03 aprile 2023

DOMENICA DELLE PALME: PASSIONE DEL SIGNORE – ANNO A

DOMENICA 2 APRILE 2023

Is 50,4-7       Fil 2,6-11      Mt 26,14-27,66

OMELIA

Il cammino, che abbiamo percorso in Quaresima, lentamente ci ha introdotti nella personalità di Gesù e il racconto della passione che abbiamo poc'anzi ascoltato ci permette d’entrare nella sua esperienza nel momento della sua morte. In quell'espressione «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» noi scopriamo l’anima del Maestro non solo al momento della morte, ma soprattutto nella relazione con il Padre che ha caratterizzato l’intero arco della sua esistenza. E’ sicuramente interessante riuscire a capire perché l'evangelista abbia messo tali parole sulle labbra di Gesù. Questo testo è l'inizio del salmo 21, un salmo che inizia con il dramma dell’orante di sentirsi abbandonato da Dio, ma che si sviluppa in un inno di grande lode fraterna e comunitaria. L'evangelista attraverso queste parole messe sulle labbra di Gesù ci fa intuire cosa abbia significato l'atto del morire per il Maestro: abbandonarsi alla fedeltà di Dio. La bellezza più profonda di questo salmo è il passaggio dal dramma al canto, dalla fiducia all'esaudimento, dall'interrogativo alla soluzione. Ci sentiamo invitati a entrare in tale linguaggio scritturistico che l'evangelista ha applicato al Maestro per ritrovare la bellezza feconda della speranza, un dramma che diventa gloria, come effettivamente abbiamo ascoltato nella seconda lettura e abbiamo rivisto nel testo alleluiatico: Per questo Dio lo esaltò.

Ora chiediamoci cosa potesse significare quel «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» sulle labbra di Gesù. Una possibile risposta potrebbe essere questa: si è offerto al Padre, in un dialogo d'amore con lui. Spesse volte noi ci poniamo l'interrogativo - cosa avesse fatto il Padre davanti a questo mistero di morte - e se guardiamo attentamente, su quella croce è presente tutta la Santissima Trinità: il Padre che ha regalato l'umanità del Figlio all'intera umanità, e lo Spirito Santo che opera nel cuore di Gesù. Su quella croce Gesù è crocifisso in comunione con il Padre e con lo Spirito Santo, è la profondità di questa rivelazione. L'uomo davanti a questo mistero ci si pone la domanda quale dovesse essere il senso di questo linguaggio dell'evangelista. Di riflesso, nella prospettiva del processo narrativo, che senso potrebbe avvertire per la nostra vita questa invocazione di Gesù sulla croce. La risposta è molto illuminante: in quel momento noi scopriamo che Gesù è talmente unito al Padre, anche se non ne percepisce la presenza, ma sa che il Padre è fedele. È molto bello rileggere il dramma della croce con le parole di Gesù nell'orto degli Ulivi "Padre, se è possibile, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà". In quel «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» contempliamo il mistero di Gesù che si affida totalmente al Padre. Egli è nel Padre. Contemplandolo gustiamo e comprendiamo la bellezza feconda della nostra esistenza. Il discepolo è colui che si fida del Padre e a lui si affida! Quando si è davanti a Gesù che grida sulla croce noi, in certo qual modo, ritroviamo la nostra stessa esistenza e i dinamismi che la qualificano. Quando noi vogliamo scoprire il valore del linguaggio che la tradizione della Chiesa ci ha consegnato, ci accorgiamo che quando si parla di chiamare Dio con il nome di Abba, Padre, Paolo e Marco usano il linguaggio del gridare. Ci troviamo di fronte alla paternità di Dio vissuta nel dramma della storia. Come conseguenza il cristiano quando si rivolge a Dio chiamandolo “Padre” si rivolge a Dio affidando la propria esistenza al mistero divino nella certezza che non sarà mai deluso. Tale sicurezza ci appare chiaramente nel testo che abbiamo ascoltato dell'inno ai Filippesi, dove si proclama Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome. Dio è fedele!

Innamoriamoci di Gesù entrando nella sua sofferenza per percepire la fedeltà di Dio Padre, è il grande mistero della vita di Gesù che noi siamo chiamati ad assumere continuamente. Ecco perché comprendiamo che il guardare il Crocifisso è guardare sì un dramma, ma è anche ritrovare la speranza: una meravigliosa e misteriosa fedeltà divina che vive nel grande amore per la creatura umana. Paolo quando nella Lettera ai Romani vuol definire il cristiano ci dice che in lui lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili. Questi sono i perché della vita che tante volte non hanno un risultato a livello sia concettuale che concreto, ma sono il grido in cui lo Spirito Santo ci dice; “Fidati del Padre, cerca di entrare nel suo mistero e risorgerai!” Ecco perché la Chiesa in questa celebrazione della passione del Signore ci pone sulle labbra, o meglio pone sulle labbra di Gesù «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?», che è un salmo unico che alla fine conclude: Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all'assemblea, la glorificazione! Il cristiano entra nel mistero della morte ma sa che dalla morte fiorisce la bellezza della Risurrezione. E allora credo che rileggere il racconto della passione del Signore guardando il Crocifisso risorto diventi per noi fonte di speranza. Ecco perché il cristiano nel cammino della sua vita fissa il suo sguardo sempre sul Crocifisso, soprattutto sul Crocifisso vivo che guarda in alto, che si consegna al Padre nello Spirito Santo sapendo di non rimanere deluso: Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome.  Viviamo la croce come scuola di vita nella prospettiva di questo grande mistero che è la risurrezione.

Se noi entrassimo in questa esperienza potremmo veramente ritrovare la bellezza della nostra storia, ecco perché ci ritroviamo nell'Eucaristia. Noi spesse volte quando ascoltiamo le parole della consacrazione dimentichiamo il senso di queste parole - Questo è il mio corpo dato per voi, questo è il mio sangue versato per voi -. In quel momento entriamo con la potenza dello Spirto Santo nel mistero di Gesù che muore e ci fa partecipare alla sua Risurrezione “Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell'attesa della tua venuta”. Viviamo così questa Eucaristia nella convinzione che quella morte è principio di gloria, quella morte è speranza nel cammino della vita, quella morte ci apre sulle eternità beata. Ecco perché il celebrare l'Eucaristia è morire con Gesù e risorgere con lui. Usando un’immagine di concretizzazione di ciò che ci siamo detto questa mattina, potremmo dire così. Entriamo nella chiesa dicendo «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?», Gesù ci attira sé, prende il nostro dramma, lo inchioda sulla croce e ci dice: risorgi con me nel dono di me stesso per te: il corpo di Cristo! E in questo noi troviamo la speranza della vita. Chiediamo allo Spirito Santo di accedere a questo mistero con tanta semplicità. Il dono di poter vivere il mistero della croce costituisce il passaggio alla risurrezione, il grido è il passaggio alla lode, il dramma della vita al coraggio di costruire il presente in chiave di eternità bea. Questa è la luce che anima l’inizio di questa settimana santa.

 

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