03 aprile 2016

II DOMENICA DI PASQUA (o della Divina Misericordia) - Anno C -

At 5,12-16               Ap 1,9-11. 12-13. 17-19             Gv 20,19-31
OMELIA
La gioia feconda dell'esperienza del Risorto si ritraduce nell'atto di fede.

Sono le espressioni che troviamo sulle labbra di Tommaso “Mio Signore e mio Dio” e nel momento in cui  cerchiamo di cogliere la profondità e la densità di questa espressione dell'apostolo, ritroviamo come la bellezza del rivelarsi di Dio e della sua misericordia abbia la sua fecondità solo in queste parole: “Mio Signore e mio Dio”.

Infatti la bellezza della fede è quella di un meraviglioso dialogo; da una parte tutta quella condiscendenza amorosa di Dio che avvolge la nostra storia, che non è nient'altro che l'eternità che entra nel nostro tempo e, dall'altra, l'uomo che si lascia attirare in questa meravigliosa esperienza per cui l'atto di fede è il traboccare cosciente di una pienezza che ha ricolmato l'uomo.

La bellezza della fede è la potenza di Dio personalizzata.

Non per niente nella formula di fede dell'apostolo troviamo quei due aggettivi possessivi: mio signore e mio Dio, aggettivo possessivo che abbiamo udito nell'incontro tra Gesù e Maria di Magdala :“Mio maestro!”. La bellezza della fede diventa l'espressione di essere stati conquistati dalla personalità di Gesù; l'assenza dell'atto di fede rende infecondo tutto il processo della storia della salvezza. Rileggere il Vangelo di oggi vuol dire ritrovare questa meravigliosa esperienza dialogica dove, da una parte il contenuto della fede è la conclusione del brano evangelico dove si afferma chiaramente che la bellezza della fede è partire dall'espressione: “Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio” e questa espressione rileggerla, a livello personale, come il senso della vita. È molto bello vedere i tre passaggi della formulazione che ci ha offerto l'evangelista Giovanni.

Innanzitutto la persona di Gesù, la storia di Gesù, la condiscendenza amorosa e misericordiosa di Dio sono il punto di partenza del nostro cammino di fede. In quel Gesù  ritroviamo la grandezza di una persona talmente innamorata dell'uomo da diventare uomo. L'atto di fede nasce dall'amore all'umanità di Gesù, non si può giungere all'atto di fede saltando l'umanità di Gesù. La bellezza della fede è lasciarci penetrare da questa parola: " Gesù “.

Infatti “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”.

Un atto di fede che sia lontano dalla profonda incarnazione storica non può esistere. La bellezza della fede è gustare l'umanità di Gesù.

Quando l'uomo entra nell'umanità di Gesù, scopriamo la profondità della seconda affermazione: il Cristo, il luogo della fedeltà divina, una umanità in cui il divino è attivo ed operante.

Quando ci accostiamo a Gesù e ci accostiamo a Gesù nel profondo della sua realtà, scopriamo la bellezza della fecondità divina. Questo l'ha detto molto bene Gesù quando, nella conclusione della lavanda dei piedi, dopo aver assunto le vesti, Gesù dice ai discepoli: “Voi mi chiamate il Maestro e il Signore e dite bene; se dunque io  il Signore e il Maestro ho fatto queste cose anche voi dovete comportarvi come mi sono comportato io”. Entrare nell'umanità di Gesù è entrare in colui che è il Maestro che ci introduce nella fedeltà del Padre: Gesù nella risurrezione diventa il Signore! In certo qual modo la vita di un credente è la vita in cui, noi, attraverso l'amore alla nostra umanità sperimentiamo in modo meraviglioso la fedeltà di Dio: partecipiamo alla regalità del  Signore.

Il terzo passaggio, che ci offre la professione di fede di Giovanni, si ritraduce nella professione di fede di Tommaso: mio signore e mio Dio! Seguire l'umanità di Gesù è sperimentare la fedeltà divina,  è sperimentare quell'esperienza di divinizzazione che caratterizza il discepolo. L'amore alla storia ci fa innamorare della fedeltà di Dio e il gusto della fedeltà di Dio ci fa innamorare della storia, per giungere al terzo passaggio: il figlio di Dio “Mio Signore e mio Dio” è spalancare la propria esistenza e la propria storia su un mistero più grande che è il mistero Gesù – Dio, ma in quel momento l'atto di fede raggiunge la sua pienezza.

Ricordiamo sempre la conclusione del prologo di Giovanni: “Dio mai nessuno l'ha visto, il Figlio unigenito che è nel seno del Padre ce lo ha rivelato”. La bellezza del volto di Dio!

La fede è dilatare continuamente, nel cammino quotidiano, questa certezza di un Dio così fedele che apre l'orizzonte della nostra vita sull'esperienza di una autentica divinizzazione. Ecco perché in quel “Mio Signore e mio Dio” c'è la verità di ogni vita credente:  In quel “Mio Signore e mio Dio” Giovanni sottolinea l'aggettivo possessivo che potremmo ritradurre con queste espressioni: "senza la tua persona, senza il tuo mistero, senza la tua bellezza, Gesù, non posso vivere". Ecco il significato più profondo della vita di fede espresso in “Mio Signore e mio Dio”!

È quell'esperienza che dovremmo continuamente rivivificare in noi; il cristiano gusta nell'atto di fede d'essere in modo inesauribile legato alla figura di Gesù e, entrando in questa esperienza, riusciamo ad avvertire che la fede non è fare tante scelte devozionali, la fede è spalancare la nostra persona alle tre caratteristiche di Gesù: la sua umanità ricca di storia, la percezione del Dio fedele in ogni frammento dello scorrere del tempo per poter gustare il volto del Padre a cui noi continuamente siamo chiamati. È la verità della vita e tutto questo si dibatte nel cuore dell'uomo.

Quando l'uomo nella sua esperienza di fede cogliesse questa verità tutto ciò che è esteriore passa in secondo piano; ricordiamoci sempre che più ci si innamora di Gesù più diminuiscono i riti e le devozioni, quanto meno ci innamoriamo di Gesù aumentano i riti e le devozioni. È la bellezza a cui Tommaso ci richiama questa mattina con la sua professione di fede: “Mio Signore e mio Dio” .

Tutto questo mistero si sta realizzando nell'eucarestia come ci suggerisce la seconda lettura che abbiamo ascoltato questa mattina dal libro dell'Apocalisse. Se guardiamo attentamente il brano, esso non è altro che l'inizio di una celebrazione eucaristica. La celebrazione eucaristica è gustare nella sacramentalità l'umanità di Gesù, nell'esperienza del rito godiamo la fedeltà divina, nella comunione contempliamo il volto di Dio Padre, in una mirabile attrazione nell'Amore.

Ogni eucarestia è dire “Mio Signore e mio Dio” e quando l'uomo credente si accosta ai divini misteri con questa essenzialità di vita sente nella propria persona un profondo clima di trasfigurazione, è quella essenzialità che è luce in ogni tenebra.

Viviamo così l'eucarestia nell'entusiasmo di dire sempre “Mio Signore e mio Dio” e le parole più sono brevi, più sono semplici, più sono autentiche, perché il cuore è affascinato da un amore incontenibile. Il battezzato nella semplicità del suo linguaggio si pone nelle mani dell'Amore per gustare già nel tempo la bellezza dell'eternità beata.
 
 
 
 
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