Sir 3,19-21.30-31 Eb
12,18-19.22-24 Lc 14,1.7-14
OMELIA
Il discepolo è veramente se stesso quando, entrando per quella
porta stretta, si ritrova in Gesù creatura realizzata, in una apertura
universale al mondo intero. Il Cristo è l'anima della nostra esistenza, il
luogo della universalità della redenzione e il principio delle nostre scelte.
Egli questa mattina diventa il grande maestro della nostra vita
narrandoci la sua esistenza.
Infatti dobbiamo sempre ricordarci che non solo quando ci
accostiamo al Vangelo sentiamo narrare la storia di Gesù, ma Gesù stesso
attraverso le parabole, utilizzando il linguaggio del quotidiano, è Lui stesso
che narra la sua vita. La parabola che abbiamo ascoltato è nient'altro che
Gesù, mite e umile di cuore, che narra la sua vicenda. Non per niente il testo
della parabola si conclude con l'illuminante orizzonte della fine della storia
di Gesù “Chi si umilia sarà esaltato”:
è il mistero della sua croce gloriosa. Di conseguenza è importante che oggi
ascoltiamo Gesù, il quale narra la sua esistenza, perché possiamo imparare la
sua umiltà.
La bellezza della vita è vivere l'umiltà di Gesù e ci accorgiamo
in modo immediato che l’umiltà è una grande virtù positiva in cui l'uomo
ritrova il gusto di essere se stesso. Infatti se guardiamo Gesù e guardandolo
cerchiamo di comprendere la sua umiltà, ci accorgiamo che la sua esistenza egli
l'ha vissuta come dono del Padre; la sua esistenza l’ha costruita in una
condizione di radicale povertà per poter dare gioia e speranza agli uomini.
È molto bello rileggere la parabola di questa mattina sullo sfondo
nell'umiltà di Gesù con l'inizio del salmo messianico della risurrezione:
“Oracolo del Signore al mio Signore siedi alla mia destra finché io ponga i
tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi”. Gesù ha amato talmente l'uomo da porsi
in fondo alla vita umana, ed è la vera umiltà, per dare all'uomo il gusto della
vita. È la gioia del nascondimento per dare luce ai fratelli. In questo, Gesù,
narrando la parabola, ci dice effettivamente chi Egli sia perché noi,
ascoltandone le parole, possiamo entrare in questo grande mistero che ha
animato tutta la sua vicenda storica: l'umiltà.
Allora cerchiamo di cogliere gli aspetti positivi ed edificanti
dell'umiltà che noi tante volte leggiamo semplicemente come un'umiliazione.
L'umiliazione è sempre deprimente, perché rinchiude l'uomo
nell'io. L'umiltà è sempre edificante perché apre il cuore all'intera umanità,
in un clima di universalità.
Il punto di partenza per cogliere il valore positivo dell'umiltà è
la gioia di essere se stessi in una ricerca continua del progetto di Dio.
Il vero umile ha la gioia di essere se stesso con tutte le
difficoltà, con tutti i difetti, ma anche con tutte le gioie e le doti. L'umile
ha una dimensione vera della sua esistenza. In genere quando l'uomo pensa che
l'umiltà sia dire “valgo niente”, egli non si accorge che offende il suo
Creatore perché l'uomo è un capolavoro di Dio, e tante volte ce lo siamo detto,
perché la bellezza dell'essere uomini è amare le proprie povertà. Abbiamo un
tesoro trinitario in vasi esistenziali caratterizzati dalle povertà
esistenziali.
Spesse volte noi cadiamo nel rischio di un perfezionismo. Perfetto
è solo Dio.
La bellezza della vita è la gioia di avere anche i difetti, perché
allora ritroviamo come l'esistenza sia un continuo e inesauribile cammino
nell'equilibrio in una grande e serena fiducia in noi stessi, ben sapendo che
Dio riversa in noi tutta la grandezza del suo amore.
La bellezza di comprendere chi siamo è, secondo il progetto di
Dio, essere come Gesù. Gesù si è incarnato, è vissuto nascosto nei trent'anni
di Nazareth, per poter dare speranza gli uomini. Nei trent'anni Gesù ha imparato
a essere uomo per poter far sì che poi questa ricchezza, che ha acquisito a Nazareth,
potesse diventare per Lui scuola di speranza per i fratelli. L'umiltà è la
gioia di essere un dono, di sviluppare il dono che siamo noi per regalarci in
semplicità ai nostri fratelli. Chi non sviluppa i suoi doni offende Dio che
l'ha creato e offende i fratelli perché non regala a loro le meraviglie del
Signore. L'uomo non è una persona che vive da sola; l'uomo, nella singolarità
della sua persona, è un dono da regalare. Tutti noi siamo l'incarnazione della
grandezza amorosa di Dio per regalare la speranza di Dio mediante la semplicità
del quotidiano. In questo cogliamo la verità della frase di Gesù: chi si umilia
sarà esaltato, chi entra nella gioia coraggiosa della propria identità umana
può regalare all'altro la bellezza e il gusto della vita.
Quando l'uomo è veramente umile?
La risposta che possiamo condividere è molto semplice. Quando una
persona ama la comunione fraterna in un regalo inesauribile, dove si è l'uno
con l'altro e per l'altro, si dà alla luce quella comunione che è la
caratteristica della vita. Non per niente Gesù ha narrato la sua storia nel
contesto di un linguaggio conviviale: l'umiltà è la caratteristica di ogni vita
di comunione.
Quando ci accostiamo alla regola di San Benedetto, in essa
troviamo una caratteristica originale rispetto a tutte le regole monastiche del
IV/V secolo: la dimensione dell'umiltà come caratteristica della comunione
monastica. Essa per Benedetto è la virtù più importante perché è la virtù della
vita di comunione, dove “insieme” ci si perdona regalandosi come dono ai
fratelli e alle sorelle.
L'umiltà è la grande libertà del cuore perché l'umiltà è la
gioiosa coscienza della propria ricchezza e povertà per sviluppare quei doni
che il Signore ci regala in modo che il fratello sia contento. L'umile è uno
che ama la vita, che davanti al fratello si mette in ginocchio gli dice: “Ama
la vita anche tu!” in una meravigliosa comunione che è il gaudio della
esistenza!
Sicuramente questo ideale può essere molto alto, ma se lo
guardiamo attentamente e lo ritraduciamo nel cammino feriale della nostra
storia, ci accorgiamo che rappresenta la grande libertà del cuore. L'uomo
contento di esistere regala gioia di esistere in una comunione dove, nel
perdono continuo, cantiamo la fecondità della vita. E allora credo che il testo
della lettera agli Ebrei ci sia di aiuto. Quando noi, tante volte nella
imitazione di Cristo, ci sentiamo quasi incapaci di vivere il mistero
esistenziale del nostro Maestro, la vera motivazione la troviamo nel fatto che
guardiamo troppo alle nostre povertà e ai nostri limiti e fallimenti, e troppo
poco orientiamo lo spirito alle ricchezze che Dio ci regala. Dovremmo sempre
avvertire quel misterioso progetto di comunione con tutti i Santi di cui
l'autore della lettera agli Ebrei ha parlato. In una mirabile comunione con
tutti i Santi del cielo veniamo pungolati a costruire i nostri rapporti anche
con i fratelli che incontriamo in terra. Questo è sicuramente un grande dono
che, nella fede, ritroviamo continuamente perché ci accompagna in ogni
frammento della nostra storia.
Tale verità noi la stiamo vivendo in questa celebrazione
eucaristica.
L'Eucarestia cos’altro è se non Gesù che diventa gioiosamente
piccolo, il pane e il vino annacquato, per dire a noi: "Sii un uomo
meraviglioso perché io ti amo in modo veramente straordinario." Ecco
l'umiltà! Quel diventare piccoli nel segno del pane e del vino come ha fatto
Gesù che, nel linguaggio della commensalità, ci offre la possibilità di poter
accogliere quel dono di amore che ci dice: Ama l’essere piccolo, sarai
meravigliosamente grande e sarai in comunione con tutti fratelli.
Questo sia il mistero della speranza che Gesù vuole darci questa
mattina attraverso la parabola che è la narrazione della sua storia perché
possiamo camminare nella convivialità dell'esistenza con i fratelli che ogni
giorno il Signore ci regala in modo che la comune speranza sia la forza della
vita perché, nella comune speranza, l’impossibile diventa possibile.
Questa sia la gioia che il Risorto ci vuol regalare questa
mattina.
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