Sap 6,12-16 1Ts 4,13-18 Mt 25,1-13
OMELIA
Il tempo rappresenta
il terreno sul quale, progressivamente, siamo chiamati a realizzare la nostra identità
e la Sapienza, oggi, ci vuole condurre a intuire cosa significhi andare
incontro al Signore, poiché tutta la vita del cristiano è una costante
attrazione alla trasfigurazione nel mistero di Gesù. Infatti, l’uomo vive nel tempo
e nello spazio, in una condizione di continua attesa dell’incontro finale con
il Maestro. Noi siamo stati creati per cantare eternamente la gioia della
nostra esistenza.
Un cristiano che
avesse paura, a livello interiore, dell’incontro finale o della morte, non ha
mai conosciuto il Signore, poiché la bellezza di essere attirati al Maestro nasce
dalla convinzione che il Maestro è l’unica sapienza della nostra vita.
Alla luce della Parola
che questa mattina Gesù ci regala, possiamo entrare in questa sapienza che è
crescere giorno per giorno nel desiderio del Signore, sapendo che tutti saremo incontrati
dal Signore, come ha detto molto bene l’Apostolo Paolo. Tutti saremo rapiti nel
mistero della gloria divina.
Alla scuola di
Matteo possiamo essere aiutati a personalizzare questa affascinante verità.
Il brano evangelico
mette in luce tre aspetti sui quali la Sapienza, questa stamattina, ci vuole
introdurre, in modo che lo scorrere della vita sia un continuo crescere nel
desiderio di contemplare eternamente Gesù.
Innanzitutto,
vediamo l’immagine del grido a mezzanotte.
Secondo la visione
cara alla Divina Scrittura, Dio appare sempre di notte, perché la notte è il luogo
della gratuità di Dio, la notte è il luogo della libertà di Dio, la notte è la
gioia di stare nelle mani di Dio, per cui il cristiano sa, esistenzialmente, di
vivere nella notte di Dio, nella creatività libera e liberante di Dio.
Noi non ci poniamo
mai il problema del quando moriremo, poiché è un problema superficiale.
La bellezza della
vita è la certezza che il Signore viene in ogni momento. Ogni momento il
Signore entra nella nostra esistenza, ci dà la sua pienezza, ci avvolge del suo
mistero e ci dice ogni giorno che siamo suoi.
Una simile lettura
fa sì che il cristiano non si ponga in modo drammatico il problema del quando
il Signore verrà, perché ha la certezza “Oggi
il Signore viene”, “Oggi mi dà la vocazione all’eternità”, “Oggi mi riveste di
eternità”.
Per accedere in
questo itinerario interiore, la seconda condizione che ci è posta davanti è
l'approfondimento del linguaggio delle lampade sempre accese.
Gesù, cosa voleva dirci
in queste lampade accese?
L’immagine ci
richiama alla conclusione del discorso della montagna, dove Gesù dice che siamo
chiamati ad ascoltare e a mettere in pratica, dove quell’ascoltare è lasciar
spazio, abitualmente, alla signoria di Dio. Avere l’olio per la lampada non è nient’altro
che avere il cuore sempre aperto all'attesa del Signore in ogni istante della
vita.
Questa costituisce una
dinamica relazionale che, continuamente, avvolge la nostra esistenza e ci fa
intuire che senza il Signore non possiamo affatto vivere.
E’ questo un criterio
fondamentale per poter andare incontro al Signore nella gioia!
Avere l’olio con le
lampade sempre accese vuol dire che alimentiamo quotidianamente il volto
luminoso di Cristo che in noi si fa attendere, crescendo nella comunione con la
sua persona.
In quel grido “Ecco lo Sposo che viene”, avvertiamo la
presenza dello Sposo che è già dentro di noi e che ci attira nella pienezza
della sua luminosità!
L’incontro glorioso
nasce dal Signore, la cui presenza noi coltiviamo continuamente, perché quando
Egli verrà nella Sua libertà, noi siamo già assetati della contemplazione del Suo
Volto e possiamo inebriarci della sua presenza definitiva. Il cristiano quando cammina
profondamente nella fede, non si pone mai la domanda “Quando morirò?” ma “Quando vedrò
finalmente il Signore faccia a faccia?”.
E’ una lettura
positiva della vita perché non dobbiamo essere presi dai terrori delle ombre.
La bellezza della
vita è la presenza abituale di Gesù che ci attira nella Sua pienezza.
In un certo qual
modo il morire è dire “Finalmente Ti
potrò vedere!”
E’ il desiderio dei
desideri che continuamente si sviluppa dentro di noi e ci dà la certezza di
questo incontro.
Noi ora stiamo
desiderando Colui che in noi si fa desiderare in modo veramente prorompente.
Ma c’è il terzo
aspetto che Gesù ha voluto sottolineare nella parabola attraverso quel dialogo
conflittuale tra le cinque vergini stolte e le cinque vergini sagge.
Cosa voleva dirci
Gesù in questo dialogo che, in una certa sensibilità cristiana, può far difficoltà?
Gesù ci ha detto una
cosa molto semplice: l’incontro con Lui è
personale e non è su delega.
La bellezza del
rapporto credente è l’incontro di due persone: Gesù e la nostra persona, perché
nella nostra persona si decide la nostra esistenza. Infatti l’atto del morire è
l’atto in cui l’uomo si consegna con gratitudine a Colui che lo ha condotto per
tutta la vita, per accedere alla luminosità eterna. La vita è un dialogo, oggi, tra ineffabilità amorosa di Dio e
l’uomo che pone tutta la sua persona con tutte le sue caratteristiche in questo
meraviglioso rapporto relazionale.
Come conseguenza ci
accorgiamo della bellezza di essere persone che, nella intensa relazione con il
Maestro, non facciamo nient’altro che dilatare quella attrazione che il Signore,
in noi, sta operando continuamente. La bellezza del Paradiso sarà nient’altro
che la pienezza dei doni di Dio, dove noi, questi doni li sviluppiamo in una
relazione di accoglienza quotidiana del Divin Maestro.
Ecco perché la Sapienza,
oggi, ci prende per mano e ci dà la gioia dell’oggi.
Oggi, Gesù
ci ama! Oggi, ci attira! Oggi, senza di Lui non possiamo vivere! Oggi, stabiliamo un linguaggio di Amore
con Lui che è il criterio portante della nostra storia e della nostra esistenza!
Allora intuiamo perché
Gesù ci abbia regalato la Parola e l’Eucarestia, perché oggi siamo qui.
Il Signore, in
quell’ultima cena, ci ha regalato la Sua presenza come Parola e come Pane e Vino
perché non ci dimenticassimo di attenderLo. La parola e l’Eucarestia sono
momenti provvisori nei quali e attraverso i quali noi sviluppiamo questo senso
della attesa.
La bellezza dell’Eucarestia
è la gioia di attendere il Signore.
Non lo diciamo tutti
i giorni: “Annunciamo la Tua morte Signore, proclamiamo la Tua risurrezione, in
attesa della Tua venuta”?
L’Eucarestia è per
gli assetati del volto di Dio! La bellezza delle Chiese antiche era il catino
absidale dove la meta non era l’altare, la meta era la trasfigurazione nella
Gloria.
Andare
all’Eucarestia è sviluppare il desiderio di una pienezza di Gloria.
Se noi cogliessimo
in verità la bellezza di un simile itinerario spirituale, potremmo veramente
dire che l’andare all’Eucarestia è maturare giorno per giorno nell’intensità di
questa presenza del Maestro che in noi sviluppa tutte le sue potenzialità
perché mente, cuore e sensi siano orientati alla trasfigurazione della Gloria. Di
conseguenza ci accorgiamo che dal banchetto sacramentale di questa assemblea
liturgica veniamo continuamente stimolati al banchetto eterno “Beati gli invitati alla cena delle nozze
dell’Agnello”: lì sarà la pienezza della nostra vita!
Viviamo così questa
prospettiva che la sapienza, questa stamattina, ci vuol regalare, in modo che,
davanti al mistero della morte, diciamo “Ecco
il punto di partenza per un Paradiso eterno”.
La morte diventa la
gioia di abbandonarci a questa Gloria inesauribile dove, per sempre, vedremo il
Signore.
Questa sia la forza
e la speranza che vogliamo portarci a casa per essere, come ha detto Paolo, di
quelli che credono, che sperano la venuta del Signore. Noi abbiamo la certezza,
che in questa celebrazione sacramentale stiamo già vivendo la comunione eterna:
ora siamo solo in attesa.
Quando saremo nel
Signore in pienezza, capiremo che è bello credere oggi per vedere eternamente
il volto glorioso delle tre Persone divine.
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