15 ottobre 2017

XXVIII DOMENICA T. O. – (ANNO A)

Is 25,6-10a  Fil 4,12-14.19-20              Mt 22,1-14
OMELIA
Gesù questa mattina attraverso la parabola che abbiamo ascoltato ci ha descritto il mistero del Padre nei confronti dell'intera umanità. Il Padre invia il Figlio perché tutti gli uomini possano godere della sua intimità.

Infatti, quando noi entriamo nel progetto di Dio, ci accorgiamo che esso si realizza attraverso il convocare tutti gli uomini poiché la bellezza della conoscenza di Gesù è che tutti gli uomini siano in Lui.

E noi nella parabola cogliamo questo grande mistero: Gesù, per la fedeltà al Padre diventa giudeo, i Giudei lo rifiutano e da quel rifiuto si apre l'orizzonte a tutta l'umanità.

Tutta l'umanità è chiamata a entrare in questo mistero di comunione. Tutta l'umanità, indipendentemente dalla propria realtà storica, perché ogni uomo, sia buono sia cattivo, come ha detto il Vangelo, è chiamato a questa comunione universale.

Il Padre vuole che Gesù sia da tutti conosciuto e nel gusto di Gesù tutti ritrovino veramente se stessi.

Ora questa divisione ci è regalata attraverso l'immagine dell'invito al banchetto, dell'invito al banchetto nuziale.

Due realtà che nella loro immagine ci definiscono il cammino interiore perché ognuno di noi possa entrare in questa misteriosa e meravigliosa comunione.

Ma cos'è il banchetto?

Se guardiamo attentamente, il banchetto è nient'altro che la condivisione dell'unico vero senso della vita: mangiare insieme è condividere il gusto di approfondire questa vocazione a essere uomini in Gesù Cristo.

E questa vocazione è più importante delle nostre povertà storiche.

L'uomo spesse volte non accoglie questa vocazione alla comunione perché guarda troppo ai suoi limiti.

Gesù chiama tutti gli uomini perché è il signore del cuore di ogni fratello quindi, la bellezza delle nozze, è nient'altro che la bellezza di condividere in profondità la presenza del Maestro.

E tutto questo con l'altra immagine del banchetto nuziale dove la nuzialità è una comunione di intimità di cuori. E’ la bellezza dell'essere Cristo tutto in tutti.

L’uomo quando è veramente se stesso? Quando fa comunione condividendo la mentalità di Gesù!

Ecco perché il cristiano quando si pone l'interrogativo: qual è il senso della vita cristiana? Il senso è la fraternità, dove si condivide l'unico senso della vita nell'intimità di Cristo, lo sposo.

Allora la domanda che nasce ulteriormente in noi per evitare di cadere nel rischio di essere a un banchetto senza l'abito nuziale è: come possiamo entrare in questa esperienza che ci permette di entrare nel progetto del Padre, di convocare l’intera umanità attorno al figlio suo Gesù Cristo?

Allora, partendo dalla parabola stessa, potremmo sottolineare tre elementi:

- lo sposo

- la voce dello sposo

- la condivisione del banchetto dello sposo.

Innanzitutto lo sposo: la persona di Gesù. Una cosa questa su cui poche volte riflettiamo. La nostra comunione universale prima di essere orizzontale è una attrazione verticale: il fascino di Gesù.

Si va alle nozze perché lo sposo è importante per la vita e allora dovremmo ritrovare nel cammino della nostra esistenza questa signoria di Cristo che vuole introdurci nella sua intimità: il Padre fa le nozze del Figlio e il Padre che vuole che noi entriamo nell'intimità del Figlio.

La comunione è un fatto di intimità.

La storia è fatta di tante povertà, da tutti i punti di vista, ma l'intimità con la persona amata fa perdonare tutte le povertà anzi, le povertà ci permettono di gustare ancora di più l'intimità gratuita di Dio. Il dramma dell'uomo di oggi è che non ama più la sua povertà amata da Dio.

Ecco allora il primo elemento fondamentale perché possiamo entrare in modo fecondo in questa comunione nuziale che il Padre ci regala.

Il secondo aspetto, la voce dello sposo, la parola di Dio, essere persone innamorate della parola.

Lo sposo ci parla attraverso la comunicazione della sua presenza. Le nozze sono essenzialmente relazione tra le parole che si dicono nell'intimità; parola che è silenzio, parola che è linguaggio, parola che è gesto, una convivialità nella quale noi viviamo della parola del Maestro.

Dovremmo sempre nella nostra vita fare nostre le espressioni di Samuele nel tempio “Parla o Signore che il tuo servo ti ascolta!” E’ quando noi intuiamo in questo secondo passaggio la convivialità del mangiare che è l'essere trasfigurati, una presenza che ci attira trasfigurandoci.

E allora si superano le povertà relazionali, si superano le povertà personali, si superano le povertà comunitarie, perché c'è questo fascino di una presenza che ci parla trasfigurandoci.

Se noi entrassimo in questo tipo di esperienza ci accorgeremmo che partecipare alle nozze messianiche, entrare in questo mistero di Gesù, ci porterebbe a vivere la bella descrizione che Paolo ci ha regalato nella seconda lettura, essere uomini liberi davanti all’avere e al non avere, perché quando l'uomo entra in questa ricchezza che è il mistero di Cristo, la sua vita è realizzata. Ecco perché Paolo ci ha fornito quell'espressione che dovremmo sempre approfondire, perché dà speranza alla nostra vita “Tutto posso in colui che mi dà la forza”.

L'essere attratti dal Cristo vivendone l'intimità trasfigurante ci dà la libertà perché noi, nel suo fascino, ritroviamo il coraggio di vincere ogni tribolazione non lasciandoci mai schiacciare da essa.

La bellezza di ritrovarci questa mattina è di essere una comunità che accoglie il dono del Padre, il Cristo, per vivere le nozze del Figlio attraverso la sua presenza, la sua parola, i doni eucaristici.

E se noi riusciremo a entrare in questa vitalità interiore, ci accorgeremo che la vita è completamente diversa: la bellezza del dono della comunione vive in una comunità che costruisce la propria storia in questi tre parametri, una presenza che ci parla trasfigurandoci.

Allora le problematiche relazionali che tante volte ci mettono in crisi perché le cose non vanno come vorremo noi, andranno in secondo piano perché il fascino di Gesù è più grande delle spine che possiamo avere nella nostra carne.

Viviamo l’Eucaristia con questi sentimenti; anche se siamo dei poveri, da qualunque punto di vista, il banchetto è aperto a tutti, non ci vuole una tessera di riconoscimento o di idoneità, c’è la presenza di una gratuità che chiama tutti al di là di ogni nostro merito o demerito.

Viviamo l’Eucaristia con questa libertà del cuore, siamo fraternità in Gesù e allora la vita diventa una conversione nella gioia perché lentamente il Risorto qualifica il nostro cuore, ce lo apre e ci permette di camminare in novità di vita non per i nostri meriti, ma per la sua grazia che non conosce limiti.
 
 
 
 
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