Is 6,1-2.3-8 1Cor 15,1-11 Lc 5,1-11
OMELIA
Conoscere Gesù è riscoprire il senso
della nostra vita.
È un'esperienza che la Chiesa ci ripropone
ogni domenica poiché il criterio fondamentale della nostra esistenza è uno
solo: Gesù divenga vita della nostra vita.
Di fronte a questo meraviglioso
orizzonte, oggi Gesù ci insegna il metodo per poter accedere a questa
conoscenza di Gesù, che è l'anima della nostra anima. L'espressione con la
quale Gesù si rivolge a Pietro dicendogli d'andare a pescare - a cui risponde
Pietro con quella forte espressione: “Sulla tua parola lancerò le reti” - ci aiuta a entrare nel metodo del Vangelo.
Gesù ci dice: ciò che è evidente agli
occhi degli uomini non è evidente per il credente perché, per il credente, è
evidente solo ciò che nasce da Gesù.
Infatti se dovessimo in prima lettura
accostarci a questo dialogo tra Gesù e Pietro, noi, in modo immediato, potremmo
avere questa reazione: Gesù nelle narrazioni evangeliche ci è presentato come
figlio del falegname. Pietro, insieme a Giovanni e Giacomo, è pescatore. Sono due
professioni completamente diverse. Se noi avessimo come criterio l'esperienza
umana, davanti all'invito di Gesù di lanciare le reti, Pietro gli avrebbe
potuto dire: “Salviamo le competenze, tu sei figlio di un falegname, non puoi
dare un ordine a un pescatore!”. Ma quando entriamo nel Vangelo le evidenze
umane non esistono più e qui entriamo nel nucleo del Vangelo che oggi ci deve
appassionare: che cosa ha spinto Pietro ad affermare “Sulla tua parola lancerò
le reti”?
Qual è l'evidenza che ha afferrato
Pietro e gli ha permesso di entrare in questo grande mistero?
Ha accettato di fare un salto di
qualità: dalle evidenze umane alle evidenze divine.
Ma come l'uomo può fare questo salto,
dalle evidenze umane che in modo immediato prendono l'uomo, a un'esperienza
delle evidenze divine?
È un passaggio su cui il Vangelo
continuamente ci invita a riflettere: davanti a Gesù, in prima battuta, non c'è
mai l'intelligenza! In prima battuta, davanti a Gesù, c'è semplicemente il
cuore. Il mistero del cuore è più profondo dell'evidenza delle parole.
Questo è un aspetto che noi cogliamo
nella profondità della vita. Quando c'è un'intesa di cuore le parole hanno una
certa risonanza, quando non c'è intesa del cuore le parole hanno un'altra
risonanza, per cui la bellezza dell'esperienza di Gesù è il cuore!
C'è, tra il discepolo e Gesù - in
questo caso tra Pietro e Gesù - una reciprocità che non è costruita
sull'evidenze umane, ma su quel cuore che, affascinato da Gesù, dà alla luce la
creatività della fede: “Sulla tua parola lancerò le reti!”. La grandezza dei
discepoli del Signore è quella di lasciarsi prendere dal mistero di Dio, e, nel
mistero di Dio, l'impossibile diventa possibile.
Nella coordinata del cuore non esiste
nessun ostacolo.
Questo lo cogliamo molto bene nell’annuncio
evangelico che l'apostolo Paolo ci ha regalato: “morto secondo le Scritture, sepolto
e risorto il terzo giorno secondo le Scritture”.
Questa espressione che troviamo nell'Apostolo,
ripetuta - secondo le Scritture - la
potremmo interpretare così: Gesù ha talmente affidato il cuore della sua
missione, il cuore della sua persona al Padre, ha talmente amato il Padre che,
nel Padre, è risorto!
Chi nel cuore si affida totalmente a
Dio ha la creatività di Dio.
Il problema della fede non è un
problema di intelligenza che ragiona, ma il problema della fede è un cuore che
si dilata in un amore veramente inesauribile.
Quando l'uomo veramente ama?
Quando, nel profondo della propria
esistenza, sa gustare la grandezza ineffabile di Dio e della storia al di là di
tutte le apparenze umane.
A un cuore veramente puro, nulla è
impossibile.
In questo ci accorgiamo quanto l'uomo
di oggi abbia difficoltà nella fede e nella conoscenza di Gesù, perché l'uomo
contemporaneo sta inconsciamente dimenticando che la bellezza della fede è lasciarsi amare da Dio, lasciarsi (passi
l'immagine) trapiantare il cuore vivendo il cuore di Gesù e, nel cuore di Gesù,
la morte diventa vita, l'incomprensibile diventa comprensibile, il limite diventa
luogo di meraviglia!
Questo è l'itinerario che Gesù ci
regala.
Allora il cristiano vive nella luce
anche quando è nel buio, ha il gusto della vita anche nella massima tempesta
storica perché il cristiano ha il cuore
amante di Dio. Quando abbiamo difficoltà nel cammino della fede dilatiamo
il cuore, diventiamo (come ha fatto il profeta Isaia) nella supplica: “Come
posso io uomo dalle labbra impure?”
Ma quando l'uomo, cosciente della
propria povertà, supplica, ha il cuore rifatto.
È la bellezza di ritrovarci questa
mattina nell'Eucaristia. Ricordiamoci sempre che, quando supplichiamo davanti
alla grandezza di Dio e bramiamo che il cuore di Gesù immensamente amante entri
in noi, Gesù ci dà quel carbone ardente che è l'Eucaristia: il suo Corpo nel
pane, il suo Sangue nel vino perché il suo cuore divenga il nostro cuore.
Nel momento in cui faremo la comunione
sentiremo il cuore ardere d'amore divino-umano e la nostra vita sarà l'oggi
della pesca miracolosa. Avvertiremo il fascino amoroso di Dio che trasfigura le
nostre persone e ci dà l'ebbrezza di amare in modo veramente inesauribile.
Penso che Gesù questa mattina sia
perciò la risposta a tanti interrogativi davanti al mistero alla fede, davanti
al mistero della sua persona.
Il cuore che ama ha un'intelligenza
profonda, passa al di là delle visibilità umane per cogliere l'ineffabilità di
quell'Invisibile in cui si riscopre il gusto della vita.
E quando noi entriamo in questo
orizzonte la vita è completamente diversa.
È bello perciò questa mattina
lasciarci amare da Dio nel suo Corpo e nel suo Sangue, dato e versato per noi,
per avere il miracolo: un cuore infiammato che riscalda i rapporti
interpersonali. È la luce del buio, è la gioia di vivere nonostante tutto e
nonostante tutti.
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