DOMENICA 9 APRILE 2023
At 10,34a.37-43 Col 3,1-4 Gv
20,1-9
OMELIA
L'esperienza del triduo pasquale ci ha introdotti
nella contemplazione della personalità di Gesù: in lui siamo morti, sepolti e
risorti. Attraverso la ricchezza celebrativa siamo stati introdotti dallo
Spirito Santo in un mistero che è il criterio di fondo della nostra vita. Tale
meraviglioso dono noi riusciamo a coglierlo vivendo l'esperienza del Risorto
nella quotidiana vitalità della fede.
Potremmo definire il brano evangelico, che questa
mattina abbia ascoltato, come la vocazione a gustare la presenza del Risorto. Ecco perché è bello questa mattina
insieme riuscire a comprendere cosa significhi fare l'esperienza del Risorto e
credo che emergano tre passaggi che ci aiutano a vivere e a entrare in questo
affascinante mistero:
l'annuncio
della Risurrezione,
l'accoglienza
in un cuore puro
attraverso
il gustare una trasfigurazione interiore.
Tale tragitto interiore è la pennellata che
l'evangelista Giovanni ci offre nella figura del discepolo che Gesù amava. Egli ha ascoltato la testimonianza, è
corso al sepolcro e ha visto i segni della risurrezione.
Innanzitutto il primo elemento è un elemento oggettivo.
Maria di Magdala va ad annunciare il fatto della tomba vuota, va ad annunciare
un mistero più grande di lei. L'esperienza nasce da un dono oggettivo, ci viene
regalata una presenza, ecco perché l'esperienza parte innanzitutto dalla
bellezza di un annuncio. Nel testo che abbiamo ascoltato dagli Atti degli Apostoli
si dice noi annunciamo a voi quello che
abbiamo sperimentato mangiando e bevendo con lui. In tale testimonianza si mette in luce un evento più grande di noi
e che attira. L'esperienza parte da un dato oggettivo che ci raggiunge e che ci
ricolma di stupore, uno stupore che presuppone un cuore aperto. Ecco allora la
figura del discepolo che Gesù amava. In questa figura si sedimentano due realtà
di fondo, il sentirsi amato e la docilità del cuore che si lascia attirare, che
rappresenta l'elemento soggettivo. Quel discepolo che Gesù amava stava lì
accanto a Gesù nell'ultima cena, reclinò il capo sul petto di Gesù entrando in
intimità con lui, ed è il discepolo che corre in modo più veloce. Viene
visualizzata quella libertà interiore di chi è assetato del mistero. Un'osservazione
che tanti studiosi fanno davanti a questo correre in modo più veloce o più
lento, un’osservazione che ci fa molto pensare: chi si sente profondamente amato
è slanciato a cercare il mistero, chi è impegolato nelle strutture rituali o
giuridiche vive una grande pesantezza esistenziale. Il discepolo che Gesù amava
ha questo cuore aperto, davanti all'annuncio di Maria di Magdala si pone in
atteggiamento di corsa e raggiunge per primo il sepolcro. Questa è
un'esperienza fondamentale nella nostra vita. Si rivela l’importanza del saper
accogliere che si costruisce - nel profondo della nostra vita – nel lasciarci
costruire da questo mistero. Il risultato è che il discepolo Gesù amava entrò, vide e credette dove il vedere
nasce da un cuore puro e il credere da un cuore abitato: è la bellezza
dell'esperienza teologale. Spesse volte noi usiamo questa espressione nel
linguaggio attuale “fare l'esperienza” e noi cadiamo tante volte in una luce
molto soggettivistica, quello che gusto io e rimango chiuso nell’io. Nella
bellezza della fede c’è sempre questo trinomio: un annuncio, un cuore aperto,
una trasfigurazione della persona. E’ la bellezza del cammino di fede a cui
tutti noi siamo profondamente chiamati. In questo comprendiamo perché il discepolo che Gesù amava appare
nell'ultima cena, e l'ultima cena è l'esperienza del Risorto. Quando gli
Evangelisti hanno narrato l'ultima cena non hanno narrato quello che era
avvenuto ma quello che sperimentavano e sperimentavano una presenza che li
aveva raggiunti con un cuore aperto al Maestro per poter essere trasformati
dalla sua presenza, ecco l’esperienza! Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me…
D'ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: io porto le stigmate di Gesù sul mio
corpo. L'esperienza è vivere il mistero lasciandosi da esso trasformare
in un cammino di continua novità di vita.
In tale orizzonte comprendiamo che la gioia di poter
celebrare la Pasqua di Risurrezione significa il desiderio teologale di voler
entrare in questa esperienza. Infatti nella figura del discepolo che Gesù amava
troviamo il volto di ciascuno di noi secondo la mentalità dell’evangelista
Giovanni. Da questo punto di vista la gioia della Pasqua non è legata a un
calendario, la gioia della Pasqua costituisce un vissuto interiore dove la
nostra esistenza si lascia raggiungere da un amore inesauribile, in un atteggiamento
di purezza di cuore che ama accogliere, si lascia avvolgere dal mistero, nella
bellezza di gustare - entrò e vide e
credette – Se sappiamo rivivere
personalmente e comunitariamente la vita interiore del misterioso discepolo che
Gesù amava, noi possiamo veramente dire di essere risorti con Cristo, come
Paolo ci ha detto nella seconda lettura: Se siete risorti con Cristo…rivolgete
il pensiero alle cose si lassù…la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio.
Ogni volta perciò, che noi andiamo alla celebrazione Eucaristia,
facciamo veramente l'esperienza del Risorto come colui che qualifica
profondamente la nostra storia e ci determina nel più profondo del nostro
essere. Viviamo così la Pasqua del Signore come esperienza nella quale noi
gustiamo una presenza. Celebrando l'Eucaristia questa mattina entriamo in
questo itinerario interiore in modo che la gioia della Pasqua non sia legata a
tante cose esteriori, ma sia una gustazione di una presenza gloriosa. Non per
niente il vero augurio Pasquale lo dicevamo anche gli altri anni si ritraduce
benissimo nel rito bizantino dove il saluto è: il Signore è risorto è veramente
risorto! Questa è la bellezza all'interno di questa celebrazione nella quale
veniamo trasfigurati da una Presenza che rappresenta il senso di fondo della
nostra vita, incarna il gusto di un dono che il Padre ci fa e che nello Spirito
Santo abbiamo sempre attuale. In tal modo potremo sempre lasciarci trasfigurare
da questo ineffabile mistero.
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