OMELIA
La nostra vita è tutta immersa in Gesù Cristo e noi in lui e con lui costruiamo ogni nostra scelta.
È la bellezza di salire in e con Gesù verso Gerusalemme perché il
destino di Gesù deve diventare il destino del senso della nostra storia.
Davanti a questo grande orizzonte che ci affascina, poiché vivere l'esistenza
in Gesù è la grande attrazione di chiunque lo segua, in noi nasce la domanda:
come possiamo nella nostra storia, nella nostra esistenza gustare questa
meravigliosa presenza?
Ci accorgiamo come l'evangelista Luca ci ponga dinnanzi la missione
dei discepoli.
Le meraviglie che il Signore compie in noi e che desidera far maturare
in noi si elaborano solo nella riconoscenza. La missione è di Dio, in modo
personale, è l'effetto del mistero che ci ha raggiunti. L'uomo che non incarna
attraverso tutta la sua personalità il mistero che gli è regalato non
comprenderà mai il mistero stesso. La riconoscenza è la fecondità della
presenza del Maestro che si ritraduce nell'esperienza della vita. Questo è un
atteggiamento normale.
L'uomo capisce chi egli sia non quando pensa, ma quando concretamente
vive; nel concretamente vivere l'uomo ritraduce la convinzione presente nel suo
spirito che deve concepire la grandezza della sua storia.
Il vissuto è la fecondità di ogni dono.
In questo, il mistero di Gesù nella nostra esistenza, è un mistero
sommamente creativo: chi gusta la bellezza di Dio la regala e, nel momento in
cui questa bellezza di Dio la regaliamo, la conosciamo. Conosciamo quello che
l'apostolo Paolo, in modo meraviglioso, ci ha delineato nella seconda lettura:
"d'ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: io porto le stigmate di Gesù
sul mio corpo".
Chi vive in riconoscenza e approfondisce il mistero avverte
quest'esperienza di Paolo; infatti, il Signore che entra in noi, il Signore che
abita la nostra esistenza, il Signore che costruisce ogni nostro istante è un Signore
che ha le stigmate. Nel momento in cui Gesù è stato assunto alla destra del Padre
non ha abbandonato la sua fisicità. Le sue mani e sui piedi trapassati, il
fianco lacerato sono nella umanità gloriosa di Gesù. Quindi, tutto quello che
riguarda la personalità di Gesù è dentro di noi: le sue mani, i suoi piedi
trafitti e il suo costato lacerato sono dentro di noi.
Cosa vuol dire tutto questo nell'elaborare la nostra esperienza di
discepoli? Cosa sono le stigmate se non il linguaggio di un amore
inesauribile……… È la dedizione totale e di amore al Padre e agli uomini.
Noi siamo il luogo dell'amore inesauribile di Dio.
Ecco perché l'apostolo dice: "d'ora innanzi più nessuno mi dia
fastidio" perché la mia esistenza abitata da questo amore incontenibile è
un'esistenza realizzata; in questo il discepolo intuisce che vivere di
gratitudine è rendere fecondo, ogni giorno, questo mistero. La gratitudine è la
libertà feconda del cuore dell'uomo.
Quando l'uomo non si regala, quando l'uomo non si offre in serenità ai
fratelli, quando non condivide questo grande mistero atrofizza i doni di Dio.
Possiamo gustare questa presenza creatrice del Signore se veramente giorno per
giorno viviamo in questa riconoscenza regalandoci. È la grande libertà
dell'uomo!
L'uomo riscopre se stesso quando ogni dono è per la gioia dell'altro e
tutto questo con una finalità molto chiara. Infatti Gesù dialogando con i suoi
discepoli quando essi ritornano dalla loro missione, non dice loro che la gioia
è quello che hanno fatto. Tante volte pensiamo che la bellezza della vita
cristiana sia fare tante cose, ma questo non è il valore che continuamente deve
emergere nella vita perché il criterio, lo ha detto Gesù, è che i "vostri
nomi siano scritti nei cieli" perché la vostra vita è un mistero di
comunione divina. Allora intuiamo che la bellezza dell'essere discepoli, la
gioia di vivere in gratitudine, regalandoci, non è mai pensare a quello che
facciamo, o quello che doniamo, ma alla comunione che stiamo realizzando. Ogni
gesto che poniamo nella gratitudine è nella prospettiva di una fraternità.
L'uomo che pensa troppo a quello che fa si autodistrugge…. l'uomo deve pensare
a quello che regala.
Nel momento in cui regala, l'uomo vive un'esperienza di comunione,
entra nel mistero della vita e la gioia dell'altro è la bellezza della
riconoscenza a Dio. È un mistero questo che ci libererebbe da tante cose che
possono in un modo o in un altro continuamente stancare. Ecco perché
l'evangelista pone sulle labbra di Gesù, nel momento in cui invia i discepoli,
il comando che devono avere il minimo indispensabile perché devono essere la
trasparenza di un mistero più grande che, nella gratitudine, si vuole regalare
agli altri. L'uomo è grande perché regalandosi crea la gioia dell'altro nella
coraggiosa e gioiosa dimenticanza di se stesso. Allora intuiamo che la
conoscenza di Gesù diventa il grande criterio della nostra vita: regalarci. Più
ci regaliamo più conosciamo Gesù perché regaliamo Gesù, più comprendiamo Gesù,
diventiamo sempre più Gesù.
La sera di ogni giornata dovremmo sempre dire con Paolo: "d'ora
innanzi più nessuno mi dia fastidio, io porto nel mio corpo i segni di un amore
così grande che è l'appagamento di ogni mio desiderio".
È il mistero eucaristico che stiamo celebrando.
L'eucaristia è lasciarci amare nella gratitudine.
Quando ci lasciamo amare nella gratitudine quel Corpo e quel Sangue
rivestono la nostra esistenza di un mistero veramente affascinante: siamo e diventiamo
dei trasfigurati luminosi che giorno per giorno cambiano la nostra esistenza.
Viviamo così questa eucaristia e nella nostra esistenza, davanti a
tutti i fatti, diciamo sempre: è grazia, facendo di ogni scelta un canto di
gratitudine.
Allora entriamo nella libertà del cuore, camminiamo in novità di vita
e siamo la gioia della speranza per ogni nostro fratello
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