Is 66,10-14c Gal.6,14-18 Lc 10,1-12.17-20
Omelia
Gesù, dopo aver educato i suoi
discepoli al primato della sua persona, oggi li invia in missione, perché la
missione è l'ebbrezza e la gioia dell’incontro con il Maestro che si diffonde.
Infatti, pur nel linguaggio caro all’Antico Testamento, Gesù questa mattina ci
dice che dobbiamo essere il gaudio di Cristo regalato agli uomini. Ecco la
missione, ecco perché abbiamo ascoltato il testo del profeta Isaia che dice la
novità dei tempi messianici che deve caratterizzare la missione del cristiano:
regalare agli uomini la bellezza di Cristo. L’annuncio è nient’altro che la
luminosa condivisione del gusto di voler vivere nella signoria di Cristo. Di
fronte a tale affascinante orizzonte nasce in noi l’interrogativo: con quali
caratteristiche noi possiamo veramente regalare agli uomini la bellezza di Gesù
e quindi riscoprire la grandezza dell’essere discepoli? La parola, che abbiamo
ascoltato, ci pone dinanzi a tre elementi che potremmo sottolineare sono il
fondamento della gioia che dobbiamo regalare:
- il vero senso della povertà
esistenziale,
- il vivere l’interiorità di
Cristo,
- il costruire una ricchezza di
relazione dove si regala ai fratelli il mistero del Maestro.
E’ interessante come nei vangeli
sinottici la missione di Gesù è legata sempre alla povertà, dove la bellezza
della povertà non è solo un fatto economico, che forse non è neanche il più
importante, ma è il costruire la propria esistenza attraverso la coscienza dei
limiti della nostra esistenza. Attraverso il linguaggio concreto caro alla
tradizione dell’Antico Testamento, Gesù ci vuol dire qualcosa di importante e
cioè che ognuno di noi deve essere la trasparenza di un mistero più grande di
quello che noi potremmo conoscere, e la povertà è la profonda coscienza del
limite che fa emergere la bellezza e la grandezza di Dio. Usando l’espressione
di Gesù nel discorso della montagna “perché
gli uomini vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre che è nei
cieli”. Ci troviamo davanti alla bellezza di quella piccolezza che regala
agli uomini la grandezza del dono della vita, è il primato dell’Invisibile che
domina il cuore dell’uomo e che lo rende capace di regalare qualcosa che è più
grande di lui. Nella piccolezza del visibile gustiamo l’ineffabilità inesauribile
del divino. La missione risulta la concreta azione sacramentale del Risorto che
continua nel tempo e nello spazio la sua opera e di conseguenza emerge la
bellezza di essere chiesa, segno povero e luminoso della grandezza di Gesù.
Su tale sfondo molto stimolante
appare la centralità del Cristo con tutta la sua ricchezza esistenziale. Paolo,
nel presentare il senso della sua esistenza ci offre l’affermazione che abbiamo
ascoltato: “Di null'altro mai mi
glorierò, se non nella croce di Gesù nella quale ognuno di noi è una creatura
nuova”. Siamo in atto una rinnovata creazione cristologica. La bellezza
della missione è regalare la novità di Dio. Per evidenziare ulteriormente
questa sua coscienza che deve annunciare solo Gesù, l’apostolo ci presenta una
affermazione molto forte che ritraduce l’interiorità di Paolo: “D’ora innanzi più nessuno mi dia fastidio,
io porto nel mio corpo le stigmate del Signore nostro Gesù Cristo”. Con un
tale linguaggio molto mistico egli sottolinea nella sua persona è impresso il
mistero dell’essere amat0 nello stile d’essere con-crocifisso con Cristo. La
grandezza del credente è data da questa profonda consapevolezza, siamo degli
amati nel cuore del Cristo che in noi continua ad amare secondo il suo stile
oblativo. L’idea delle stigmate è solo l’immagine per dire quello che Paolo ha
affermato di null'altro mai mi glorierò, se non nella croce del Signore nostro
Gesù Cristo, dove la coscienza di conoscere solo Cristo e questi
crocifisso è la sapienza di Paolo, che è potenza e sapienza di Dio. Ecco perché
la bellezza della missione passa attraverso una povertà che dà trasparenza al
mistero di Gesù. Usando il linguaggio degli apostoli nei processi al sinedrio, la
missione del cristiano sta nel rivivere quello che essi hanno detto: noi non
possiamo non dire ciò che abbiamo udito e veduto. La missione è la
sacramentalizzazione semplice e ordinaria dell'appartenenza. Togliamo Gesù
Cristo alla nostra vita, che cosa rimane? Ricordiamoci sempre che la bellezza
della vita è essere in una meravigliosa relazione: il Signore ci ha
conquistati, ci dà la gioia e la bellezza della nostra umanità, e ci dà la
semplicità dell’ordinario. La vita ordinaria rappresenta il capolavoro della
testimonianza cristiana, e questo è il terzo passaggio che Gesù ci invita ad
accogliere questa mattina: Gesù dice:” Pace a voi”. Il luogo della missione sta
nell’incarnare tale parola del Maestro nella vita di tutti i giorni: la casa è
il luogo della vita ordinaria. La bellezza di essere nella pace di Gesù è la
vita feriale di ogni giorno. Spesse volte noi pensiamo che essere dei credenti
sia un preparare non so quale manifestazione esteriore, manifestazioni che
possono esserci, fan parte della struttura psicologica della società, ma la
vera missione del cristiano è regalare nel segno normale della relazione, come
può essere in casa, l'armonia di Gesù.
E’ interessante come la bellezza
della scelta di Gesù sia questa pace. Ricordiamo l’annuncio degli angeli “pace in terra agli uomini che Dio ama”,
e il saluto di Cristo Risorto Pace a
voi. Questa esperienza di Gesù viene sempre regalata alle persone che la
Provvidenza ci fa incontrare. E allora la bellezza di essere chiesa è la
bellezza di regalare quell’armonia che l’incontro abituale con il Cristo genera
in ciascuno di noi. La vita ordinaria è liturgia per regalare la gioia di Gesù.
E se noi imparassimo questo stile
di vita, sicuramente il risultato non è dato dalle cose esteriori, ma dalla
bella espressione con la quale si è concluso il testo evangelico: “rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi
sono scritti nei cieli”. Direbbe l’Apocalisse “nel libro della vita”. Tutto
ciò vuol dire testimoniare nella storia
maturando per un'eternità beata. Allora ci accorgiamo che, al di là delle
difficoltà storiche nelle quali noi ora ci possiamo trovare, quando noi siamo
nel fascino di Gesù, in quel momento gustiamo e regaliamo novità di vita,
regaliamo ad ogni fratello il suo cuore innamorato dell’uomo attraverso la
gioia che Lui sia il Signore attraverso le nostre povertà.
Ecco l’Eucaristia che stiamo
celebrando. La bellezza dell’Eucaristia è la povertà delle nostre persone, la
povertà dei segni semplici, nei quali il Signore regala la Sua presenza e noi
possiamo godere la pace del Signore. La formula che tra poco ascolteremo: “La pace del Signore sia con voi” prima
della condivisione dei doni eucaristici nel rito della commensalità ci dice che
la nostra esistenza viene trasfigurata. Viviamo questo mistero in tanta
semplicità; anche quando il cuore è afflitto, il Signore ci dona la sua
presenza consolatrice e rigeneratrice. Le nostre afflizioni nella sua presenza
diventano il linguaggio di pace, specie nell’Eucaristia. Questo sia il mistero
che vogliamo vivere e condividere nella semplicità, senza aggiungere tante
cose, in modo da camminare in quella bellezza di essere discepoli per dire ai
fratelli: essere cristiani è una esperienza evangelica veramente vivibile: innamorarsi
di Gesù, prendere coscienza delle nostre fragilità esistenziali, regalare Gesù
ad ogni fratello e vedere in Gesù la verità della nostra esistenza nella quale
gustiamo la vera pace.
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