16 febbraio 2025

VI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO C

DOMENICA 16 FEBBRAIO 2025 

Ger 17,5-8      1Cor 15,12.16-20      Lc 6,17.20-26

OMELIA

Quando il discepolo con purezza e apertura di cuore accoglie il Maestro e ne vive tutta la paradossalità si ritrova nell’esperienza delle beatitudini; infatti, se risentiamo attentamente l’introduzione alla sapienza delle beatitudini, ci accorgiamo che Gesù volge lo sguardo verso i discepoli e, in quell’atteggiamento, scopriamo che il discepolo è chiamato ad avere un cuore puro per lasciarsi invadere dalla personalità del Maestro.

Le beatitudini sono l’espressione verbale della comunicazione che Gesù fa di sé stesso al discepolo perché il discepolo sia l’incarnazione della sua sapienza.

Se leggiamo attentamente queste beatitudini ci accorgiamo come esse siano fondamentalmente paradossali: il dramma storico, la gloria eterna…Per entrare in questa sapienza attraverso lo sguardo del cuore attento al volto del Maestro dobbiamo chiederci cosa significa che il discepolo è chiamato ad assumere questa sapienza che, in modo immediato, è tutt’altro che acquistabile dall’uomo comune.

Qui scopriamo una grossa verità che ci deve permeare in modo che la sapienza di Gesù divenga la nostra sapienza: in modo immediato - come metodo - non dobbiamo porci nell’atteggiamento di capire letteralmente le beatitudini perché esse sono delle formulazioni paradossali per l’uomo concreto ma, l’esperienza delle beatitudini, è permettere a Dio Padre che suo Figlio, morto e risorto, viva dentro di noi.

Le beatitudini sono il Cristo attivo in noi.

In certo qual modo, noi non partiamo dalle beatitudini per viverle, ma partiamo dell’accoglienza del Cristo che rivive in noi la sua sapienza e, di riflesso, ne viviamo l’interiorità che sono le beatitudini. Gesù con lo sguardo del cuore penetra dentro di noi e quando lo sguardo del cuore accoglie il Maestro, e il Maestro vive dentro di noi, ci accorgiamo che le beatitudini fioriscono in modo immediato.

Le beatitudini non sono da imitare, ma sono il risultato della imitazione di Cristo.

Potremmo dire che le beatitudini sono quattro (come nel Vangelo di Luca), le beatitudini sono otto (come nel Vangelo di Matteo), le beatitudini sono sedici (se guardiamo la tradizione neo-testamentaria), ma le beatitudini in ultima analisi sono infinite…perché le beatitudini sono il fiorire della personalità di Gesù dentro di noi.

Le beatitudini perciò vivono di colui che nella sua esistenza ha un unico scopo: amare la storia di Gesù, configurandosi a essa in ogni scelta per poter partecipare alla sua gloria.

Ma noi ci troviamo nella sapienza di Gesù se risentiamo con la mentalità di oggi le quattro beatitudini di Luca; ci ritroviamo in una condizione di emarginazione storica, in un mondo che ha come criterio l’apparire, il produrre, la gloria umana.  Risentire le beatitudini vuol dire essere in un altro mondo.

Se ci accostiamo a Gesù e ci lasciamo affascinare dalla sua persona e dal suo mistero potremo dire che accogliamo “le stimmate” dell’emarginazione storica.

Non per niente Gesù ha salvato il mondo da emarginato, fuori dalle mura (dice la lettera agli Ebrei) in un frammento di storia profana, fu rifiutato dall’umanità…

Ecco perché le beatitudini sono lo Spirito di Gesù dentro di noi e, ciò che ci permette di viverle, è non guardare mai alle conseguenze, ma guardare a quella interiorità di Cristo che è radicata dentro di noi.

Se noi partiamo da questa sapienza in cui siamo affascinati dal Maestro e nella figura del Maestro costruiamo la nostra storia ci accorgiamo di un secondo passaggio che è espresso dai tempi verbali delle beatitudini: la prima beatitudine è al presente, le altre tre sono al futuro perché nelle beatitudini c’è un presente che genera un futuro.

Tante volte, come discepoli del Maestro, potremmo cadere in una insipienza esistenziale: oggi soffro, domani sono nella gloria… ma se vivessimo solo di futuro non potrebbe essere tutta un’illusione?

Ricordiamoci che l’uomo religioso è tentato dal transfer-psicologico del domani.

Come l’imitazione di Cristo è un “oggi”, le beatitudini partono dalla presenza: “oggi” di Gesù.

Oggi il Maestro in noi vive la sua sapienza e chi oggi vive la sua sapienza, domani godrà della pienezza. Se dovessimo usare un’immagine evangelica che ci permette di intravvedere questa ricchezza, dovremmo guardare l’immagine del chicco di grano.

Tutta la fecondità del chicco di grano è nel presente nascosto sotto terra.

Le beatitudini è vivere sotto terra; Paolo direbbe: “Nascosti con Cristo in Dio” e in questo nascondimento vivere un presente, dove la vera gioia è il Signore dentro di noi!

Il futuro sarà il fiorire della ricchezza di questo presente, è un presente denso di eternità.

Noi viviamo oggi la grandezza del Maestro nella profonda consapevolezza che il presente, intensamente vissuto, fa sì che noi ci proiettiamo in un futuro arricchendo la nostra storia di una speranza veramente inesauribile. Il presente in Cristo sarà sì un tormento, ma in Cristo! Ed essendo in Cristo è fonte di ineffabile risurrezione.

Ecco il testo dell’apostolo Paolo della seconda lettura, per cui nelle tristezze storiche noi stiamo vivendo le fecondità eterne.

Ecco perché l’Evangelista parte dalla prima beatitudine al presente: “Beati voi poveri perché vostro è il regno dei cieli” e poi passa al futuro.

È quel coniugare la sapienza del Vangelo di una profondità di presente che dà forza e coraggio nel futuro.

Ecco perché il cristiano ha sempre la purezza del cuore, perché è sempre aperto a questa Presenza del Maestro per spalancare la propria esistenza alla sua invadenza e, quando il Maestro entra dentro di noi, viviamo la sapienza che è la morte e risurrezione di Gesù.

Ecco perché il Signore ci dice: “Permettimi di entrare in te come risorto, per darti il coraggio del mio morire nella tua esistenza storica”.

Allora intuiamo come giorno per giorno le beatitudini sono la grande speranza: non ci lasciamo schiacciare dal presente, ma dall’interno della nostra persona diamo a essa una forte valenza di salvezza che si rivelerà quando vedremo finalmente il Signore faccia a faccia.

Quella sapienza ci trasformerà in modo definitivo e saremo nella gloria eterna!

Le beatitudini sono la fecondità della risurrezione nel drammatico presente storico.

Questa mattina ci siamo ritrovati in questa Eucaristia per poter accogliere la sapienza di Gesù.

L’Eucaristia, usando il linguaggio evangelico di questa mattina è Gesù che volge il suo sguardo verso di noi e volge il suo sguardo dentro di noi dicendoci: “Beati gli invitati alle nozze della cena dell’Agnello” e in quel momento entriamo nella vera beatitudine! Il Corpo e il Sangue del Signore!

In quel momento si è sedimentata in noi quella sapienza che è speranza vera, effettiva e feconda nella tribolazione.

Le beatitudini del Vangelo sono la beatitudine eucaristica: “Beati gli invitati alla cena delle nozze dell’Agnello”. Allora ritorniamo a casa con questa gioia: il Signore ha messo in noi la fecondità della risurrezione.

Anche se la storia sarà povertà, afflizione, essere affamati, essere perseguitati, in noi c’è quel farmaco di immortalità divina che ci dice: “Val la pena di vivere la sapienza del Vangelo”. Assumiamo questa mentalità che, a noi discepoli questa mattina ci vuol regalare, per crescere nella bellezza della vita nonostante le drammaticità, perché il Signore è in noi e la sua Presenza è la grande beatitudine: il coraggio di vivere il presente affascinati da un Maestro divino che ci apre le porte dell’eternità beata.

 

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