OMELIA
Il cammino che abbiamo percorso nello Spirito Santo in questa quaresima ci ha fatto lentamente crescere il desiderio di godere la presenza del Maestro. La festa della risurrezione ci fa intuire che il Risorto è in mezzo a noi, che il Risorto appare a noi e che noi contempliamo veramente il Risorto.
La bellezza dell'essere discepoli è vedere il Risorto e vederlo, a
livello personale, con tutta la ricchezza della nostra interiorità, ma vederlo
anche a livello ecclesiale: siamo questa mattina insieme per insieme vedere il Risorto.
Il discepolo non può essere tale se non vedendo il Maestro divino, diversamente
potrebbe essere tutta un'illusione! Davanti
a questa vocazione, nasce in noi l'interrogativo: come possiamo vedere il Risorto?
La relazione con lui è essenziale per costruire la nostra vita. L'apostolo Pietro,
nel discorso a Cornelio che abbiamo ascoltato nella prima lettura, ci offre il
metodo perché possiamo veramente gustare una presenza. Pietro ha affermato:“Gesù
non si è manifestato a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti, a noi che
abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua resurrezione”.
In questa affermazione della Chiesa Apostolica, scopriamo i due
elementi fondamentali per poter fare l'esperienza del Risorto. Il gusto di
essere stati eletti da una parte e, dall'altra, il gustare il mangiare e il
bere con lui: due elementi che caratterizzano la vita del discepolo.
Innanzitutto per poter veramente vedere il Risorto, dobbiamo prendere
coscienza che siamo testimoni eletti, scelti. Ricordiamo sempre la bella espressione
del Vangelo di Giovanni: “Non vuoi avete scelto me, ma io ho scelto voi”: il
discepolo è colui che è oggetto dell'amore inesauribile di Dio. Questa
espressione ritrova il suo riscontro nella figura di quel misterioso
personaggio che è apparso nel testo evangelico: il discepolo che Gesù amava.
Il discepolo che Gesù amava è ciascuno di noi.
L'esperienza della risurrezione nasce dalla ferma convinzione che la
nostra esistenza è talmente amata da Dio da essere il sacramento dell'amore di
Dio, è il gusto di farci amare nella pienezza della nostra identità dal Risorto.
Se il Risorto non avvolge tutta la nostra persona non siamo suoi
discepoli.
Usando la bella immagine, sempre di Giovanni, che troviamo quando egli
ci presenta il discepolo che Gesù amava : noi dovremmo reclinare continuamente
il nostro capo sul petto di Gesù, sentirci talmente immersi nella identità del Maestro
da sentirci amati al di là di ogni misura. Usando un'espressione tradizionale
dovremmo talmente lasciarci amare “da perdere la testa per lui”. Per poter
accedere a questa esperienza dobbiamo “stare”
in una affascinante relazione: la persona di Gesù trasfigura la nostra persona
perché il Signore abita in noi. L'amore è il Risorto che è presente nella
nostra esistenza umana. La nostra fisicità è la sacramentalità dell'essere immersi
nel mistero dell'amore che abita in noi : è la gioia di essere discepoli!
Tante volte siamo troppo tentati di rispondere all'amore del Signore e
dimentichiamo la gioia di gustare l'essere raggiunti da questa ineffabilità che
è una persona gloriosa che abita realmente dentro di noi, e abita in modo così
reale da poter continuamente qualificare la nostra esistenza. E’ il nostro
cuore che pulsa Gesù Cristo!
Noi non possiamo accedere alla bellezza del Risorto senza questa
pregnanza interiore.
Secondo un principio facilissimo da intendere potremmo affermare che
l'occhio vede colui che il cuore ama. Quando il cuore ama, vede sempre l'amato!
Senza l'amato non si può vivere. Quando perciò ci poniamo l'interrogativo, come
possiamo vedere il Risorto, dobbiamo rientrare in noi stessi e intuire la
meraviglia che è ciascuno di noi.
La bellezza della vita è gustare questa inabitazione personale del Risorto,
ma tale identità si sviluppa nel secondo passaggio che la Chiesa antica ci ha
detto attraverso le parole dell'apostolo Pietro: “E’ apparso a noi che abbiamo
mangiato e bevuto con lui”. Qui entriamo nella profondità del mistero
dell'esperienza del Risorto: Quando ci lasciamo condurre nell'esperienza dell'ultima
cena, in quel misterioso evento che è nascosto in Dio, intuiamo in modo
particolarmente evidente perché Gesù diventa pane, perché Gesù diventa vino. Se
partiamo dalla esperienza concreta della vita, sappiamo che gli alimenti che
assumiamo sono in rapporto alla struttura biologica della persona; ogni
alimento è in vista di ricostruire continuamente quelle cellule corporee che
muoiono. Se la nostra vita ha "le cellule" di Gesù Cristo, se la nostra vita è il sangue di Cristo che
continuamente fluisce nelle membra della nostra persona, qual è l'alimento di
questa "corporeità cristologica" che siamo noi, se non il Cristo
stesso? Nel momento in cui c'accostiamo all'eucarestia è il Cristo che entra in
noi e rifà le cellule della nostra esistenza spirituale e, quindi, lo possiamo
veramente conoscere perché, mangiando e bevendo sacramentalmente lui e con lui,
veniamo intensamente trasfigurati.
L'eucarestia è il Cristo che ci dice: " Sono la tua vita e non lo
sono in modo teoretico, mi faccio cibo-pane e vino per te perché tu, senza di
me, muori. La tua identità non si sviluppa, e non realizzi effettivamente la
bellezza della tua esistenza." Quando veniamo rigenerati in modo continuo
dalla persona del Risorto, la nostra corporeità risorge continuamente perché le
nostre cellule sono alimentate da Cristo Gesù.
È la bellezza della nostra esistenza cristiana!
Se potessimo veramente entrare in questa novità e riproporci la
domanda che ci siamo posti all'inizio, come possiamo vedere il Risorto, dovremo
dare una semplice risposta: impariamo a conoscere chi siamo e gustiamo come
possiamo diventare ogni giorno noi stessi. Allora la relazionalità con il Risorto
che abita in noi, la relazionalità che
abbiamo nel pane nel vino che diventa
quella capacità visiva del cuore che dice: "Signore grazie che ti riveli a
me ogni giorno!" Questa esperienza diventa fortemente feconda perché
possiamo essere in grado di manifestare ai fratelli la presenza del Risorto. È
molto bello come nella tradizione bizantina l'esperienza della Pasqua si
traduce in un'unica parola che risuona continuamente in quelle comunità la mattina
di Pasqua di risurrezione e per l'intero periodo pasquale: “Christos Anesti” , "Gesù
è veramente risorto"! Ed è un saluto di gran lunga superiore ai nostri “buona
Pasqua” che sanno di sapore commerciale. La bellezza della vita è dire Gesù è
veramente risorto: “Christos Anesti” perché, in quel momento, in quel proferire
una simile espressione si percepisce come queste persone trasfigurate
comunicano una gioia “Christos Anesti” perché veramente il Risorto è gustato in
questa misteriosa e meravigliosa esperienza.
Questa mattina gustiamo questa verità. Quando noi, che siamo stati
scelti nel battesimo ad essere il volto vivente del Cristo, ci accosteremo a
quel pane a quel vino avvertiremo che a noi che siamo stati prescelti, e che
mangiamo e beviamo con lui, avremo l'esultanza di crescere nel gusto della risurrezione.
Uscendo di chiesa, dovremmo dire ai fratelli non tanto con le parole, ma con il
sorriso gioioso del cuore: il Signore è
veramente risorto perché con il cuore l'ho visto, l'ho gustato nel cuore, mi
sono lasciato trasfigurare dalla sua persona gloriosa e luminosa.
Tale è il mistero che vogliamo portarci a casa questa mattina in modo
che la solennità di pasqua di risurrezione non sia un episodio della vita, ma l'evento
della risurrezione è qualificante la nostra storia. Questo gusto della vita ci
dà la speranza in quell'eternità di cui ci ha parlato Paolo perché la nostra
vita ormai è nascosta con Cristo in Dio.
Questa è la vera gioia della Pasqua, il resto non ci interessa.
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