DOMENICA 13 APRILE 2025
Is 50,4-7 Fil 2,6-11 Lc 22,14-23,56
OMELIA
Il cammino quaresimale lentamente ci
ha introdotti nella comprensione della personalità di Gesù e, dopo essere
entrati nella sua area di influenza godendo la bellezza del perdono, il Maestro
oggi ci introduce nell’essenzialità della sua vita.
La caratteristica del racconto
culminante della Passione del Signore ci fa vedere Gesù in comunione stretta con
il Padre. Tutta la ricchezza della personalità di Gesù è tutta nel Padre. Ricordiamo
quell’espressione con la quale Gesù davanti al rimprovero di Maria ha rivolto a
Maria Santissima e a Giuseppe: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io debbo
essere attento alle cose del Padre mio?».
La vita di Gesù è stata tutta un
rapporto con il Padre perché tale era il senso della sua vita per cui, questa
mattina, risentendo il racconto della Passione scopriamo ciò che è nel cuore di
Gesù: il rapporto con il Padre.
Gli Evangelisti narrano la Passione, non
fanno niente altro che mettere in luce ciò che ha guidato continuamente la
storia di Gesù: il Padre.
Questo è il senso stesso della nostra
esistenza.
Nel momento in cui sentiamo Gesù
rivolgersi a Dio chiamandolo “Padre” troviamo il senso della nostra esistenza.
Il discepolo è tale quando, nel trambusto della vita e nello scorrere degli
avvenimenti, ha un unico intento: alzare gli occhi e dire: “Padre”. In questo
ritroviamo il senso e l’essenzialità della nostra vita.
Se nel racconto, in modo immediato,
siamo presi dal dramma della sofferenza di Gesù, se andiamo alla scuola
dell’evangelista Luca, troviamo che c’è qualcosa di molto più profondo in quel
dramma interiore se non il rapporto con il Padre. Mentre Gesù soffre in croce,
le due belle preghiere ritraducono il senso della vita di Gesù: “Padre perdona
loro perché non sanno quello che fanno”. Gesù è entrato nella storia assumendo
il peccato dell’uomo. È bello come l’evangelista Luca pone la persona di Gesù
al battesimo al Giordano, immerso in quell’acqua, in comunione con tutti i
peccatori: Gesù ha iniziato la sua storia pubblica diventando peccato. È il
mistero di solidarietà con i peccatori che ha caratterizzato l’intero percorso
dell’esistenza di Gesù, poiché Gesù ha assunto questo dramma sull’albero della
croce.
Gesù si rivolge al Padre parafrasando
in questo modo il testo dell’Evangelista: “Padre, perdona i loro peccati perché
li ho espiati io”. Gesù nel rapporto con il Padre diventa la redenzione!
Il bel quadretto con il quale Gesù
promette il paradiso al ladrone pentito ritraduce la storia dell’uomo. Ogni
uomo che fissa lo sguardo su Gesù, ogni uomo che si lascia prendere dagli occhi
del Crocifisso sente le stesse parole: “Oggi sarai con me in Paradiso, perché il
tuo peccato l’ho espiato io”.
Ecco perché l’uomo quando dice:
“Padre” e si immette nella personalità di Gesù si sente profondamente
perdonato!
La vita del cristiano è una continua
sintesi di due atteggiamenti: lo sguardo del cuore rivolto al Crocifisso - il
respiro dell’anima - e la preghiera “Padre”. Ecco perché il cristiano non ha
paura di imitare continuamente il Maestro anche nel dramma della croce, perché
dentro di sé avverte questa due meravigliose realtà. Il cristiano si sente in
quello sguardo così “intensamente perdonato” d’avere il coraggio, il coraggio
della fede - nello Spirito Santo - di rivolgersi a Dio chiamandolo “Padre”!
Ecco perché il cristiano riconosce la
sua esistenza essenzialmente perdonata quando prega il Padre.
È qualcosa che il cristiano dovrebbe
fondamentalmente assumere nella propria storia: in quel “Padre” c’è la gioia di
essere perdonati. È la prima sfumatura che Gesù questa mattina ci regala
introducendoci nella sua interiorità di uomo che nello Spirito vive del Padre.
Chiunque nel cammino della sua
esistenza si lascia prendere da questo mistero ha l’armonia di Dio. Ecco perché
il cristiano in qualunque croce della sua esistenza, se immediatamente l’uomo
psichico dice: “dove sei o Signore?” l’uomo spirituale dice: “Padre!” e dicendo
Padre con lo sguardo rivolto al crocifisso l’uomo si illumina di speranza!
Ecco quella interiorità che dovremmo
continuamente coltivare a livello interiore. Se avvertiamo questa prima
preghiera, cogliamo chiaramente la seconda: “Padre, nelle tue mani consegno il
mio spirito”. “Padre, la missione di dare speranza all’uomo l’ho compiuta”.
Nell’esperienza del buon ladrone tutta
l’umanità è redenta, ciò che era peccato è diventato grazia, ciò che era buio è
diventata luce, ora la mia missione l’ho compiuta: ti consegno il mio spirito!
Allora scopriamo Gesù su quella croce
che dà compimento alla sua vicenda, ma dà compimento alla vicenda di ogni uomo
che nel cammino della sua vita dice sempre: “Padre, mi consegno nelle tue mani,
nel tuo Figlio ho ripreso il gusto della vita, sono stato perdonato, ma la
bellezza dell’esser perdonato, o Padre, è consegnarmi pienamente nelle tue
mani.”
È la bellezza della nostra vita dire
sempre: “Padre” per sentirci quelle creature nuove che entrano nella comunione divina.
Ecco allora che il racconto della
Passione che abbiamo ascoltato non è un racconto semplicemente drammatico, ma è
il racconto dell’interiorità di Gesù, è il racconto della nostra interiorità:
imparare nel cammino della vita a non guardare le croci, ma a guardare il
Crocifisso per dire in Lui, con Lui e come Lui “Padre” e quando noi, in questa
semplice parola ritradurremo la nostra esistenza di discepoli, in quel momento,
ci sentiremo perdonati in una meravigliosa comunione divina.
Ecco perché non dobbiamo mai
allontanare il nostro sguardo dal Crocifisso per sentire in noi questa novità
che viene dall’alto poiché, tale esperienza, noi la riviviamo continuamente nel
Mistero eucaristico perché in esso entriamo nella comunione dell’essere
perdonati.
Ogni volta che nell’Eucaristia
proclamiamo “Padre nostro che sei cieli” abbiamo lo sguardo lo sguardo rivolto
al Crocifisso, sentiamoci perdonati e abbiamo la profonda tensione alla
comunione con il Padre e noi non saremo delusi quando il Signore stesso ci darà
il suo Corpo e il suo Sangue! In quel momento ci sentiremo perdonati, ci
sentiremo in comunione con Dio e uscendo dall’Eucaristia ci porteremo a casa
una sola gioia: ho fatto l’esperienza che Dio è Padre!
Ritrovando il gusto di questa verità
non guarderemo più alle croci, avremo il gusto che Dio è Padre nell’esistenza
sempre perdonata nell’intimità divina.
Viviamo così questa settimana santa in
modo che la speranza di Dio si sviluppi nei nostri cuori in modo da dire sempre
e solo: Padre!
In questa semplice e affascinante
espressione incarneremo tutto il nostro desiderio di redenzione, di novità di
vita e scopriremo la bellezza di essere quelle creature nuove che sospirano
solo quel Paradiso che tra poco, nell’eternità beata, avvolgerà tutta la nostra
vita.
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