QUARTO INCONTRO - VENERDI' 18 DICEMBRE 2020
«IL MESSALE: VIVERE QUESTA FEDE»
Dopo aver meditato il Prologo di Giovanni, per cogliere il senso del
mistero dell'incarnazione, cerchiamo insieme di capire che cosa significhi
avere un messale nella vita della Chiesa. Questo argomento non è estraneo a ciò
che abbiamo cercato di comprendere nei tre venerdì precedenti, perché il
messale è il linguaggio dell'incarnazione di Dio. Il brano evangelico che
abbiamo poc'anzi ascoltato è il contenitore nel quale riusciamo a cogliere
perché esista un messale.
IL MESSALE, UN LIBRO DA PREGARE
In genere, nel cammino delle nostre comunità
cristiane, il primato appartiene alla Sacra Scrittura, alla quale rivolgiamo
particolare attenzione quando ci accostiamo ai Divini Misteri. Se dovessimo
stabilire un rapporto tra il testo della Sacra Scrittura e il messale, potremmo
semplicemente dare questo tipo di definizione: nella Scrittura la comunità
ascolta la parola di Dio celebrata, nel messale prega l'ineffabilità di Dio.
Nella Bibbia Dio viene, nel messale l'uomo va a Dio, avendo come centro la
persona di Gesù. La Bibbia è Gesù in mezzo a noi che parla, il messale è Gesù
in mezzo a noi che prega. Non esiste parola che non diventi preghiera e non esiste
preghiera che non sia animata dalla parola. Questo principio fondamentale, che
abbiamo enunciato in modo essenziale è ciò che noi viviamo ogni volta che
entriamo nella celebrazione: il Signore è presente nella parola di Dio; il
Signore prende il pane e il vino e li rende capolavoro della sua presenza. È il
mistero dell'incarnazione.
IL MESSALE, LINGUAGGIO DELLA CHIESA PER GUSTARE
LA REALE PRESENZA DI CRISTO
Fatta questa premessa, che ci permette di percepire il
messale non come un libro di indicazioni da eseguire, ma soprattutto come un
testo da pregare, noi possiamo cercare di capire quale ne sia il significato.
L'evangelista Matteo conclude la sua narrazione evangelica con l’affermazione:
“Io sono con voi tutti i giorni sino alla fine dei tempi”. Possiamo chiederci:
“Come è presente?”. La domanda diventa molto forte in una cultura come la
nostra in cui siamo dominati dal soggettivismo e dal relativismo. Il messale è
il linguaggio della Chiesa per gustare la reale presenza di Cristo. Non è un
libro da leggere, ma è l'incarnazione orante di una persona. Se notate, ogni
volta che noi preti preghiamo, diciamo: “Per Cristo nostro Signore”. Quando
diciamo la Preghiera Eucaristica “Per Cristo, con Cristo e in Cristo a Te, Dio
Padre Onnipotente …”, il grande attore che prega è il Risorto, per cui pregare
il messale è una profonda esperienza di fede: è Cristo che sta pregando.
Dobbiamo fare un salto di qualità. Quando noi vediamo
un prete all'altare, pensiamo: “È don X, don Y, don Z”. Dovremmo dire: “È
Cristo, realmente presente, che, attraverso il sacerdote che legge o proclama,
sta facendo meraviglie”. Ricordiamo sempre l'episodio dei discepoli di Emmaus,
quando Cleopa narra la storia di Gesù e dà quella definizione molto bella:
“Gesù fu profeta in parole e in opere”. Fu profeta in parole con la Sacra
Scrittura, in opere con i suoi gesti sacramentali. Usare il messale è dire la
propria fede. È la continua incarnazione della presenza di Cristo.
IL MESSALE, TESTO CHE RITRADUCE LA NOSTRA FEDE
Faccio un esempio, in modo che le parole che sentiamo,
o con le quali rispondiamo, diventino significative. In genere, quando iniziamo
la Divina Liturgia, il presbitero usa l’espressione più sintetica: “Il Signore
sia con voi”. L’assemblea risponde: “E con il tuo spirito”. Ma chi dice: “Il
Signore sia con voi”? Quando siamo davanti al messale, lo sfondo è sempre la
rivelazione di Gesù. Come si è presentato Gesù la mattina di Pasqua, quando è
apparso ai discepoli? “La pace sia con voi”. Soffiò su di loro e disse: “Ricevete
lo Spirito Santo “. Quando un presbitero dice “Il Signore sia con voi”, o
formule equivalenti, è il Risorto in persona che con quelle parole ci ricolma
del suo Santo Spirito. Noi, avvolti dal suo Santo Spirito, rispondiamo: “E con
il tuo spirito”. Lo Spirito Santo del Risorto diventa lo Spirito Santo in
ciascuno di noi e noi, guidati dallo Spirito Santo, siamo in comunione con
Gesù. Tutto questo in una semplice formula del messale!
Ecco perché la liturgia non usa il “Buongiorno”, ma
“Il Signore sia con voi”, che rivela la coscienza di una meravigliosa presenza.
Per ben quattro volte il messale ci dice: “Il Signore sia con voi”: all'inizio
della celebrazione; prima della proclamazione del Vangelo; all'inizio della
Preghiera Eucaristica; al termine, prima della conclusione dei Divini Misteri.
Il messale ci ricorda continuamente che il grande protagonista è il Risorto ed
è un aiuto privilegiato per poterne gustare la presenza. Non solo, è il testo
che ritraduce la nostra fede. Qualche volta noi possiamo correre il serio
rischio di andare a messa e porre dei riti,
preoccupandoci di chi canta, chi suona, chi legge, animati dal criterio
dell’organizzazione. Dimentichiamo che il criterio è la bellezza di essere in
relazione con il Risorto.
NEL MESSALE DIVENTIAMO GESU’ CHE PREGA
Un altro linguaggio che il messale usa è “Amen”. Ad
ogni preghiera noi rispondiamo “Amen”. “Per Cristo nostro Signore” - “Amen”;
“Per Cristo ogni onore e gloria nei secoli dei secoli” - “Amen”. Che cosa
significa “Amen”? Questa espressione ha un duplice significato.
Il più facile è: “Siamo in sintonia con quello che Tu,
Signore, hai offerto al Padre”. È il Cristo che prega in noi e con noi. Ecco
perché nel messale il prete dice: “Preghiamo”. Segue un momento di silenzio,
quindi riprende “O Padre”. In quel momento di silenzio poniamo le nostre
preghiere in Gesù, che si rivolge al Padre. Terminata quella preghiera, diciamo
“Amen”, cioè “Tu, presbitero, hai pregato in nome di Gesù: è la nostra fede”.
C’è un secondo significato: “Quello che tu hai
pregato, presbitero, è quello che si sta realizzando nella nostra vita”. “Amen”
è dire e confermare quello che è avvenuto nella nostra vita. Non leggo una
preghiera, ma do voce a Cristo che, nel momento in cui si rivolge al Padre,
qualifica la nostra interiorità. È una cosa favolosa: diventiamo Gesù che
prega. Non si legge un libro, il messale è segno sacramentale di una
meravigliosa presenza. Soprattutto noi diciamo “Amen” alla fine della Preghiera
Eucaristica. Davanti a quel “Per Cristo, con Cristo, in Cristo, a Te, Dio Padre
Onnipotente, nell'unità dello Spirito Santo ogni onore e gloria…”, noi diciamo
o cantiamo “Amen”: “Presbitero, hai espresso la nostra fede, siamo diventati il
mistero vivente di Gesù”.
CON IL MESSALE DIVENTIAMO IL MISTERO DI GESU’
È un'esperienza che ci permette di entrare nel
mistero, ma magari, abituati a parlare molto, in questo momento del messale che
è la Preghiera Eucaristica, sentiamo la fatica di stare in silenzio. Il messale
ci insegna a fare silenzio, perché nel silenzio Cristo realmente prega e noi
diventiamo il suo mistero. Uso un’immagine per cercare di fare comprendere il
senso di quello che sto dicendo. Il centro del messale, la sua parte più
importante, è la Preghiera Eucaristica, costituita da un dialogo iniziale, un
momento di silenzio prolungato, dove prega solo il presbitero, e poi la grande
acclamazione finale: “Amen”. Ma come entriamo in questa grande preghiera?
Attraverso un dialogo, sono parole del messale, che spiega il nostro essere lì
con il Maestro. “Il Signore sia con voi”: siamo avvolti della potenza dello
Spirito Santo e il Signore è il Cristo! Provate a immaginare: in quel momento
non ci siamo noi preti, ma Gesù Risorto, il quale ci dice: “Il Signore sia con
voi”. Noi rispondiamo: “E con il tuo spirito”. In questo clima lo Spirito Santo
rappresenta l'atmosfera che ci rende contemporanei del Signore risorto.
C’è poi l’altra espressione: “In alto i nostri cuori”
-” Sono rivolti al Signore”: è la nostra vita tutta collocata nel mistero di
Dio. Quel “Sono rivolti al Signore” non significa semplicemente che non siamo
distratti, ma “Collochiamo la nostra persona in questo meraviglioso rapporto
con Te, o Signore. Noi siamo qui a celebrare, perché la nostra vita sia
interamente regalata a Te, o Signore”. Quando entriamo nel Signore, scopriamo
le meraviglie di Dio. Il prete, di riflesso, dice: “Allora fratelli rendiamo
grazie al Signore nostro Dio, veramente proclamiamo il nostro rendimento di
grazie al Dio meraviglioso”. Noi rispondiamo: “È quello che stiamo aspettando”:
ed egli continua “È veramente cosa buona e giusta...”. Avete notato come si
inizia, nel nuovo messale, la grande preghiera? “Veramente Santo sei Tu,
Signore!”. Veramente! Questo avverbio esclamativo, veramente, “vere”, esprime
la bellezza di entrare nella gioia del Signore che è lì presente, in silenzio,
perché il Signore, il Risorto, si rivolge al Padre, nelle dinamiche dello
Spirito Santo, per renderci contemporanei dell'ultima cena, per renderci
contemporanei del suo sacrificio glorioso. In quel silenzio siamo come i dodici
a tavola con il Maestro, che lo contemplano, mentre prende il pane, prende il
calice, rendendo grazie al Padre. È un'atmosfera che il messale ci offre,
perché veramente possiamo gustare la presenza del Risorto.
IL MESSALE, LO STILE DI PREGHIERA DELLA CHIESA
Allora si prova la bellezza di essere trasfigurati.
Per essere più chiaro, uso l'immagine dell'esperienza che qualcuno di noi fa.
Quando una persona è al mare, sono possibili due
atteggiamenti. Sta sulla riva del mare e, sulla riva del mare, vede la bellezza
delle acque, ma da una parte è lei, sulla spiaggia, e l'acqua è dall'altra
parte. È l'atteggiamento di tanti cristiani che, alla Preghiera Eucaristica,
sono così: guardano.
C'è un altro atteggiamento, quello di chi va al mare
per nuotare. La Preghiera Eucaristica è nuotare nella storia di Dio. È vivere
la freschezza del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Si esce dal mare in
quel “Per Cristo, con Cristo, in Cristo”: è l'ascensione dell'anima della
comunità che entra nella gloria di Dio.
Il messale incarna questi meravigliosi sentimenti che
dovrebbero qualificare la nostra vita. Noi dimentichiamo una cosa. Forse anche
per motivi storici, tutta la nostra attenzione è rivolta a “Questo è il mio
corpo, questo è il mio sangue”. Se guardiamo attentamente la volontà di Gesù,
perché diventa pane? Perché diventa vino? Perché noi possiamo fare della nostra
vita un solo corpo e un solo spirito. La Chiesa è una comunità inondata dalle
tre Persone Divine. Vi siete mai posti la domanda: “Perché il prete, che è il
vivo sacramento di Cristo Signore, dopo aver pronunciato le parole “Questo è il
mio corpo...questo è il mio sangue”, continua a pregare? Se l'effetto è
avvenuto, perché continua a pregare? Perché qualcosa non è ancora avvenuto.
Gesù diventa pane e vino, perché diventiamo un solo corpo in un solo spirito,
allora, divenuti un solo corpo e un solo spirito, posiamo proclamare: “Per
Cristo, con Cristo e in Cristo, a te, Dio Padre onnipotente, nell'unità dello
Spirito Santo, ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli”. In quel
momento siamo talmente uniti al Signore, che siamo elevati verso l'alto e
diciamo: “Amen: siamo diventati il corpo vivente e glorioso di Cristo presente
e operante nella chiesa in una luminosa fraternità trinitaria.”. Il messale è
lo stile di preghiera della Chiesa.
IL MESSALE, LINGUAGGIO DI CRISTO RISORTO
Siamo all'ultimo elemento di questa analisi: il
messale non è un testo da leggere, o un elenco di riti da compiere, ma è il
linguaggio che Gesù di Nazareth, come Cristo Risorto, utilizza oggi. Pensiamo
al momento della comunione, utilizzando il linguaggio del nuovo messale: “Ecco
l’agnello di Dio, ecco Colui che toglie il peccato del mondo. Beati gli
invitati alla cena delle nozze dell'agnello”. Chi distribuisce il pane? È il
Risorto in persona. Cito un particolare storico e lo cito perché mi ha commosso
e rende esplicito questo concetto. Ero a Giulianova Marche, ho celebrato
l'Eucaristia nella antica chiesa parrocchiale e durante la distribuzione dei
doni eucaristici, vi si è accostato anche il vecchio parroco, che era lì.
Terminata l'Eucaristia, mi ha detto: “Si sarà meravigliato forse che io abbia
fatto la comunione, ma quando lei ha detto, nell'omelia sulla moltiplicazione
dei pani, che a distribuire quel pane erano le mani del Risorto, ho voluto
anch'io prendere il pane dalle mani del Risorto”. Ecco perché non distribuiamo
noi la comunione, ma è il Risorto che, dopo aver celebrato le sue meraviglie,
lui stesso, in persona, a ciascuno di noi dà il suo corpo. Non siamo noi preti,
non sono i ministri straordinari che vi danno il pane, essi sono solo segni, ma
l'attore principale e il contenuto sono il Risorto. Provate a pensare: Se ci
fosse qui il papa, tutti andrebbero fare la comunione da lui: sarebbe
sicuramente una vanità storica. Chiunque distribuisca il pane consacrato è il
Risorto in persona. Ce lo dice il messale.
Perché facciamo la comunione con la mano aperta? È la
nostra povertà che supplica, che desidera la parola della salvezza: “Il corpo
di Cristo”, con lo sguardo rivolto a quel pane. All’ “Amen” quell’atto di fede
diventa una mano piena: la particola nelle nostre mani vuote. Ecco il messale.
Ho fatto alcuni esempi molto semplici, perché se è
vero che dobbiamo studiare la Bibbia, ed è vero, la Bibbia diventa preghiera
nel messale, dove il grande protagonista è il Risorto. In certo qual modo è la
pienezza del cuore che diventa gesto, diventa parola, diventa canto. Noi
facciamo il canto di ingresso. È l'entusiasmo di una comunità che vede apparire
il Risorto. Vivere il messale allora è vivere un cammino credente e ritrovare
una vita spirituale, una vita nella quale uniamo l'interiorità e la fisicità,
il cuore e la sensorialità, per essere veramente trasformati. L'Eucaristia è il
grande miracolo di Gesù, che ci fa creature nuove.
Concludo citando un testo di Sant’Ambrogio che ha avuto grande importanza nei dibattiti del Medioevo, quando ci si confrontava sul principio della consacrazione del pane e del vino. Sant'Ambrogio stabilì un bellissimo paragone, dicendo che la celebrazione eucaristica è come il racconto dell'annunciazione. L'evento dell’annuncio a Maria ci riempie di stupore, ma l'evento eucaristico ci riempie di altrettanto stupore, perché entriamo in un mistero più grande di noi, dove non è l'intelligenza che capisce, ma il cuore innamorato che entra nel mistero di Dio. Il messale vuole aiutarci a vivere questi sentimenti, in modo che non siamo semplicemente presenti ad un rito, ma viviamo una preghiera, che ci rende comunità in comunione, per ritrovare la gioia dello Spirito Santo, trasformando tutti noi nel corpo glorioso di Cristo Gesù.
TERZO INCONTRO - VENERDI' 11 DICEMBRE 2020
«L'ETERNO PROGETTO DI DIO REALIZZA L'UOMO, CONDIVIDENDONE L'ORDINARIO»
(Gv
1,14-18)
«E il Verbo
si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la
sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di
grazia e di verità.
Giovanni gli
dà testimonianza e proclama:
«Era di lui
che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di
me». Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia.
Perché la
Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di
Gesù Cristo. Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è
nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.»
Giovanni nel suo Prologo ci ha prepararti al grande evento
della incarnazione, attraverso quei due passaggi che abbiamo visto negli
incontri precedenti: la contemplazione della gloria di Dio, nella prospettiva
di costruire un uomo generato da Dio. È
la grandezza dell'amore trinitario che si è rivelato nella creazione dell'uomo,
ma questo processo di creazione passa attraverso la bellezza dell'incarnazione,
che l'evangelista Giovanni evidenzia in tre punti: il fatto del Verbo che si fa
carne; la bellezza di una pienezza a cui tutti partecipiamo; perché la bellezza
dell'incarnazione è contemplare il volto di Dio Padre. Rileviamo l’itinerario
di Giovanni: dal Padre al Padre, attraverso l'incarnazione del Figlio.
IL VERBO SI È FATTO CARNE
Il primo passaggio appare in quello che è uno dei testi più
belli della teologia: “Il Verbo si è fatto carne e venne ad abitare in mezzo a
noi e noi abbiamo contemplato la sua gloria”.
“Il Verbo si è fatto carne”. Negli anni in cui si dibatteva
il problema della traduzione di questo versetto, alcuni avevano proposto l'idea
di sostituire alla parola “carne” la parola “uomo”: “e il Verbo si fece uomo”.
Si è però conservato l’originale “carne”, perché la parola “uomo” è un
concetto. Il Verbo è diventato carne: la nostra storia. Qui noi scopriamo la
grandezza dell’incarnazione. Dio diventa veramente uomo e tutto ciò che è
nell'uomo è in Gesù. Quando riflettiamo sul mistero di Gesù, siamo facilmente
proiettati a vederlo Figlio di Dio, ma ci dimentichiamo, dal punto di vista
esistenziale, la sua umanità, che l'evangelista ha ritradotto nel binomio: “Si
fece carne / e venne ad abitare in mezzo a noi”. La bellezza dell'incarnazione è l'amore di
Dio per l'uomo, che porta Dio a diventare veramente uomo. Una delle verità, che
soprattutto oggi si mettono in luce, è l’importanza di riscoprirsi uomini,
amare la nostra umanità, amare l'umanità come l’ha amata il Verbo fatto uomo.
Questa presenza non è statica - “è diventato uomo” - ma è una presenza dinamica
- “e venne ad abitare” -. L’abitare è una relazione, è un rapporto
interpersonale, è una condivisione di sentimenti e di reazioni, è la bellezza
di Gesù uomo che si rapporta con gli uomini, con il linguaggio degli uomini.
Davanti all'incarnazione, siamo davanti all'amore di Dio, che gode di essere
uomo, vivendo come gli altri uomini. Una delle sottolineature della teologia
contemporanea è l'umanità di Gesù: la sua sensibilità, la sua emozionalità, la
sua gestualità.
Molte volte, quando vogliamo comprendere che cosa siano i
sacramenti, o in genere che cosa sia la vita sacramentale nella Chiesa, con il
pensiero andiamo immediatamente a un semplice rito. Ogni sacramento è invece la
gestualità di Gesù di Nazareth, nella luminosità del Risorto. Nella gestualità
di Gesù, è Dio che si pone davanti agli uomini, da uomo, regalandosi loro con
tutta la ricchezza della sua umanità. Nel regime sacramentale gustiamo l’oggi
di Gesù uomo, nella luminosità del Risorto. La bellezza dell'incarnazione è la
gioia di ritrovarci uomini. L'orazione del giorno di Natale ce lo dice in modo
molto chiaro: “Dio, che in modo mirabile ci hai creati, e in modo più mirabile
ci hai rinnovati e redenti, fa’ che possiamo condividere la vita divina del tuo
Figlio, che oggi ha voluto assumere la nostra natura umana". In una simile
visione possiamo comprendere il grande evento dell'incarnazione, che ci
permette di accedere a questo mistero, come linguaggio dell'amore di Dio per
l'uomo.
Qualche volta, considerando l'evento dell'incarnazione,
possiamo inconsciamente cadere nella dinamica del peccato, ma ricordiamoci che
il Verbo si è fatto carne, perché dall'eternità Dio ha pensato l'incarnazione.
È il bel testo che noi conosciamo dell'inno agli Efesini: “In lui ci ha scelti,
prima della creazione del mondo, per trovarci al suo cospetto nell'amore”. Anzi, vorrei che questa immagine ci fosse ben
chiara. Appartiene alla teologia orientale: quando Dio ha creato l'uomo, aveva
davanti a sé il modello del Verbo incarnato. Nel Verbo incarnato perciò c'è la
pienezza dell'amore di Dio per l'uomo. Il Verbo si è fatto carne, perché l'uomo
fosse veramente uomo. Non ci fermiamo più a Gesù Bambino, ma ci rivolgiamo a
questa visione meravigliosa: l'amore di Gesù per l’uomo.
Partendo da questo “Il Verbo si è fatto carne, è venuto ad
abitare in mezzo a noi e noi vedemmo la sua gloria”, immediatamente ci appare
il mistero della croce. L’evangelista Giovanni, nell'ultima cena, raccontando
il tradimento di Giuda, ha una pennellatura che si inserisce perfettamente in
questo testo del Prologo:” Dopo che egli (Giuda) uscì, Gesù disse: “Ora il
Figlio dell'uomo è stato glorificato, e anche Dio è stato glorificato in lui.
Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo
glorificherà subito". È la bellezza della vita di Gesù, che ha come
criterio la gloria del Padre. Tante volte noi dimentichiamo che il mistero del
Natale è legato al mistero della Croce. La bellezza del Natale non è il
presepio, ma andare a celebrare l'Eucaristia e l'Eucaristia è “il Verbo si fece
carne, venne ad abitare e noi vedemmo la sua gloria”. La comunità cristiana è
il luogo della grandezza dell'amore di Dio.
Se noi ci fermassimo al discorso del Natale come Gesù
Bambino, al termine del tempo natalizio potremmo disfare il presepio e… dov'è
andato Gesù? Noi celebriamo Gesù
Bambino, contemplando la gloria di Dio nel mistero pasquale. Questo
probabilmente è anche il senso che Francesco d'Assisi aveva in mente, quando
diede vita al presepio, come si dice tradizionalmente. Vide in quel Gesù Bambino
il Crocifisso, per cui in alcune iconografie anche moderne vediamo dei Gesù
Bambino con le stimmate della croce. Il mistero dell'uomo è infatti il mistero
della croce, perché la croce è la bellezza di Dio. Ecco allora il primo
elemento che l'evangelista Giovanni ci regala, entrando nella contemplazione
dell'incarnazione: l'amore crocifisso di Dio, che Giovanni ha ritradotto in
quella frase: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito,
perché chiunque creda in lui non muoia, ma abbia la vita eterna”. È la
comunione con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.
UNA PIENEZZA A CUI TUTTI PARTECIPIAMO
Tutto questo è ulteriormente espresso dal versetto 16: “e
dalla sua pienezza noi tutti abbiamo…”.
Percepiamo quanto intende comunicare questo versetto, se
andiamo al momento della crocifissione di Gesù, nell'episodio solo giovanneo in
cui il soldato gli trafigge il costato e dal suo fianco sgorgano sangue e
acqua. Davanti al mistero dell'incarnazione, guardiamo il mistero del
Crocifisso in tre momenti.
“Quando ormai tutte le Scritture si erano compiute, disse:
“Ho sete”. È il linguaggio attraverso il quale Gesù dice: “Sono nel Padre e
nella sua volontà”. Dalla pienezza della comunione di amore con il Padre ecco
l'affermazione dell'evangelista: “e dal suo fianco uscì sangue ed acqua”. Sono
tre momenti - il respiro, “ho sete” - acqua e sangue, che sono stati definiti
dai Padri della Chiesa il mistero eucaristico: dall'acqua battesimale al sangue
eucaristico. È una visione questa che noi dovremmo acquisire: “e dalla sua
pienezza”, da quella persona ricca di amore per l'uomo è scaturita la novità
del mondo. Sarebbe bello leggere questo versetto di Giovanni in parallelo con
il capitolo 47 del profeta Ezechiele: “Quell'acqua esce dal lato destro del tempio
e fa nuove tutte le cose”. È la novità del Cristo: l'acqua che scende
nell’Araba e feconda quelle acque, e l'Araba è il Mar Morto. In certo qual modo
nel mistero dell'incarnazione c'è la nuova umanità. Ecco perché, quando noi
siamo davanti al mistero dell'incarnazione, siamo davanti alla pienezza di Dio.
Usando un’immagine, è essere tuffati nell'acqua della Trinità per essere uomini
profondamente ristorati. Anche Paolo ci regala una bella immagine nella Lettera
ai Colossesi, quando dice: “In lui abita corporalmente tutta la pienezza della
divinità e voi avete in lui parte alla sua pienezza”. La bellezza del mistero
dell'incarnazione è gustare la pienezza di Dio. Noi abbiamo ridotto il Natale
in termini devozionalistici e abbiamo dimenticato l'essere assunti nella
bellezza della creatività veramente inesauribile di Dio.
L’INCARNAZIONE È CONTEMPLARE IL VOLTO DEL PADRE
Il terzo punto del Prologo è la finale, “Dio nessuno lo ha
mai visto, il Figlio unigenito che è Dio, ed è nel seno del Padre, è lui che ce
lo ha rivelato”. Partecipare a questa pienezza di Dio è la rivelazione del
volto del Padre. Ricordiamo l'espressione con la quale Filippo si rivolge a
Gesù nell'ultima cena: “Mostraci il Padre e ci basta”? Gesù risponde: “Filippo,
chi ha visto me ha visto il Padre”. È la bellezza della nostra esistenza, che
nell'incarnazione contempla il volto del Padre. Essere nel mistero è dire:
“Abba, Padre”.
Noi qualche volta diciamo che Gesù ci ha insegnato il Padre
Nostro. Se vogliamo essere corretti, Gesù ci ha insegnato solo a dire: “Abba,
Padre”. Il Padre Nostro è nato quando la Chiesa ha voluto incarnare la figura
di Gesù nelle sette petizioni, ma la bellezza è dire: “Abba, Padre”. Martini addirittura, dal punto di vista
pastorale, aveva proposto, per evitare che ci focalizzassimo unicamente sulle
petizioni, che ad ogni petizione aggiungessimo “Padre”:
“Padre nostro che sei nei cieli. Padre, sia santificato il tuo nome. Padre,
venga il tuo regno.” Padre! Dovremmo avere il gusto della paternità di Dio.
Dovremmo aprire lo sguardo del cuore a questi grandi orizzonti. Perché il Verbo
si è fatto carne? Perché noi uomini contemplassimo la fonte della vita: il
Padre.
Mi richiamo a quella che è l'iconografia dei presepi
tradizionali. Quando noi siamo davanti al presepio tradizionale, guardiamo il volto di Gesù Bambino e successivamente
lo sguardo di Giuseppe e Maria, ci accorgiamo che c'è un grande movimento, che
richiama proprio il Prologo di Giovanni. Giuseppe e Maria sono in ginocchio
davanti a Gesù e lo guardano. Gesù guarda Giuseppe e Maria o guarda il Padre?
Lo sguardo di Gesù Bambino è rivolto al Padre. La bellezza del mistero del
Natale è che noi diciamo: “Come sei meraviglioso, o Padre!”. Padre! Tanto è vero che la chiesa antica, in tre
testi del Nuovo Testamento, ci ha regalato l'espressione più vera: “Abba,
Padre”. Ha conservato la forma aramaica “Abba”, perché ogni volta che noi
dicessimo Padre, ci ponessimo nell’atteggiamento interiore di Gesù, che si
rivolge al Padre e gustassimo la dimensione della relazione tra il Figlio e il
Padre. La bellezza dell'incarnazione è gustare la bellezza del Padre. Ecco
perché nei primi secoli della chiesa il Padre Nostro era una formula
sacramentale dove, guidati dallo Spirito, si vivevano i sentimenti di Gesù,
nella circolarità di amore con il Padre. Se noi cristiani riuscissimo a
coglierne la profondità, supereremmo certi linguaggi esteriori e ci troveremmo
nell'intimità di Dio. Natale non è Gesù Bambino, ma la Trinità innamorata
dell'uomo, perché l'uomo, guidato dallo Spirito Santo, entri In questa Trinità.
Pensate come sarebbe bello se noi, davanti al presepio, dicessimo: “Abba,
Padre”! Quella parola sarebbe la pienezza della nostra vita. La Chiesa antica,
Paolo ce lo ricorda nella Lettera ai Galati, ha coniato l’affermazione: “Quando
venne la pienezza dei tempi, Dio mandò suo Figlio, nato da donna, nato sotto la
legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge e ricevessimo l'adozione
a figli. E che voi siate figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei
nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: “Abba, Padre!”. È in certo
qual modo il respiro dell'anima davanti al mistero della vita.
Credo che il Prologo di Giovanni ci aiuti veramente ad
entrare in questo mistero. Perché il Verbo si è fatto carne? Perché noi uomini non potevamo vivere se non
nel desiderio di vedere il volto del Padre. È interessante come la liturgia,
nella celebrazione della vigilia, usi un'espressione molto bella: “O Dio, che
ogni anno ci fai vivere nella gioia questa vigilia del Natale, concedi che
possiamo guardare senza timore, quando verrà come giudice, il Cristo tuo Figlio
che accogliamo in festa come Redentore.”. È la bellezza del volto del Padre.
Questo è il senso del Prologo, come dicevamo all'inizio: dal Padre al Padre,
nel condividere la vita di Gesù. Se ce ne rendessimo conto, nascerebbe nel
nostro spirito una forte tensione verso questo mistero di gloria, nel quale
possiamo ritrovare veramente noi stessi.
Quello che è bello è che questo discorso è il mistero
eucaristico. L'Eucaristia è quello che abbiamo detto questa mattina: il Verbo
si fa carne nell'assemblea liturgica, viene ad abitare nella convivialità;
nella convivialità noi gustiamo di essere nella sua pienezza e dalla sua
pienezza tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia, perché partecipiamo alla
pienezza di Gesù. Tutta l'Eucaristia è una preghiera al Padre, per cui essa è
la pienezza dell'incarnazione. Allora non diciamo più, come raccomandavo
all'inizio: “Vado a messa”. Diciamo invece: “Vado a far comunione con i fratelli,
per gustare il volto del Cristo, che mi orienta a contemplare il Padre”. San
Gregorio Magno introdusse il Padre Nostro prima della convivialità eucaristica,
perché ci accostassimo a quel pane e a quel vino per contemplare Gesù, che ci
indirizza verso il Padre. In questa prospettiva, la vita diventa diversa:
respiriamo il Padre. È la bellezza del mistero dell'incarnazione, che avrà la
sua piena rivelazione nell' Epifania, quando ci si rivelerà la gloria di Dio e
gusteremo la gioia di essere nella comunione con il Padre, nella luce dello
Spirito, avendo al centro il volto luminoso del Figlio amato.
SECONDO INCONTRO - VENERDI' 4 DICEMBRE 2020
«L'ETERNO PROGETTO DI DIO REALIZZA L'UOMO, CONDIVIDENDONE L'ORDINARIO»
(Gv
1,6-13)
«Venne un
uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per
dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era
lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. Veniva nel mondo la luce
vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per
mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i
suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di
diventare figli di Dio:
a quelli che
credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere
di uomo, ma da Dio sono stati generati.»
L'evangelista Giovanni, dopo averci introdotti nel
grande disegno di Dio, dopo averci presentato la vita all'interno del Dio della
rivelazione, oggi ci inizia ad un cammino che sostanzialmente, nel brano che
abbiamo ascoltato, si ritraduce in tre passaggi: la figura di Giovanni; il
dramma dell'umanità che non accoglie la luce; la bellezza della nostra identità
umana. Sono tre aspetti che l'evangelista evidenzia, perché possiamo crescere
nel desiderio del mistero del Dio che si fa carne.
LA FIGURA DI GIOVANNI
Il primo aspetto è dato dalla figura di Giovanni. In
tutta la tradizione evangelica, la figura di Giovanni è essenziale per andare
incontro a Gesù. Ci accorgeremo che le prossime due domeniche d'Avvento sono
dominate da Giovanni. Guardando questa figura, nasce dentro di noi l’interrogativo:
“Perché Giovanni, anche nel Prologo, è così importante?” Entriamo ancora nella
storia di Dio: ogni manifestazione di Dio è da Dio preparata. Noi possiamo dare
un’ampia visione, l'Antico Testamento, ma essa si ritraduce in una persona:
Giovanni il Battezzatore. Per poter accogliere il Verbo incarnato, occorre
diventare alunni di Giovanni. Nello stesso quarto Vangelo, il rimprovero che
Gesù farà ai suoi ascoltatori è di non essere stati alunni di Giovanni: “Per
poco tempo siete stati suoi alunni", perché Giovanni, dice un altro brano
del Vangelo, gode quando lo sposo incontra la sua sposa.
A me piace vedere questa figura, come la figura di
colui che fa desiderare. È un principio centrale in ogni cammino esistenziale:
ogni persona, quando attende, deve desiderare e il desiderio, fondamentalmente,
è essere testimoni della verità. Desiderare la luce, desiderare la verità,
desiderare una vita di comunione: sono i tre elementi che noi possiamo cogliere
in Giovanni, per potere andare incontro al Signore in modo autentico. Poniamoci
una semplice domanda: “Andando verso la venuta del Maestro, il cuore che cosa
sta desiderando? Giovanni è colui che ci
permette di avere un cuore che desidera la verità: desidera la rivelazione di
Dio. Quando, domenica prossima, ascolteremo la frase di Giovanni, il quale è
venuto per dare un battesimo per il perdono dei peccati, sentiremo che ci
parlerà del battesimo di acqua. L'acqua esprime il desiderio, la sete, e il
perdono dei peccati è la novità del mondo. La figura di Giovanni ci fa
desiderare la verità, la comunione divina, la piena realizzazione della
creatura umana.
Se non ci accostiamo alla sua persona e al mistero
che in essa è racchiuso, non stiamo aspettando il dono che viene dall'alto.
Qualche volta noi siamo un po' riduzionisti davanti all'evento
dell’incarnazione e ci leghiamo troppo a Gesù Bambino. La liturgia invece ci fa
desiderare il mistero meraviglioso di Dio. È il desiderio che ci apre ad una
grandezza: Dio che si manifesta. Se in certo qual modo ci appare un Giovanni
molto austero, è perché l’attendere è purificarci da tutto ciò che non
corrisponde al desiderio di Dio, per entrare in quella grandezza che è Dio che
entra nella nostra storia. Ecco il primo passaggio che dobbiamo acquisire:
essere persone che vivono alla luce della figura di Giovanni. Uno dei drammi
che si sta vivendo nella chiesa è che, davanti al Natale, il criterio sono i
doni, non il Dono. Questo significa che non desideriamo il donarsi di Dio.
Ricordiamo che il Prologo, prima di presentarci Giovanni, ci ha collocati nel
mistero di Dio, perché Giovanni è la mano di Dio per imparare ad accogliere il
Figlio di Dio.
IL DRAMMA DELL’UMANITA’ CHE NON ACCOGLIE LA LUCE
Non essendo stata accolta la figura di Giovanni, Gesù
non è stato accolto: “Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui,
eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne tra i suoi e i suoi non lo hanno
accolto”. Questa dimensione negativa si spiega perché gli Ebrei non hanno
desiderato in una piena apertura sul Dio della rivelazione, non hanno avuto la
purezza di cuore di porre la propria esistenza davanti alla rivelazione di Dio.
C’è una tradizione che il passato ci ha regalato e
che è esistenzialmente molto importante: davanti a una grande festa, la chiesa
poneva la comunità in stato di digiuno.
Giovanni viene dal deserto, con uno stile di vita molto austero. Qual è
il senso del suo stile di vita, che si richiama alla figura del profeta Elia?
Che cos'è il digiuno? È l'espressione esistenziale di un desiderio. Richiede di
passare dai desideri di tipo storicistico, di questo mondo, alla tensione verso
il desiderio di Qualcuno che viene dall'alto: rinuncio al cibo storico, per
gustare il cibo eterno. Chi non entra in questo tipo di esistenza, del
desiderio che si lascia continuamente purificare, non incontrerà il Signore.
Qualche volta, per evidenziare questo dramma, utilizzo un'espressione molto
cara agli studenti: "L'Epifania tutte le feste le porta via”. L'Epifania
non è questo, ma l'apertura sulla festa che non ha confini. È la manifestazione
della gloria di Dio che fa desiderare l'incontro con Dio. È la prassi, ormai
purtroppo obsoleta, del digiuno eucaristico, che non è non mangiare, ma rendere
il cuore puro, perché possa essere riempito dalla fecondità di Dio. “e i suoi
non lo hanno accolto” perché non hanno purificato il cuore, rendendolo aperto
al Dio che viene.
Faccio un esempio molto banale: una volta per i
ragazzi la festa di Santa Lucia era l'imprevisto. Oggi essi sanno già quello
che arriva loro. Andare incontro al Signore è andare incontro all'imprevisto, a
qualcosa che noi desideriamo, ma non conosciamo. La bellezza dell'incarnazione
è la bellezza dell'incontro con un Dio che ci affascina, ci riempie di stupore
e ci dice: “Cammina con me, segui la luce che sono io e avrai la vita”.
Giovanni ci aiuta a camminare, ad avere un cuore puro, per essere aperti allo
stupore del Dio che viene.
LA BELLEZZA DELLA NOSTRA IDENTITA’ UMANA
Tutto questo è importante per ritrovare la bellezza
di essere uomini. C’è una domanda che potrebbe nascere, rileggendo questo brano
del Prologo di Giovanni: “Come mai l'evangelista ha messo questa espressione
negativa: “Venne tra i suoi e i suoi non lo hanno accolto”? La risposta è che
l'atteggiamento di non predisporsi ad accogliere il Signore ci impedisce di
capire la bellezza di essere uomini. Attendere il Verbo incarnato nasce da un
desiderio intenso, all'interno della persona, della bellezza della propria
identità umana. È il brano sul quale ci soffermiamo adesso, che è un
capolavoro, soprattutto se rileggiamo questo testo in parallelo con quello che,
con ogni probabilità, è il testo originale, in uno dei codici più antichi del
Vangelo di Giovanni. Vi richiamo il testo che abbiamo proclamato, al quale farò
seguire il testo originale, che ci fa dire quanto stupore deve entrare nel
nostro spirito.
“A quanti però lo hanno accolto ha dato il potere di
diventare figli di Dio. A quelli che credono nel suo nome, i quali non da
sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati
generati”. Già questa lettura ci fa comprendere che la bellezza d'essere
uomini, figli di Dio, è essere generati da Dio. Spesso, quando noi celebriamo
il battesimo, usiamo l’espressione esatta “Diventi figlio di Dio”, ma il testo
di Giovanni ci fa riflettere: “Sei generato da Dio”. Noi diciamo che siamo
generati dai nostri genitori, qui entriamo nella profondità del mistero: “Siamo
dei generati da Dio”. È una cosa questa che ci riempie di stupore. In quella
povertà di acqua, due gocce, un uomo è generato da Dio, generato dal Padre, che
contempla il Figlio, perché, nello Spirito Santo, quella persona sia il Cristo
luminoso. Accostarci a Giovanni è desiderare d'entrare in questa generazione
divina. Il Verbo si fa carne, per generarci nel mondo di Dio.
Ora passiamo a quello che, con ogni probabilità, è il
testo originario, e scopriremo che il fascino diventa più grande. Così dice il
testo, secondo la visione antica del Codice Vaticano: “A quanti però lo hanno
accolto ha dato potere di diventare figli di Dio, a quelli che credono nel suo
nome, il quale, Gesù, non da sangue, non da volere di carne, né da volere di
uomo, ma da Dio è stato generato”.
Questo è un testo meraviglioso! Fa parte dei tre testi del Nuovo
Testamento che giustificano la visione della maternità verginale di Maria. Chi
è il “generato da Dio”? Non lo diciamo
tutte le domeniche nel Credo? “Generato non creato”. La bellezza della nostra
identità umana è partecipare alla generazione eterna del Verbo. È una cosa che
noi non riusciamo a capire. Dobbiamo prepararci con un forte digiuno interiore,
per entrare in questa meravigliosa ricchezza: come il Verbo, incarnandosi, è un
“generato da Dio”, così noi siamo persone che, in lui, vengono generate da Dio.
Appare una lettura dell’esistenza veramente luminosa. Cos'è la vita? È un essere generati continuamente da Dio, in
Gesù.
C'è un'espressione nel Vangelo di
Giovanni che è molto stimolante, perché ci fa capire la forte connessione tra
Giovanni - Gesù - la nostra identità umana. Andiamo al dialogo notturno tra
Gesù e Nicodemo, in quei tre passaggi.” In verità, in verità ti dico: “Se uno
non nasce dall'alto, non può vedere il regno di Dio.... In verità In verità ti
dico: se uno non nasce da acqua e da Spirito non può entrare nel regno di
Dio... Il vento soffia dove vuole e non sai da dove viene e dove va; così è di
chiunque è nato dallo Spirito". La prima espressione è: “In verità In
verità ti dico: “Se uno non nasce dall'alto non può vedere…”. Significa che
nasce dal mistero di Gesù, il quale ha detto: “Io sono di lassù, voi siete di
quaggiù; io sono celeste, voi siete terrestri”, in conformità all'inizio del
Prologo “In principio era il Verbo”. Quindi la nostra esistenza è nascere, lo
accennavamo la settimana scorsa, dal mistero di Dio.
Questo comporta il nascere dall'acqua e dallo Spirito
Santo, dal desiderio che genera Giovanni il Battista, con il suo battezzare
nell'acqua, al compimento, che è essere immersi nello Spirito Santo. Il
cristiano, di conseguenza, nasce dallo Spirito. Come su Gesù è sceso lo
Spirito, e Gesù ha costruito tutta la sua vita nello Spirito Santo, così il
battezzato, nato da Dio, che vive nella sete di Dio, è continuamente guidato
dallo Spirito di Dio.
Questo è il secondo passo nel cammino che il Prologo
propone per accostarsi al Natale. E tutto questo è sempre attuale
nell'Eucaristia. L'Eucaristia è la gioia di vivere il nascere da Dio. Noi siamo
generati da Dio. Molte volte dimentichiamo che l'Eucaristia è il grande
miracolo che ci rende creature luminose. Il Signore, che è presente, ci rende
partecipi del suo corpo e del suo sangue nel pane e nel vino, per darci la
luminosità di essere generati da Dio. Questo ci introduce in una realtà così
profonda che ci fa gustare di incontrare la bellezza di Dio. Quando devo
spiegare queste cose a scuola, dico che la bellezza del mistero dell'Eucaristia
è terminare la celebrazione con un infarto d'amore, per poter gustare la
bellezza e la grandezza di Dio. È il desiderio che Giovanni mette in ciascuno
di noi. Con questi sentimenti ci poniamo attorno all'altare, per godere di
essere rigenerati da Dio: generati nelle acque battesimali, rigenerati nel
mistero eucaristico, per essere di luminosità eterna quando potremo assiderci
al banchetto delle nozze eterne.
PRIMO INCONTRO - VENERDI' 27 NOVEMBRE 2020
«L'ETERNO PROGETTO DI DIO REALIZZA L'UOMO, CONDIVIDENDONE L'ORDINARIO»
Dal Vangelo secondo Giovanni
(Gv
1,1-5)
«In principio era il Verbo, e il
Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.
2Egli era, in principio, presso Dio: 3tutto è stato fatto per mezzo di
lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
4In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; 5la luce splende
nelle tenebre e le tenebre non l'hanno vinta.»
IL PROLOGO, PIENEZZA DELLA STORIA DI DIO
Prepararsi al grande evento del Natale vuol dire diventare
alunni del mistero di Dio e la Chiesa, attraverso i suoi testi liturgici, ci
offre il volto di Colui che stiamo attendendo. Noi spesse volte, anche per
motivi culturali, diamo tanta importanza alla messa di mezzanotte, ma la vera
Eucaristia del Natale è la messa del giorno, quando, al Vangelo, la Chiesa ci
presenta il Prologo di Giovanni.
Iniziamo a cogliere perché la Chiesa ci offra questo testo
a Natale, perché la bellezza del Prologo sia stata assunta dalla comunità
cristiana per dire il Natale. In genere siamo molto portati a porre
l’attenzione su Gesù Bambino. Se guardiamo il testo del Prologo, siamo invece
davanti a tutta la storia di Dio. Possiamo contemplare il Natale perché
conosciamo tutta la storia di Gesù. È una verità questa che noi dovremmo
continuamente cercare di ritrovare nel nostro spirito. Chi conosce tutto di
Cristo, conosce il frammento della sua vita. Ecco perché la Chiesa, il giorno
del Natale, ci offre il Prologo: è la pienezza della storia di Dio, la sintesi
di tutto il Vangelo di Giovanni. Qualche volta ci si pone la domanda: “Come mai
Il Vangelo di Giovanni è diverso dal Vangelo di Matteo, di Marco e di Luca?” La
risposta è molto semplice: davanti al rischio di vedere la storia di Gesù in
piccoli frammenti di vita, Giovanni ha voluto dirci che la bellezza del Natale
è contemplare la pienezza della figura di Gesù. Tre sono i passaggi del Prologo
che evidenziano come il Natale sia tutto nel mistero di Dio. Ecco i tre aspetti
su cui vogliamo soffermarci, in semplicità.
IL PRINCIPIO DELL’INCARNAZIONE
Innanzitutto, il mistero della comunione all'interno della
Trinità è il principio dell'Incarnazione. “In principio era il Verbo e il Verbo
era presso Dio e il Verbo era Dio”: è la descrizione semplice della vita nel
mondo della Trinità. “In principio era il Verbo”: in principio c'era un mistero
di silenzio, dove il Padre regalava se stesso al Figlio. È la bellezza di
vedere l'origine dell'umanità nel mistero di Dio. E non solo “In principio era
il Verbo”, ma “il Verbo era presso Dio”, dove l'espressione “presso” non vuol
dire l’uno accanto all'altro, come fossero due statue una vicina all'altra.
Quel “presso” dice che i due vivevano un’intimità relazionale meravigliosa, per
cui, quando noi entriamo nel Natale, entriamo in questa origine dell'uomo: il
rapporto Padre/ Figlio, nello Spirito Santo. Dovremmo imparare a guardare il
Natale partendo dalla vita di Dio, con lo sguardo rivolto verso l'alto,
entrando in questa meravigliosa reciprocità Padre/ Figlio. È una realtà che non
dobbiamo mai dimenticare.
L’UOMO SCATURISCE DAL RAPPORTO
INTRATRINITARIO
Una delle verità, che a causa di situazioni culturali oggi
abbiamo perso, è che noi respiriamo la vita trinitaria. Qualche volta pensiamo
che la vita è un mistero, che non comprendiamo, ma il mistero di Dio è da
capire o il mistero di Dio è da vivere? La rivelazione di Dio è una vita
regalata. Noi siamo molto presi dal pensare, ma a forza di pensare, riduciamo
Dio a nostra immagine e somiglianza. La bellezza di “In principio era il Verbo
e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio” è la possibilità di gustare, a
livello di vita, il meraviglioso rapporto Padre/Figlio nello Spirito
Santo. Da questo grande mistero nasce la
creazione: “Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di
lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste”. La storia degli
uomini è l'incarnazione della storia di Dio.
Qualche volta in noi nascono le grandi domande: “Chi sono
io? Cos'è il mondo? Cos'è il creato?”. Allora ci accorgiamo che tutto ciò che
esiste è l’atto creativo di Dio. Ci chiediamo: “Perché Dio ha creato?” e
“Perché Dio ha creato l'uomo?”. In quel momento si deve passare
dall'intelligenza allo stupore, dal ragionamento alla bellezza, per riuscire a
cogliere la bellezza della nostra esistenza. Davanti al bello, l'uomo rinuncia
a pensare e incomincia a gustare.
Ogni volta che ci poniamo la domanda: “Perché Dio mi ha
creato?”, la risposta è “Perché partecipassi alla Fonte della vita, che è
l'amore Padre/ Figlio, nello Spirito Santo". Ecco perché la seconda
Persona della Santissima Trinità è chiamata Verbo, Parola. Che cos'è la parola?
È un'intimità regalata agli altri. La parola è il linguaggio di una grande vita
interiore. Quindi tutto è stato fatto per mezzo del Verbo, perché noi
partecipassimo, il mondo fosse la luminosità di Dio Trinità. Una delle
sottolineature negative che i nostri fratelli bizantini ci rivolgono è non
avere un vero amore per il Padre. Guardiamo a Gesù, ma dimentichiamo il Padre,
fonte della vita, fonte dell'amore, principio della meravigliosa relazione con
il Figlio. Allora riusciamo a capire la ragione per cui Papa Francesco ci abbia
dato l'enciclica "Laudato si'":
perché il primo atteggiamento dell'uomo, davanti al
creato, è gustare la bellezza di
Dio.
Potremmo stabilire questo tipo di rapporto, che la liturgia
antica ha creato. Quando noi andiamo alla messa di mezzanotte, dovremmo porci
questa domanda: “Qual è il senso della messa di mezzanotte?”. La storia ci dà
una meravigliosa risposta: “E’ una comunità che, nel silenzio e nel buio, si
pone nel mistero di Dio”. Si entra nella bellezza di Dio. La festa più antica
del mistero del Natale è la notte del concepimento verginale di Maria. È
favoloso: il concepimento verginale di Maria! È incomprensibile per noi, è
entrare in un grande mistero. Per chi nella notte entra in questo mistero,
perché Dio ama essere meraviglioso nel buio: al mattino il Verbo si è fatto
carne. Si entra nella bellezza di Dio!
Nella notte, luogo della creatività divina, l'uomo potrà gustare
l'Incarnazione, la bellezza del creato!
Papa Benedetto nel suo documento Verbum Domini, sulla bellezza della
presenza sacramentale del Cristo nella chiesa, fa un'affermazione fondamentale
per poter accedere alla bellezza e alla grandezza del Natale. "Il primo
luogo dove noi possiamo sperimentare la presenza di Dio è il creato". Il
creato è la presenza trinitaria: la
bellezza del Padre, attraverso la bontà del Figlio, nella creatività
meravigliosa dello Spirito Santo. Usando un'immagine cara alla liturgia: la
creazione è il danzare della Trinità che dà origine al creato. Occorre
introdursi in questo mistero con la coscienza della bellezza di Dio. Oggi si
dice che, se vogliamo trovare il fondo della nostra esperienza di fede,
dobbiamo imparare due parole: lo stupore e il rendimento di grazie. La bellezza
ci riempie di tanta grandezza divina, che non possiamo non cantare la nostra
gratitudine.
Quando voglio definire la figura di un santo, uso questa
formula: “Chi è il santo? È colui che, sentendosi tutta grazia, tutto
capolavoro dell'amore di Dio, canta la gratitudine, dice sempre: “Grazie”.
Nella chiesa antica di rito copto (Alessandria d'Egitto) la prima preghiera del
mattino era: “L'anima mia magnifica il Signore”: era cantare la bellezza di
Dio. Ecco allora il secondo passaggio: questa vita divina, che ci è regalata
nel creato. “Tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla esiste
di tutto ciò che è stato fatto”.
CRISTO, LUCE DEGLI UOMINI
Allora il terzo passaggio della nostra riflessione è
logico: “In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini. La luce splende
nelle tenebre e le tenebre non l'hanno vinta”. La luce è lui, il Cristo è la
luce. Ma che cos'è la luce? Noi in certo qual modo, a causa delle nostre
tecnologie elettriche, abbiamo dimenticato il concetto di luce. Papa Benedetto
ha spiegato il senso della luce soprattutto nell'enciclica firmata da
Francesco, ma opera di Benedetto,
Lumen Fidei. Ha definito la luce come la sintesi di tre valori:
la luce come capacità di vedere; la luce come cuore innamorato: il calore; la
luce come strada da seguire nel tempo e nello spazio. Il Verbo che noi stiamo
aspettando è la luce.
Ora la bellezza della luce è la vita, e innanzitutto la
capacità di vedere: “Un popolo che camminava nelle tenebre vide una grande
luce”. È il senso della vita. Qualche volta ci poniamo la domanda su quale sia
il senso della vita e oggi esistono tanti profeti che intendono indicarci il
senso della vita.
Prepararsi al Natale è prepararsi e Gesù, luce, senso della
vita; è, entrare nel buio della notte per accogliere la luce, una luce che dà
calore. Infatti, esiste un fatto fisico molto interessante: quando uno ha dei
blocchi nel camminare, le applicazioni di calore gli ridanno la capacità di
camminare, svegliando i muscoli.
Quindi la luce, Cristo, illumina e riscalda e, quando
l'uomo è nell’esperienza di essere riscaldato, ed è il terzo momento, sa
camminare in avanti e la vita è un grande cammino. Allora credo che questa
nostra primo incontro a contatto con il Prologo di Giovanni ci faccia intuire
che, se voglio cogliere la bellezza del Verbo che si fa carne, devo partire dal
mistero di Dio.
Oggi si fa un'affermazione molto bella: “Se vuoi vivere,
va’ al di là del visibile. Se vuoi vivere, ritrova la tua vocazione alla poesia
e alla musica. Se vuoi vivere, gusta la bellezza”. Dobbiamo mettere questa
prima tappa, nella prospettiva del Prologo di Giovanni in questa meravigliosa
luce: la vita trinitaria, dalla quale nasce il creato, per poter essere immersi
nella luce.
Ma, se non abbiamo il desiderio di spalancare la nostra
vita a questo grande mistero, che cosa sarà il Natale? Una delle tristezze che
il cristiano vive in questo tempo è che il Natale sia l'andare a mangiare e non
il gustare quell'amore trinitario che avvolge l'uomo e gli dà il senso della
vita. Quindi come prima tappa: guardiamo in alto; guardando in alto, dall'alto
viene la Sapienza, questa Sapienza che è la bellezza della vita. Non abbiamo paura
di guardare in alto! Tante volte noi Bergamaschi, che siamo molto concreti,
usiamo l’espressione “mettere i piedi per terra”, ma, a forza di mettere i
piedi per terra, ragioniamo con i piedi. Dobbiamo proprio imparare a respirare
qualcosa di grande, perché la notte di Natale per grazia diventerà quella luce.
L'Eucaristia che stiamo celebrando non è questo? Se guardiamo attentamente il Vangelo di
Giovanni, tutta la grandezza del Vangelo di Giovanni si riassume nel banchetto
eucaristico. Quando, al capitolo 21, parla del miracolo sul lago, dice che Gesù
aveva preparato sulla riva del lago un picnic per i discepoli: è l'Eucaristia.
Il testo dice: “Allora non gli posero più la domanda chi fosse, perché erano
consapevoli che era lui”. L'Eucaristia che stiamo celebrando è il desiderio di
Gesù. A me non piace l’espressione “andare a messa”: ma andiamo a celebrare il
desiderio di stare con Gesù, nel meraviglioso e misterioso gesto della
convivialità, come il criterio di fondo della vita. Il Natale è per chi sta desiderando
la venuta di Cristo Maestro, lo gusta nella fede e nel sacramento oggi, per poi
contemplarne la presenza gloriosa nella Gerusalemme celeste.
Pensa a tutti quelli
che nasceranno
Tutto quello che abbiamo ascoltato, che i nostri padri hanno raccontato, non lo nasconderemo ai nostri figli.
Alle generazioni future diremo tutte le imprese compiute da Dio.
Egli diede questa legge a Israele: quanto ha comandato ai padri va comunicato ai figli; quando i figli diventano padri devono trasmetterlo ai bambini.
Così è pervenuta a noi la notizia delle Sue azioni:
ci ha raggiunti la fiducia in Lui e l'obbedienza ai Suoi comandamenti.
(Salmo
77)
da “la nuova bibbia salani”
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