OMELIA
Il cristiano, seguendo il Cristo, porta
delle pecore, riscopre sempre più il dono della libertà e gode la fecondità
inesauribile di Dio. L’orizzonte delineato domenica scorsa, oggi viene ulteriormente
approfondito, perché l’evangelista ci consegna uno dei caratteri centrali
dell’esperienza della fede. Gesù ci sta donando gli elementi fondamentali del
suo testamento, perché la sua presenza sia viva e operante nel nostro
quotidiano. Essi rappresentano la condizione per poter camminare con speranza nelle
realtà complesse della vita.
Il Maestro ci pone dinanzi tre
passaggi, che dovrebbero alimentare lo stile interiore delle nostre scelte e darci
entusiasmo nel costruire la nostra ferialità.
Innanzitutto, dobbiamo prendere
coscienza che noi abitiamo nel Signore.
Gesù ci ha detto chiaramente che non dobbiamo avere alcun timore perché, nel
suo mistero di morte e risurrezione, ormai stiamo abitando in lui, anzi egli
stesso viene ad abitare in noi: “Quando
sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me,
perché dove sono io siate anche voi”. È la stessa immagine che abbiamo
ascoltato nella prima lettera di Pietro: noi siamo pietre vive fondate sulla
pietra viva, che è il Cristo risorto. L’uomo nel cammino della sua esistenza ha
un unico riferimento: abita nel Risorto. Questa verità dovrebbe essere così certa
nel nostro spirito che se qualcuno ci chiedesse dove abitiamo, dovremmo-per
paradosso- rispondere che abitiamo nel Risorto. È la grandezza della nostra
vita! Noi siamo radicati in lui, e in lui, istante per istante, esistiamo,
perché “il posto” di cui Gesù ci ha parlato non è altro che la sua persona
gloriosa. “Avvicinandovi al Signore,
pietra viva, rifiutata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio, quali
pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale, per un
sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, mediante
Gesù Cristo”. Nel Signore abbiamo il nostro posto, perché la nostra
esistenza è totalmente inserita in lui. Ecco perché il cristiano deve rammentare
continuamente a se stesso: “Sono in lui!”.
La nostra vita è già gloriosa
mentre camminiamo nel tempo e nello spazio, perché abitiamo nella sua persona ed
egli opera in noi, coinvolgendo la nostra libertà nei suoi disegni. Gesù ce
l’ha ripetuto alla fine del brano del Vangelo, nella seconda stimolazione: “Chi crede in me, anch'egli compirà le
opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre".
Nella nostra quotidianità non compiamo semplicemente le opere di Gesù di
Nazareth, ma viviamo le opere di Gesù
risorto. Anzi in noi e con noi il Risorto continuamente agisce, cosicché le
nostre azioni sono le sue: sono la quotidiana incarnazione della sua presenza.
La grandezza della vita si fonda sul nostro abitare nel Signore, per “compiere”,
attraverso la nostra libertà e con la nostra persona, il mistero di Gesù morto
e risorto. È quella fecondità interiore che l’uomo distratto non riesce a
cogliere, ma che a noi è dato di percepire: la nostra vita, le nostre azioni,
il nostro camminare, tutto di noi è il Cristo risorto che dilata in ciascuno le
sue potenzialità. Non siamo mai soli, un Altro meravigliosamente agisce in noi,
al di là di ogni nostra umana prospettiva e ci dona il gusto della positività
della nostra esistenza. Tante volte siamo presi dalle paure perché dimentichiamo il positivo che siamo noi
e, in certo qual modo, veniamo catturati dai nostri interrogativi, dimenticando
che il Signore sta operando dentro di noi.
Quando percepiamo questa verità,
si apre al nostro orizzonte la sorprendente espressione di Gesù: “Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai
conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre”. Gesù, che opera
dentro di noi, è continuamente in comunione con il Padre e, se noi lasciamo
operare Gesù, che è tutt’uno con il Padre, la nostra vita diventa dire a Dio:
“Padre!”. Nella divina liturgia noi non recitiamo semplicemente il Padre nostro,
ma formuliamo la più grande professione
di fede: “Padre!”. In quel momento la nostra esistenza si apre sull’infinito,
che ci dà speranza in ogni oscurità. La professione di fede è un raggio di luce,
che ci proietta nell'Infinito del Dio della rivelazione cristiana. Gesù è
entrato nella storia, ci ha assunti in sé, opera continuamente nella nostra
esistenza perché possiamo dire in lui, con lui e come lui: “Padre!”. Quando
l’uomo, nella semplicità del quotidiano, dice “Padre” non ha alcuna paura,
perché nella paternità di Dio, sperimentata in Gesù, pregusta la pienezza della
propria storia. Dobbiamo domandarci se diciamo il Padre nostro, o se facciamo l’esperienza di Dio Padre,
della paternità di Dio con noi, che siamo i figli che egli ama. Gesù non ci ha
insegnato il Padre nostro, Gesù ci ha insegnato a dire: “Padre!”. Quando, nel silenzio della nostra riflessione,
riusciamo ad approfondire questa parola, avvertiamo Gesù che si rivolge al
Padre e percepiamo che stiamo abitando nella vita delle tre Persone. Non siamo
più soli: il Padre ci dona il Figlio e il Figlio, operando in noi, nello
Spirito ci pone in comunione-comunicazione con il Padre.
Questo è il mistero che la Parola
questa mattina potrebbe invitarci ad approfondire, in modo che, se la vita si
prospetta nella sua problematicità, diciamo: “Padre!” Allora il buio della
storia diventa luce di eternità; all’affanno segue la tranquillità, alle paure
la gioia di esistere. Ritroviamo in Gesù questa semplicità e la vita avrà
un’altra coloritura.
Gesù ci ha convocati attorno a sé perché
voleva dire ad ognuno di noi: “Venendo alla celebrazione eucaristica ricordati
che stai abitando in me, stai permettendo a me di agire, in te io sto morendo e risorgendo e ti
do la capacità, la mia stessa capacità,
di dire: “Padre!”
Se questa mattina avessimo intuito
questa meravigliosa verità e, uscendo di chiesa, ci fosse anche il temporale
più impetuoso, dicendo “Padre!” gusteremmo l’Eterno, e procederemmo all’asciutto
verso quella pienezza di gloria, dove Gesù ci invita ogni giorno a dire “Padre!”,
per rivelarci il suo volto.
Quando noi potremo dire di essere
veramente discepoli del Signore? Quando gli uomini ci domanderanno: “Insegnaci
il Padre e ci basta”. Allora veramente avremo scoperto la bellezza del Vangelo.
Un cristiano è contento quando i
fratelli gli dicono: “Mostrami il Padre e ci basta”: vuol dire che siamo
veramente discepoli del Signore!
Camminiamo in questa luce, ricchi
di fiducia e di speranza, certi che non saremo mai delusi. Abitando in Gesù,
lasciando operare lui, in lui apriamo lo sguardo verso la pienezza della vita:
il volto di Dio, Padre di ciascuno di noi.
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