Pr 31,10-13. 19-20. 30-31 1 Ts 5,1-6 Mt 25,14-30
OMELIA
La nostra esistenza è un cammino
quotidiano verso la pienezza della gloria. Il cristiano nato dalla Luce che è
Cristo Gesù avverte in se stesso la vocazione di giungere alla pienezza della Luce
che è il mistero della glorificazione eterna, nella gloriosa comunione con
tutti i fratelli nella Gerusalemme del cielo.
Per giungere a questa meta, oggi
Gesù ci pone dinanzi quello che dovrebbe essere lo stile evangelico che ogni
discepolo e di riflesso ogni uomo, dovrebbe assumere nella propria esistenza. A
tale riguardo infatti la parabola che abbiamo udita ci è di grande utilità e noi
la potremmo leggere in tre passaggi che ci possono aiutare a comprendere il
cammino che siamo chiamati a percorrere:
- l'atto del Padre che ci regala
il Figlio,
- l'esperienza del discepolo che
accoglie il dono meditandolo continuamente nell'esperienza della sua vita,
- la fecondità della riconoscenza
che ci trasfigura nel Mistero.
Questi tre passaggi dovrebbero
illuminare la nostra esistenza e farci pregustare quell'eternità beata che è il
desiderio di ogni nostro desiderio.
Innanzitutto Dio Padre ci regala i
talenti, che non sono altro che la persona di Gesù e il mistero che avvolge
tutta la sua esistenza. Un simile mistero viene regalato alla originalità di
ciascuno di noi perché ognuno di noi, nel suo stile personale, possa dilatare
questo dono. Nell'immagine del dono dei talenti vediamo l'atto del Padre che ci
regala il Figlio. E’ il Padre che ci regala la Parola che illumina e guida
l'umanità; è il Padre che ci regala la gioia d'essere rivestiti di quell'amore
inesauribile che è la speranza e il coraggio della vita; in ultima analisi è il
Padre che regala nel Figlio tutto se stesso a ciascuno di noi. Di fronte ad una
simile visione il cristiano dovrebbe entrare nella convinzione che la sua
esistenza è un capolavoro della gratuità di Dio!
Questa verità dovrebbe in certo
qual modo percorrere le nostre giornate e rendere feconda la nostra esistenza
poiché nel momento in cui ci vediamo capolavoro del Padre che ci regala il
Figlio, percepiamo chiaramente come nella nostra esistenza sia attiva questa
azione della benevolenza divina che in noi compie meraviglie. E’ gustare l'ebbrezza
spirituale d'essere dono!
Davanti a questa meravigliosa
offerta dell'amore trinitario, il cristiano avverte nella propria esistenza
l'esigenza di ruminare questi doni, di farli propri, di interiorizzarli per
renderli vita della propria vita. Infatti come potremmo interpretare la parola
del Vangelo riguardante il “trafficare i talenti” se non percepiamo giorno per
giorno nel nostro cuore le meraviglie di Dio?
Il cristiano al mattino avverte il
Cristo presente nella sua persona, si sente immerso in un mistero che è la
bellezza e la fecondità della vita. Qui matura il volto del cristiano che
meditando la gioia d'essere puro dono ha la gustazione di essere capolavoro
trinitario. L'uomo di oggi, purtroppo, correndo continuamente nel costruire la
propria esistenza, dimentica la gioia di avere il gusto della creatività di
Dio.
Questo secondo elemento è
fondamentale per costruire un'esistenza che avverta la presenza del dono
divino.
Questa componente è mancata a chi
ha ricevuto l'unico talento perché ha avuto “paura” nella fede di gustare
questa creatività divina. Noi qualche volta siamo troppo presi dalle nostre
paure e ci viene meno l'entusiasmo della vita, vista come “avventura”. I doni
di Dio in tal caso diventano drammaticamente infecondi. Dio ama la libertà
dell'uomo e desidera farla intervenire nel dialogo proprio della storia della
salvezza.
Chi veramente entra in questa
esperienza quotidiana in cui intensamente medita la bellezza di Dio vive di gratitudine.
Infatti cosa vuol dire il
linguaggio della parabola: “chi ha avuto cinque talenti ne ha restituiti dieci,
chi ne ha avuti due ne ha restituiti quattro” se non la fecondità della
gratitudine?
L'uomo che sa costruire la sua
esistenza dicendo sempre che “tutto è grazia” percepisce spontaneo il dire “grazie!”.
La gratitudine rappresenta il
terreno della fecondità divina. Il cristiano quanto più entra nella profondità
del mistero divino, tanto più non può non cantare la gratitudine, dove la
gratitudine è nient'altro che la fecondità della meravigliosa presenza di Dio
in noi.
La gratitudine è l'atteggiamento
dell'uomo che preso dalla bellezza della sua esistenza ritrova la bellezza di
dire al Signore la gioia di essere da lui amato in Gesù e nello Spirito Santo.
Noi restituiamo a Dio, attraverso un ricco coinvolgimento personale e
comunitario, quello che Dio ci regala. Il Padre ci regala il Figlio con tutta
la bellezza del suo volto e noi sperimentiamo la ricchezza del suo mistero di
amore, interiormente gustiamo questa presenza di Gesù in noi, Gesù diventa in
noi colui che presenta al Padre l'entusiasmo della nostra riconoscenza. La gratitudine
diventa ebbrezza interiore, commozione spirituale, emozione sensitiva davanti
alla bellezza divina.
Se riuscissimo a costruire secondo
questo schema la nostra esistenza, troveremmo quell'anima che è più forte delle
oscurità, più forte delle tribolazioni, più forte dei momenti problematici
della storia perché l'orientamento del cuore è accoglienza quotidiana d'essere
capolavoro originale, dove ognuno di noi con le proprie personali
caratteristiche glorifica la gioia d'essere un dono meraviglioso che ci
proietta al di là del tempo e dello spazio!
Quando riuscissimo ad entrare
nella convinzione che siamo un capolavoro originale, in quel momento, la vita
assumerebbe tutta un'altra fisionomia, un altro orizzonte: diventeremmo
veramente fecondi nello stile proprio del vangelo!
La fecondità si rivela allora come
la storicità della gratitudine del cuore e quando l'uomo ha la gratitudine del
cuore la vita è feconda perché comunica speranza, comunica sorriso, comunica il
coraggio della vita, comunica la potenza di qualcosa che è più grande di noi e
che è l'eternità beata. Una simile vivacità spirituale, momento per momento,
accompagna la nostra vita! E’ quello che Paolo, in modo favoloso, ci ha detto
nella seconda lettura “infatti siete tutti figli della luce e figli del giorno”.
Chi è la luce se non il Cristo?
Cos'è il giorno se non il Divino
che ci chiama in ogni frammento della nostra storia a camminare in novità di
vita? Dovremmo qualche volta nelle problematicità del quotidiano far fiorire questa
parola divina che ci rende luce che brilla nelle tenebre, contemplando Gesù, il
grande dono del Padre.
Tante volte pensiamo ai talenti
partendo dal nostro punto di vista, con una visione quantitativa; i talenti presentati
dalla parabola si percepiscono dal punto di vista di Dio: essi sono
l'espressione della gratuità favolosa di Dio. Quando l'uomo comincia a orientare
la propria storia rileggendola in questo orizzonte, essa assume dimensioni e
coordinate ben diverse.
Cos'è l'eucaristia che stiamo
celebrando se non i talenti che questa mattina Gesù sta condividendo con noi?
Talento è il Cristo che il Padre
ci regala in questo momento.
Talento è la parola che Gesù
rivolge a ciascuno di noi.
Talenti sono quel pane e quel vino
dove il mistero dell'amore si fa in pienezza storia perché, uscendo di chiesa,
attraverso il vissuto quotidiano, con gratitudine restituiamo al Padre la gioia
di essere il volto luminoso di Gesù. Per cui quando incontreremo il Signore che
ci chiederà di restituirgli i talenti che ci ha regalato, noi in silenzio guarderemo
il Padre, il Padre vedrà in noi il volto luminoso del suo Figlio e ci dirà:
vieni nella gioia del tuo Signore!
La vita è diventare il volto
luminoso di Gesù.
Entriamo in questa esperienza e
allora non saremo quelle persone che trafficano continuamente, che è una forma
di idolatria dell’io, per ritrovare il gusto di essere dono divino, per
gustarne la presenza in quella gratitudine che ci rende fecondi di gloria
divina.
Questa sia la speranza che
potremmo portare a casa questa mattina per essere quelle creature nuove che già
da ora pregustano il canto della gloria del paradiso.
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