egli viene in mezzo a noi, perché noi ci fidiamo di Dio!
Se noi non ci fidiamo di Dio, dov’è l’Emmanuele?
Con la guida di Giuseppe, proviamo a riscoprire la bellezza della liturgia
dei sacramenti, per gustare la libertà di Dio. Andando a un rito siamo poveri, ma
ci fidiamo del Signore ed egli ci regala se stesso. Ricordate la bella
preghiera che è diventata anche canto? “Questo
misterioso incontro tra la nostra povertà e la tua grandezza. Noi ti offriamo
le cose che tu stesso ci hai dato e tu in cambio donaci te stesso”. Il
Natale è la libertà di Dio.
Si dice, in Teologia Fondamentale, che se vogliamo costruire una
Chiesa attuale, dobbiamo imparare che la fede è una intimità relazionale in una
comunità che sta sognando il mistero di Dio. Fuori da questo orizzonte sono
tutte strutture. Ecco perché Giuseppe diventa per noi il grande maestro per
camminare con Gesù. Ricordate quanto vi
ho detto la volta scorsa? Nel presepe Maria e Giuseppe guardano il Bambino, ma
il Bambino non guarda loro: li mette nell’ascensore del rapporto con il Padre e
i due vivono il mistero di Gesù, come il Padre vuole.
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[1] 25 novembre 2019
LECTIO DIVINA ALLA COMUNITA’ CRISTIANA DI SAN
PIO X A BERGAMO
La fedeltà di Dio alla storia: La genealogia
di Matteo
Vorrei iniziare con la lettura del brano che sarà oggetto della
nostra riflessione, un brano che normalmente noi fedeli comuni non ascoltiamo
mai, perché i preti hanno la facoltà di ridurlo alla parte più semplice,
l’ultima, ma, come cercherò di farvi vedere questa sera, è un testo
fondamentale per capire i Vangeli dell’infanzia.
Matteo 1,1-17:
«Genealogia di
Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo. Abramo generò Isacco, Isacco
generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, Giuda generò Fares e
Zara da Tamar, Fares generò Esrom, Esrom generò Aram, Aram generò Aminadàb, Aminadàb
generò Naassòn, Naassòn generò Salmon, Salmon generò Booz da Racab, Booz generò
Obed da Rut, Obed generò Iesse, Iesse generò il re Davide da quella che era
stata la moglie di Uria, Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abia, Abia
generò Asaf, Asaf generò Giòsafat, Giòsafat generò Ioram, Ioram generò Ozia,
Ozia generò Ioatàm, Ioatàm generò Acaz, Acaz generò Ezechia, Ezechia generò
Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò Giosia, Giosia generò Ieconia e i
suoi fratelli, al tempo della deportazione in Babilonia. Dopo la deportazione
in Babilonia, Ieconia generò Salatièl, Salatièl generò Zorobabele, Zorobabele
generò Abiùd, Abiùd generò Eliachìm, Eliachìm generò Azor, Azor generò Sadoc,
Sadoc generò Achim, Achim generò Eliùd, Eliùd generò Eleazar, Eleazar generò
Mattan, Mattan generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria,
dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo.
In tal modo,
tutte le generazioni da Abramo a Davide sono quattordici, da Davide fino alla
deportazione in Babilonia quattordici, dalla deportazione in Babilonia a Cristo
quattordici».
LA GENEALOGIA
NELLA LITURGIA
Questo è un testo che dobbiamo innanzitutto collocare nel contesto
della preghiera della Chiesa ed è interessante che esso appaia quattro volte
durante l’anno liturgico, perché esprime una dinamica teologica che io ho
ritradotto con l’espressione: la fedeltà di Dio. I quattro momenti in cui
questo testo appare sono: la nascita di Maria l’8 settembre; l’inizio della
novena di Natale, il 17 dicembre; la messa vespertina della vigilia di Natale;
ma, soprattutto, la veglia prima di mezzanotte. Quindi ci accorgiamo che questo
testo è letto dalla liturgia all’inizio di un periodo importante per la storia
della salvezza. La successione di tutti questi nomi, lo diremo più avanti, ha
dietro un percorso teologico e di fede, oltre al principio che noi abbiamo nel
libro dei Numeri del Pentateuco, dove troviamo il discorso delle genealogie.
Come mai il primo luogo in
cui si dà questo testo evangelico è l’8 settembre? Nella visione cara all’Oriente
cristiano, l’8 settembre coincide con quello che noi chiamiamo inizio dell’anno
liturgico (che corrisponde al vecchio inizio dell’anno liturgico ebraico), a
settembre, perché all’inizio della storia di Dio c’è Maria. Infatti, la
genealogia si conclude con la citazione della Madonna, per cui Maria è letta
nella tradizione bizantina come colei che presenta la storia Dio agli uomini,
nella cosiddetta “Icona della Platytera”: nel catino absidale delle chiese
bizantine c’è una Madonna che fa da poltrona a Gesù bambino. Da Maria
scaturisce la storia della salvezza e l’anno liturgico bizantino si conclude
con la festa della Dormizione di Maria: con la Madonna, che è l’umanità, inizia
la storia della salvezza e con Maria glorificata, la dormizione, si conclude la
bellezza di questa storia. E quindi è importante, in questo racconto, percepire
che il tempo non è la successione di giorni, ma è il luogo nel quale Dio rivela
la sua fedeltà attraverso una storia, questa storia che racchiude il mistero
dell’uomo. Ecco la prima sottolineatura. Noi abbiamo questo testo l’8 settembre,
perché con Maria inizia la storia della salvezza e con Maria si conclude.
Essendo Maria il tipo di ogni discepolo, la storia di un discepolo nasce con
Maria e si conclude nella glorificazione di Maria.
Il testo compare di nuovo
all’inizio della novena di Natale, il 17 dicembre; nella messa vespertina della
vigilia di Natale; nella veglia della notte di Natale. Per me è significativo
che questo testo sia nella notte di Natale, perché noi abbiamo una concezione
consumistica della notte di Natale. Precisiamo che la vera festa di Natale è il
giorno, quando noi, radunati in assemblea liturgica, leggiamo il prologo di
Giovanni, perché lì è il darsi del mistero di Dio. Come è nata la messa di
mezzanotte? Da questo si capisce perché c’è questo testo di Matteo: la messa di
mezzanotte è di notte, perché la Chiesa antica in quella notte celebrava il
concepimento verginale di Maria. Le meraviglie di Dio avvengono di notte! Una
delle percezioni che non abbiamo, perché abbiamo dimenticato il contatto con la
realtà naturale, è che Dio si rivela sempre di notte! Noi non abbiamo un
concetto di notte, perché abbiamo la luce elettrica: per noi la notte è
inconcepibile. Proviamo a fare l’esperienza della notte, senza luci: è
l’impotenza dell’uomo nella potenza di Dio. Il mistero dell’incarnazione, e
quindi della concezione verginale di Maria, avviene di notte, perché è la
gratuità di Dio che si rivela. Noi cristiani abbiamo perso il senso del
mistero: vogliamo capire tutto! Ma la bellezza della rivelazione è il buio in
un cuore innamorato della fede. È la bellezza, a livello interiore, di questa
condiscendenza di Dio: di notte è concepito, al mattino appare - di notte si è
in preghiera, Dio accade; al mattino, nella luce, Dio appare. Ascoltare questo
racconto della genealogia è dire che la storia è di Dio, è dire che egli è
libero e gratuito: Dio si rivela quando vuole e come vuole, perché è innamorato
dell’uomo e l’innamorato è l’uomo della sorpresa. Ecco perché il criterio di
questo brano nella liturgia è sostanzialmente la fedeltà di Dio.
UNA GENEALOGIA DI PECCATORI
Stabilito questo primo
elemento, vi comunico una mia riflessione: quando leggiamo questo testo, ci
accorgiamo che è molto monotono, è secondo lo stile sinagogale, quindi “generò,
generò, generò, generò…”. Noi ci stupiamo, ma sotto c’è un’idea eccezionale:
Dio è meraviglioso nella monotonia feriale. L’uomo di oggi non riesce più a
gustare la vita, perché ricerca sempre la novità, dimenticando la bellezza del
quotidiano, che io traspongo in termini di storia della salvezza. Gesù ha vissuto trent’anni di vita nascosta e
tre anni di vita pubblica: è necessario essere nascosti in Dio, per godere la
presenza di Dio!
Evidenziato questo punto, cerchiamo di entrare nella genealogia
che è considerata il prologo del Vangelo di Matteo. Noi tutti siamo abituati al
prologo del Vangelo di Giovanni e voi sapete che il prologo del Vangelo di
Giovanni è la sintesi di tutto il Vangelo; allo stesso modo, questo prologo di
Matteo è, secondo me, la sintesi di tutto il suo Vangelo.
Vi propongo ora alcune semplici osservazioni.
Proviamo a guardare in faccia questi personaggi. Sicuramente, a
livello esegetico, la successione non è storica, perché storicamente è più
complicata la cosa, ma risponde ad un numero. Io mi sono posto la domanda: come
mai un versetto scritturistico per un conto di matematica, cioè 14-14-14, che dà
come risultato 42? Ma 42 cos’è? 7×6. 7 è la perfezione nel 6 che è
l’incompiutezza, l’imperfezione. La storia di Dio è perfetta nella storia di un
uomo, che è imperfetta. Infatti, subito dopo si dice “Ecco come nacque Gesù”:
7×7= 49, la pienezza della rivelazione! È una mia considerazione, della quale
sono convinto. Questa enumerazione dunque ritraduce la certezza che nell’imperfezione
storica noi gustiamo la perfezione di Dio. L’uomo è sempre tentato dall’essere
perfetto; la gioia dell’uomo è invece la sua imperfezione, perché la perfezione
è un dato che appartiene solamente alla storia di Dio. Questi personaggi,
infatti, se li guardiamo attentamente, sono tutt’altro che santi, costituiscono
una genealogia di peccatori. Mi sono chiesto: “Perché i peccatori nella
genealogia?”. Allora ho fatto l’intervista al Vangelo di Matteo: “Perché sono
così importanti i peccatori nella genealogia di Gesù?”. Ho trovato questa
risposta: nel brano che vedremo la settimana prossima, anche se l’orientamento
sarà diverso, nel sogno l’angelo dice a Giuseppe: “Infatti il bambino che è
generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu
lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati”. (Mt
1,20-21)
Questa genealogia è per i peccatori, perché Dio è venuto per i
peccatori. C’è un capitolo nel Vangelo di Matteo, che noi non conosciamo o
trascuriamo per superficialità: Mt 18,15-20. È il discorso alla comunità, in
cui c’è quel testo, che noi qualche volta citiamo non in modo proprio: “Dove
due o tre sono riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro”. Noi pensiamo
che, per il fatto di essere insieme, ci sia la presenza di Cristo. Gesù non ha
detto questo. “Quando due o tre sono riuniti nel mio nome…”: qual è il nome di
Gesù? “Egli salverà il suo popolo dai suoi peccati”. Di conseguenza:” Quando
due o tre sono riuniti perdonandosi i peccati, io sono in mezzo a loro.”.
Nel prologo di Matteo ritroviamo la bellezza della rivelazione. Perché
tutti questi peccatori? Perché la comunità è peccatrice! Se voi leggete
attentamente: “Se un fratello pecca, avvicinati a lui, rimproveralo…”. Che cosa
vuol dire? Leggo direttamente il testo (Mt 18,15 ss.). Cosa vuol dire la parola
“ammonire”? Noi diremmo: “Hai sbagliato? Ti correggo!”. No! “Hai sbagliato? Io
pago per il tuo peccato, divento il tuo peccato e, dopo essere diventato il tuo
peccato, ti do il perdono.”. Non posso dire al fratello “Sbagli”, se la sua
colpa non l’ho assunta io. Dove due o tre assumono il peccato dell’altro,
facendolo diventare la loro vita, io sono in mezzo a loro. Non avete mai
pensato perché la divina eucaristia incomincia con l’atto penitenziale? Perché
una comunità che si ritrova diventi il peccato dell’intera umanità! Ma il testo
più bello è Mt 18,18. Gesù sta parlando alla comunità, non ai preti, né ai
vescovi, né al Papa, sta parlando a tutti noi: “In verità io vi dico: tutto
quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo e tutto quello che
scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo”. Faccio subito un esempio in
modo che sia chiaro. Marito e moglie, che alla sera, prima di addormentarsi, si
confessano reciprocamente i peccati, esercitano quella che noi chiamiamo la
“confessione ai laici”, che è avvenuta nella Chiesa fino all’epoca di San
Tommaso. È lo scambio del perdono, dove: vado da …, dico il mio peccato, lui lo
assume e mi dà la sua grazia, e viceversa. Questa idea, che per me è molto
vecchia, è sostenuta anche dal cardinale Kasper, quando dice, l’esempio è
riportato da lui, che marito e moglie si scambiano il perdono. È possibile
essere marito e moglie e non scambiarsi il perdono alla sera, confessandosi
reciprocamente, in tanta semplicità? E poiché ci si scambia il perdono
nell’amore perfetto, secondo la dottrina tradizionale, saranno rimandati dopo
al confessore, ma il perdono avviene. E allora, quando si vive così, il
risultato è che, quando due o tre vivono così, Dio è in mezzo a loro! Ecco perché
nella genealogia c’è tutta una serie di peccatori, perché la fedeltà di Dio è
una fedeltà innamorata dell’uomo. E Dio è talmente innamorato dell’uomo che non
fa nient’altro che perdonare. C’è ancora un brano molto importante di Matteo.
Nell’eucaristia, al momento della consacrazione del calice c’è
quell’espressione che è solo nel Vangelo di Matteo: “Questo è il sangue della
nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti, in remissione dei
peccati”. L’eucaristia è il vero perdono dei peccati! C’è un’immagine, cara
alla teologia bizantina, sul pane eucaristico. Nel testo della vocazione di
Isaia (Is 6), quando Dio chiama il profeta perché evangelizzi, il profeta
chiede: “Come posso io, uomo dalle labbra impure, annunciare?” Allora un angelo
prende con le pinze il carbone, glielo mette sulle labbra e brucia. Per i
bizantini, la comunione è questo carbone acceso, perché, quando noi ci
innamoriamo di Gesù nel mistero eucaristico, quell’eucaristia perdona tutti
peccati. È un principio rivoluzionario: voi, pensate di essere perdonati dai
peccati perché andate a confessarvi? La verità della penitenza e l’eucaristia;
lì c’è il perdono vero, quando c’è l’intimità massima con il mistero di Dio e,
poiché il Vangelo di Matteo è il Vangelo del perdono, dove una comunità si
perdona, nella reciprocità ci si scambia il perdono dei peccati.
LE DONNE NELLA GENEALOGIA
Ma c’è un altro particolare nel Vangelo di Matteo: nella
genealogia sono per ben cinque volte citate le donne. Nell’ambito
veterotestamentario, perché Matteo è veterotestamentario, la donna non aveva
importanza, tanto è vero che, quando si legge il libro di Giobbe, alla fine si
dice che Dio diede tre figlie a Giobbe, le più belle del mondo e disse anche i
nomi delle tre ragazze. È strano,
ma è la rivelazione che si apre al nuovo. Matteo, attraverso queste cinque
donne, dice che ci dobbiamo aprire all'orizzonte finale. Come si conclude il
Vangelo di Matteo? “Andate in tutto il mondo, predicate il Vangelo ad ogni
creatura”: a tutti.
Tra le donne, ce n’è una che è favolosa: Rut, la moabita! Noi
sappiamo dalla tradizione dell’Antico Testamento che i matrimoni dovevano
avvenire tra Ebrei, ma una donna moabita è nella di discendenza davidica! È una
cosa, questa, che veramente fa pensare. È importante che siano citate le donne,
perché il Vangelo deve essere aperto a tutta l’umanità.
LA GENEALOGIA, MEMORIA DELL’ALLEANZA TRA DIO E L’UMANITA’
E allora, che cosa possiamo dire ancora? Se noi guardiamo
attentamente, questa genealogia parte da Abramo, l’uomo dell’alleanza. Mentre
Luca ha il discorso della creazione, in Matteo si parte da Abramo, perché per
Matteo la Chiesa è l’Israele realizzato, arrivato a compimento. E allora emerge
una cosa molto bella: Abramo è colui con cui ha inizio l’alleanza nella fede.
Dopo il caos di Babele, che si conclude con Gen 12,1-3, Dio non lascia l’uomo
allo sbando, fa alleanza di nuovo con lui attraverso Abramo, l’uomo della fede.
Guardate sempre quel bel testo “Vattene dalla tua terra, dalla tua casa, dai
tuoi parenti ed io ti benedirò e ti darò una generazione che non finirà mai”,
che richiama la finale di Matteo “Andate nel mondo intero, annunciate il
Vangelo a tutte le creature”.
Nel Vangelo di Matteo ci sono due testi, che possono creare
difficoltà. Il primo narra la missione di Gesù ai discepoli: “Non andate fuori
dalle pecore d’Israele, dovete rimanere nel territorio”. Il secondo racconta della donna siro-fenicia: quando
ella chiede il miracolo e lui risponde “Non son venuto se non per le pecore
perdute della casa d'Israele” (Mt 15,24). Perché? E qui è favoloso, Matteo.
Gesù deve dare compimento all'alleanza con Abramo prima, con Mosè poi. Morendo
in croce, apre l'alleanza con il mondo intero: è la fedeltà nell'obbedienza,
che si apre all’intera umanità. Gesù è il compimento della fedeltà di Dio dell’Antico
Testamento e, nel momento in cui muore, apre l’alleanza al mondo intero! E
allora dal Natale nasce la vocazione universale, che noi ritraduciamo con i
pastori che se ne vanno lodando il Signore: il mondo intero appare
all’orizzonte.
Ed è interessante che
questa di genealogia esprima tutto il cammino dell’alleanza di Dio, tutta la
sua fedeltà: l’alleanza con Abramo, la fede; l’alleanza con Mosè, la legge;
l’alleanza con Davide, la discendenza davidica; l’alleanza profetica; il
ritorno dall’esilio. Nel corso della storia della salvezza, Dio ha talmente
amato l’uomo che, pur di non smettere di mostrargli il suo amore, cambiava
anche i tipi di alleanza, le modalità per dialogare con lui. Quando noi
leggiamo questo brano nel contesto del Natale, dobbiamo riscoprire un amore
all’umanità che diventa fantasia: quando uno ama sul serio non è mai
schematizzato, ma è creativo. Pensiamo alle mamme: per i loro figli fanno anche
l’impossibile, sono creatrici. Ecco perché questa alleanza è la fedeltà di Dio
in atto.
LA GENEALOGIA: IO SONO LA STORIA DI DIO
Ho affrontato solo alcuni passaggi, però penso che un testo, che
può sembrare all’inizio proprio così arido, riletto in profondità, sia ricco di
speranza. E quali sono gli elementi di speranza? Vorrei che non vi fermaste a
Gesù Bambino. Se chiedessi a un ragazzo che cosa celebra a Natale e mi rispondesse:
“Gesù bambino”, lo boccio! Un bambino di quattro anni diceva alla nonna: “Ma
nonna, Gesù bambino non è già nato l’anno scorso?” Obiezione teologica, perché,
nato una volta, non nasce più! Se fosse Gesù Bambino, ci limiteremmo ad andare
davanti al presepe. Perché andiamo a messa, alla morte e resurrezione di Gesù? Noi
siamo qui a prepararci al Natale con questo testo di Matteo, perché La nostra
storia è nella storia di Dio: io, rileggendo la storia di Dio nelle genealogie,
leggo la mia storia. Sono peccatore,
luogo della fedeltà di Dio, che ama l’uomo con un amore inesauribile, di
un’apertura universale e scopro che Dio mi ama talmente, da cambiare i suoi
progetti pur di salvarmi. Quindi la bellezza del Natale non è un bambino, ma
l’amore di Dio che entra nella storia dell’uomo e gli dice: sei la mia storia.
Vi siete mai posti la domanda: perché quando si battezza un
bambino si benedice l’acqua? Non è che si benedica l’acqua (l’acqua benedetta
non esiste, perché sarebbe una magia medievale), ma perché si benedice l’acqua?
Perché l’acqua è il segno della storia di Dio: l’acqua della creazione, l’acqua
del diluvio, l’acqua del Mar Rosso, l’acqua del battesimo nel Giordano, l’acqua
del costato di Cristo, l’acqua battesimale. Sono diventato la storia di Dio. Quindi
il cristiano, quando si domanda: “Chi sono io?”, risponde: “Io sono la storia
di Dio”. È una cosa, questa, che dovremmo riscoprire. Noi, meditando la storia
di Dio, meditiamo la nostra storia: nel Verbo incarnato c’è la nostra storia.
Dio ha creato l’uomo a sua immagine,
perciò noi siamo la storia di Dio. È logico! E se siamo stati creati a immagine
di Dio, la storia di Dio è nella nostra storia, ecco perché tutti andiamo in
Paradiso. Avete capito adesso che la storia di Dio è portare tutti alla
salvezza? Ecco allora il primo elemento, che a livello esistenziale noi
dobbiamo cercare di avvertire.
Il secondo elemento: come possiamo inserire la nostra storia nella
storia di Dio? Partendo da un principio: Dio è fedele, Dio mantiene le sue
promesse. Non dobbiamo però mai chiedere quando e come. Dio ha fatto una
promessa ad Abramo e quando l’ha realizzata? 1800 anni dopo, perché la fedeltà
di Dio non è legata al tempo e allo spazio: oggi Dio è fedele. Io uso
linguaggio molto semplice: stamattina ci siamo svegliati? Respiriamo? È la
fedeltà di Dio. Quando noi ci svegliamo al mattino, l’ho insegnato ai ragazzi
della cresima: “Vi svegliate, state respirando! Grazie Gesù, buongiorno Gesù,
ti mando un bacio”. Per noi adulti, il risveglio è il bacio di Gesù che ci ama.
È molto semplice, è questione di entrare in questa logica.
VERSO IL NATALE
Quindi Dio oggi è fedele, al di là di tutti gli schemi degli
uomini. Pensate per una comunità come quella giudaica, che non dava importanza
alle donne, che cosa significasse inserire le donne nella genealogia: è stato
stravolgere gli schemi. Il Natale allora è scuola della grande libertà
interiore. Se io vi ponessi questa domanda: “Chi sono i discepoli di Emmaus?”,
istintivamente voi direste: “Due uomini”. No, sono un uomo e una donna, infatti
si cita solo un nome, perché l’altro era il nome di una donna e la donna non
contava. L’eucaristia avviene in una famiglia, la famiglia della Chiesa.
La vita, alla luce della genealogia di Matteo, è un sognare
continuo. Io uso una formula, che mi sono inventato: sognare vivendo e vivere
sognando. È vivere nella fedeltà di Dio. Qualche volta non riusciamo a entrare
nella fedeltà di Dio, perché abbiamo degli schemi precostituiti, che ci
impediscono di entrare nella libertà di Dio, ma la salvezza è entrare nella
libertà di Dio, che appare come e quando vuole.
Quando celebriamo un sacramento celebriamo la libertà di Dio, che
non è mai ovvio: Dio è sempre nuovo! Quindi, quando sentirete “generò, generò, generò”,
pensate che nella monotonia si rivela la libertà creatrice di Dio. E allora, la
settimana prima di Natale, dal 17 in poi, andiamo a scuola di quella Parola.
Vi raccomando, non pensate ai regali, che fanno riferimento a riti
arcaici. Il 21 dicembre ricorre il solstizio d’inverno. Le popolazioni agricole
su che cosa costruivano la loro vita? Sul sole! Man mano che il sole decadeva,
un agricoltore diceva: “Qui stiamo perdendo la vita, perché aumenta il buio”. Dopo
il solstizio, incominciavano a prolungarsi le giornate: era la bellezza della
vita che ritornava e queste popolazioni festeggiavano, scambiandosi i regali.
Per noi invece a Natale appare Gesù, come
compimento della fedeltà di Dio, che nella storia dice: “Sono la luce del mondo”.
Nella notte di Dio c’è il mistero; nella luce appare la grandezza di Dio. Tutti
quei riti notturni non sono biblici, sono consumistici, quindi occorre
ritrovare proprio la bellezza di quel silenzio notturno di chi ha ruminato la
storia di Dio. A chi rumina la storia di Dio, Dio è fedele. Allora riusciamo a
capire “il terzo giorno è risuscitato”, perché Dio è fedele.
Ho fatto alcune considerazioni, è bello andare e approfondirle,
perché dovremmo fare come quel pio ebreo, che per tutta la sua vita ha meditato
sempre un unico versetto, lo stesso versetto per tutta la vita, perché la
storia era nuova ogni giorno e il versetto aveva ogni giorno un significato nuovo.
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