09 febbraio 2025

V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO C

Is 6,1-2.3-8       1Cor 15,1-11      Lc 5,1-11

OMELIA

Conoscere Gesù è riscoprire il senso della nostra vita.

È un'esperienza che la Chiesa ci ripropone ogni domenica poiché il criterio fondamentale della nostra esistenza è uno solo: Gesù divenga vita della nostra vita.

Di fronte a questo meraviglioso orizzonte, oggi Gesù ci insegna il metodo per poter accedere a questa conoscenza di Gesù, che è l'anima della nostra anima. L'espressione con la quale Gesù si rivolge a Pietro dicendogli d'andare a pescare - a cui risponde Pietro con quella forte espressione: “Sulla tua parola lancerò le reti” -  ci aiuta a entrare nel metodo del Vangelo.

Gesù ci dice: ciò che è evidente agli occhi degli uomini non è evidente per il credente perché, per il credente, è evidente solo ciò che nasce da Gesù.

Infatti se dovessimo in prima lettura accostarci a questo dialogo tra Gesù e Pietro, noi, in modo immediato, potremmo avere questa reazione: Gesù nelle narrazioni evangeliche ci è presentato come figlio del falegname. Pietro, insieme a Giovanni e Giacomo, è pescatore. Sono due professioni completamente diverse. Se noi avessimo come criterio l'esperienza umana, davanti all'invito di Gesù di lanciare le reti, Pietro gli avrebbe potuto dire: “Salviamo le competenze, tu sei figlio di un falegname, non puoi dare un ordine a un pescatore!”. Ma quando entriamo nel Vangelo le evidenze umane non esistono più e qui entriamo nel nucleo del Vangelo che oggi ci deve appassionare: che cosa ha spinto Pietro ad affermare “Sulla tua parola lancerò le reti”?

Qual è l'evidenza che ha afferrato Pietro e gli ha permesso di entrare in questo grande mistero?

Ha accettato di fare un salto di qualità: dalle evidenze umane alle evidenze divine.

Ma come l'uomo può fare questo salto, dalle evidenze umane che in modo immediato prendono l'uomo, a un'esperienza delle evidenze divine?

È un passaggio su cui il Vangelo continuamente ci invita a riflettere: davanti a Gesù, in prima battuta, non c'è mai l'intelligenza! In prima battuta, davanti a Gesù, c'è semplicemente il cuore. Il mistero del cuore è più profondo dell'evidenza delle parole.

Questo è un aspetto che noi cogliamo nella profondità della vita. Quando c'è un'intesa di cuore le parole hanno una certa risonanza, quando non c'è intesa del cuore le parole hanno un'altra risonanza, per cui la bellezza dell'esperienza di Gesù è il cuore!

C'è, tra il discepolo e Gesù - in questo caso tra Pietro e Gesù - una reciprocità che non è costruita sull'evidenze umane, ma su quel cuore che, affascinato da Gesù, dà alla luce la creatività della fede: “Sulla tua parola lancerò le reti!”. La grandezza dei discepoli del Signore è quella di lasciarsi prendere dal mistero di Dio, e, nel mistero di Dio, l'impossibile diventa possibile.

Nella coordinata del cuore non esiste nessun ostacolo.

Questo lo cogliamo molto bene nell’annuncio evangelico che l'apostolo Paolo ci ha regalato: “morto secondo le Scritture, sepolto e risorto il terzo giorno secondo le Scritture”.

Questa espressione che troviamo nell'Apostolo, ripetuta - secondo le Scritture - la potremmo interpretare così: Gesù ha talmente affidato il cuore della sua missione, il cuore della sua persona al Padre, ha talmente amato il Padre che, nel Padre, è risorto!

Chi nel cuore si affida totalmente a Dio ha la creatività di Dio.

Il problema della fede non è un problema di intelligenza che ragiona, ma il problema della fede è un cuore che si dilata in un amore veramente inesauribile.

Quando l'uomo veramente ama?

Quando, nel profondo della propria esistenza, sa gustare la grandezza ineffabile di Dio e della storia al di là di tutte le apparenze umane.

A un cuore veramente puro, nulla è impossibile.

In questo ci accorgiamo quanto l'uomo di oggi abbia difficoltà nella fede e nella conoscenza di Gesù, perché l'uomo contemporaneo sta inconsciamente dimenticando che la bellezza della fede è lasciarsi amare da Dio, lasciarsi (passi l'immagine) trapiantare il cuore vivendo il cuore di Gesù e, nel cuore di Gesù, la morte diventa vita, l'incomprensibile diventa comprensibile, il limite diventa luogo di meraviglia!

Questo è l'itinerario che Gesù ci regala.

Allora il cristiano vive nella luce anche quando è nel buio, ha il gusto della vita anche nella massima tempesta storica perché il cristiano ha il cuore amante di Dio. Quando abbiamo difficoltà nel cammino della fede dilatiamo il cuore, diventiamo (come ha fatto il profeta Isaia) nella supplica: “Come posso io uomo dalle labbra impure?”

Ma quando l'uomo, cosciente della propria povertà, supplica, ha il cuore rifatto.

È la bellezza di ritrovarci questa mattina nell'Eucaristia. Ricordiamoci sempre che, quando supplichiamo davanti alla grandezza di Dio e bramiamo che il cuore di Gesù immensamente amante entri in noi, Gesù ci dà quel carbone ardente che è l'Eucaristia: il suo Corpo nel pane, il suo Sangue nel vino perché il suo cuore divenga il nostro cuore.

Nel momento in cui faremo la comunione sentiremo il cuore ardere d'amore divino-umano e la nostra vita sarà l'oggi della pesca miracolosa. Avvertiremo il fascino amoroso di Dio che trasfigura le nostre persone e ci dà l'ebbrezza di amare in modo veramente inesauribile.

Penso che Gesù questa mattina sia perciò la risposta a tanti interrogativi davanti al mistero alla fede, davanti al mistero della sua persona.

Il cuore che ama ha un'intelligenza profonda, passa al di là delle visibilità umane per cogliere l'ineffabilità di quell'Invisibile in cui si riscopre il gusto della vita.

E quando noi entriamo in questo orizzonte la vita è completamente diversa.

È bello perciò questa mattina lasciarci amare da Dio nel suo Corpo e nel suo Sangue, dato e versato per noi, per avere il miracolo: un cuore infiammato che riscalda i rapporti interpersonali. È la luce del buio, è la gioia di vivere nonostante tutto e nonostante tutti.

 

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