21 aprile 2025

LUNEDÌ FRA L'OTTAVA DI PASQUA - ANNO C -

LUNEDÌ 21 APRILE 2025

At 2, 14. 22-32      Mt 28, 8-15                      

OMELIA

L’evento della risurrezione di Gesù è divenuto ed è per noi il principio di tutta la nostra esistenza.

Anche noi siamo chiamati a “vedere il Risorto” come ieri mattina ci suggeriva l’apostolo Pietro, perché l’esperienza della risurrezione è un evento nel quale una persona, il Risorto, si pone in relazione con noi trasformando la nostra vita.

Gesù è risorto perché noi viviamo solo di Lui e la sua presenza è principio determinante per la nostra esistenza. Davanti a questo ineffabile dono, in noi c’è sempre il grosso interrogativo: come possiamo vedere il Signore per poterlo veramente gustare, condividere, facendolo diventare la speranza della nostra vita?

La Parola alla quale questa mattina Gesù ci indirizza potrebbe aiutarci a ritrovare il modo con il quale possiamo veramente accostarci al Risorto vivendone la presenza.

L’esperienza delle donne dopo l’annuncio degli angeli potrebbe essere per noi la strada da percorrere in vista di una autentica esperienza del Risorto. Non per nulla nella narrazione evangelica prima si mettono in luce i sentimenti delle donne e, alla luce di questi sentimenti, ecco appare loro il Risorto perché quei due sentimenti delle donne sono l’esperienza nella quale dobbiamo entrare. Le donne sono qualificate da questi due atteggiamenti: timore e gioia grande, atteggiamenti che dovrebbero qualificare il nostro intimo in modo che possiamo veramente contemplare il Risorto, gioia della nostra esistenza.

Innanzitutto il primo atteggiamento: “timore”. Quando sentiamo, nell’ordine evangelico, questa espressione essa non indica affatto paura, ma è l’espressione normale quando Dio appare in modo meraviglioso. Questo lo cogliamo in tutta la vicenda di Gesù: quando Gesù fa qualcosa di grande, i discepoli e le folle sono prese da timore.

Il timore infatti è l’atteggiamento dell’uomo che si lascia stupire dall’agire improvviso di Dio, un agire improvviso che va al di là delle nostre attese, delle nostre aspettative, qualcosa che appartiene alla gratuità rivelativa di Dio.

Nell’esperienza della fede non è niente ovvio, non è ovvio l’incontro con il Risorto.

L’uomo che vuole entrare nel cammino credente ha abbandonato ogni logica perché nel momento in cui si intraprende l’esperienza della fede, si è nella creatività di Dio e l’uomo povero, che nella povertà evangelica si lascia raggiungere da Dio, va aldilà di ogni possibile attesa umana. L’esperienza della risurrezione infatti è qualcosa di travolgente per la nostra vita.

Tante verità di fede sono troppo ovvie per noi e, essendo troppo ovvie, non ci riempiono di stupore. Celebrando la Pasqua di Gesù, non abbiamo celebrato un avvenimento passato, ma un evento: il Signore che ci sorprende nella sua fedeltà creando in noi commozione, emozione e perciò timore evangelico.

La Pasqua è diventata troppo un calendario di vacanze, non è vissuta nello stupore di Dio.

Se non cogliamo questo elemento non vedremo mai il Risorto perché noi procederemo sempre nella logica semplicemente umana, ma l’uomo della logica è protagonista della sua vita, noi siamo uomini dello stupore. È il primo elemento che quelle donne ci regalano per poter incontrare il Risorto.

Di riflesso appare il secondo elemento: la gioia grande. È interessante come l’Evangelista nella sua narrazione abbia aggiunto l’aggettivo “grande”.

Se è vero che l’uomo nel cammino della sua vita è chiamato a essere nella gioia, l’evento della risurrezione è una gioia veramente incommensurabile perché è il Risorto che è entrato, ed entra dentro di noi. È qualcosa di così affascinante, di così ineffabile quella presenza del Risorto che è una gioia grande la sua presenza.

Qui cogliamo una verità che ci deve prendere fino in fondo: è Gesù che entrando in noi è gioia e poiché il Risorto in noi è la gioia, è una gioia grande che ha la misura di Dio, per cui la nostra esistenza diventa un traboccare di questa grandezza di Dio.

Celebrando la Pasqua, lasciandoci prendere dalla presenza del Signore, abbiamo l’esultanza che se anche è legata alle contingenze umane, come il clima festivo, tuttavia è una gioia legata a una Persona che nella sua gratuità e imprevedibilità è entrata in noi e ha qualificato il nostro essere. In questi due stati d’animo viviamo quello che il Vangelo ci ha detto: il Risorto appare alle donne, le saluta, linguaggio di un’esperienza di relazione veramente affascinante.

I tre verbi: si avvicinarono, gli abbracciarono i piedi, e lo adorarono, ritraducono le loro esperienze di donne che sono introdotte nell’intimità pasquale di Gesù. Ecco perché il cristiano deve vivere quella esperienza, l’esperienza di quelle donne, per poter godere l’intimità del Risorto.

Allora ci porremo la domanda: per noi veramente Gesù è risorto? Ed è la persona che determina la nostra vita?

Dobbiamo andare sempre a quelle parole con le quali l’Evangelista ha pennellato l’esperienza interiore di quelle donne: timore, (che è il superamento del monotono del feriale), ma è la novità di Dio che rende gloriosa la monotonia feriale.

In questo cogliamo la bellezza della nostra fede e se vivremo i tre verbi di quelle donne: si avvicinarono, lo abbracciarono, lo adorarono, cogliamo il mistero del Corpo e del Sangue del Signore.

Mentre ci accosteremo alla comunione vivremo i tre verbi: ci avviciniamo, lo abbracciamo, entriamo nella sua intimità.

Allora oggi torneremo a casa con grande ebbrezza: il Risorto è entrato nella nostra vita e ci ha regalato, per sua pura grazia, “vera gioia”, ineffabile, così grande che non possiamo non dire, uscendo di chiesa, con la faccia gloriosa della nostra persona: “Abbiamo incontrato la persona del Risorto!”.

Intuiamo allora nella fede la presenza di un Dio veramente ineffabile da accogliere per dare speranza all’intera umanità.

La vita allora diventa gloriosa e ricca di speranza mentre attendiamo lo svelamento del suo Volto nella Gerusalemme del cielo.


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