Ez 17,22-24 2Cor 5,6-10 Mc 4,26-34
La vocazione alla quale Gesù ci ha richiamati
domenica scorsa nella quale l'uomo è chiamato ad una autentica fraternità
contemplando il mistero di Cristo, può apparire, all'uomo in cammino, una
grande utopia poiché l'uomo facilmente rimane chiuso in se stesso e non riesce
ad aprire i propri orizzonti a quella esperienza di comunione che lo dovrebbe
sostanzialmente caratterizzare.
Questa visione noi la cogliamo molto bene
nella parola che oggi Gesù ci ha regalato attraverso l'esperienza del regno dei
cieli. Il regno di Dio è un fermento che attraversa tutta la storia creando
quell'uomo nuovo, quella comunità nuova per la quale egli dona continuamente la
sua vita.
Entrare nel mistero del regno di Dio è il
grande sogno di cui ci ha parlato il profeta Ezechiele, ma questa visione che
ci affascina quale è appunto l'essere fraternità in un mondo così complesso è, o
può sembrare, un ideale irraggiungibile e Gesù, attraverso le due parabole che abbiamo
ascoltato ci presenta il suo mistero. Se vogliamo raggiungere e realizzare
quest'esperienza di affascinante comunione dobbiamo entrare nel mistero di Gesù
e le due parabole sono nient'altro che Gesù che narra la sua storia e nello
stesso tempo ci dice: questa è la tua storia.
Innanzitutto la prima paraboletta mette in
luce la creatività divina: l'uomo, nello stupore, vede lo sviluppo di quel
germe, di quel seme, e quel germe e quel seme non sono nient'altro che la
creatività di Dio nella storia, in questo Gesù ci dice: io sono la fantasia
meravigliosa di Dio. Una fantasia meravigliosa che opera misteriosamente nel
cuore dell'uomo perché ogni uomo è la presenza di Dio.
Sia che vogliamo, sia che non vogliamo, sia
che ci accorgiamo, sia che non ci accorgiamo, noi avvertiamo una potenzialità
divina più grande di noi stessi; l'uomo ritrova, guardando a Gesù, una continua
creatività divina. Come Gesù fu continuamente guidato dallo Spirito Santo in
una docilità estrema all’oggi misterioso del Padre e dalla sua esistenza è nata
la novità del mondo intero - per cui tutti gli uomini in Lui ritrovano il senso
della vita - così in ciascuno di noi, pur nelle oscurità del presente si dovrebbe
avvertire nella fede il fiorire un qualcosa di meraviglioso.
Noi qualche volta non riusciamo a entrare in
questa mentalità di Gesù perché siamo eccessivamente presi dalle cose
quotidiane e non respiriamo la creatività fiduciosa di Dio nei nostri
confronti. Nella tragicità della storia stiamo respirando, siamo amati, siamo
ricreati anche nelle nostre infedeltà concrete perché il Signore nel quale
viviamo sviluppa continuamente la sua creatività. Tante volte noi corriamo
troppo e non abbiamo più il tempo per percepire questo divenire delle
meraviglie di Dio nella nostra esistenza.
Guardiamo il nostro cuore, come quel contadino
che in certo qual modo vede il crescere di questo seme e percepiremo quanto Dio,
in modo meraviglioso, operi nella nostra esistenza. Dovremmo sempre prendere
coscienza di questo Dio inabitante in noi e ritrovare quel silenzio del cuore
nel quale Dio rivela meravigliosamente se stesso e allora, ecco il primo
elemento che può far vivere il sogno di Gesù di inaugurare il regno di Dio
perché possiamo veramente costruire in armonia la vocazione ad essere
fraternità in Lui.
Ma queste meraviglie che Dio opera
continuamente nella nostra esistenza passano attraverso la condizione della
nostra piccolezza. Dio è meraviglioso in chi ama essere piccolo. Se noi
guardiamo attentamente la vita di Gesù, la sua vita è stata sostanzialmente il
nascondimento di Nazaret, trent'anni di vita nascosta e in quei trent'anni di
vita nascosta Gesù ha maturato lentamente la comunione con il Padre nella sua
dimensione umana. Dovremmo in certo qual modo riscoprire il limite della nostra
esistenza, la povertà dell'istante, la incomprensione - qualche volta - anche
della storia così come si espande nel concreto per ritrovare che in questa
povertà Dio è meraviglioso. La bellezza di essere piccoli, la bellezza di amare
la povertà che è ciascuno di noi, amare la povertà delle persone che ci sono
accanto, la povertà delle situazioni storiche incomprensibili ci porta ad amare
questo tipo di piccolezza che è la povertà esistenziale che diventa il luogo
delle meraviglie di Dio. È una verità, questa, che dovremmo continuamente
riassaporare.
In un mondo che ama l'immagine, il cristiano
ama la piccolezza feconda, in un mondo che ama la produttività, il cristiano
ama la fecondità divina che opera nel suo cuore e, quando noi poniamo queste
due parabolette al centro della nostra vita, che sono la vita di Gesù, noi ci
accorgeremo - sia pur lentamente - di entrare nell'armonia di Dio. È la potenza
delle parole che Paolo ci ha regalato sempre
pieni di fiducia e sapendo che siamo in esilio lontano dal Signore finché
abitiamo nel corpo – camminiamo infatti nella fede e non nella visione – siamo
pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo e abitare presso il
Signore.
E’ quella vitalità interiore che continuamente
si dilata nella nostra storia per darci il gusto dei veri tempi messianici.
Se dovessimo ritradurre il tutto in termini di
esperienza evangelica è la gioia coraggiosa di diventare piccolo gruppo,
piccolo seme, per poter fecondare nello stile autenticamente evangelico il
mondo intero. Gesù è nato in Palestina, una nazione considerata da nessuno già
nell'antichità, se non luogo di possesso dei grandi imperi, dovremmo ritrovare
questa sapienza convinti che nella nostra piccolezza storica c'è la creatività
trinitaria, è quel gusto divino che ci permette di camminare verso
quell'armonia nella quale la nostra esistenza, giorno per giorno, è chiamata a
desiderare. Ecco perché Gesù ha voluto rimanere in mezzo a noi meraviglioso,
meraviglioso attraverso le povertà dei segni sacramentali che sono nient'altro
che la semplicità ordinaria della sua gestualità. E allora, se il Signore ci
regala cose meravigliose attraverso cose magari insignificanti, dovremmo
imparare che anche attraverso la nostra povertà feriale, Lui, il Signore, è
meraviglioso!
Il Signore tra poco ci si comunicherà: prima
abbiamo ascoltato la semplicità di una parola nella quale si regala l'eternità
beata, ora nel pane e nel vino, frutti molto semplici, ci comunicherà la
persona nella quale il nostro cuore amorosamente è perduto. Amare questa
povertà è dire al Signore: sei l'unica
grandezza della vita e allora, quell'ideale di fraternità attorno al divin Maestro
lentamente crescerà nella nostra vita ed entreremo nella capacità di poter
camminare nella serenità perché nel dramma del presente c'è una luce
incomparabile, il Signore, che attraverso la piccolezza nascosta fa emergere
una luminosità del cuore che è serenità in ogni travaglio della vita.
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