Am 6,1.4-7 1Tm 6,11-16 Lc 16,19-31
OMELIA
La gioia d’essere discepoli del Signore ci orienta all'incontro
finale nella gloria. Chi è discepolo di Gesù nel tempo è tutto orientato alla
luminosità delle realtà del cielo.
È il senso della parola che questa mattina Gesù ci rivolge
attraverso, soprattutto, la testimonianza della prima lettera a Timoteo e il
testo evangelico dove al centro c'è la figura di Gesù.
È molto bella l'immagine che ci offre l'autore della prima lettera
a Timoteo, di Gesù; che ce lo raffigura come profeta mentre dà testimonianza
davanti a Pilato della sua identità. Infatti la vita di Gesù è stata tutta
un'espressione del mistero del suo cuore. Un simile atteggiamento del Maestro
divino gli permette d'entrare nella manifestazione della gloria che è la realtà
del cielo: la comunione definitiva con il Padre. In questa visione cogliamo lo
stretto parallelismo tra la figura di Lazzaro e la figura di Gesù.
È molto bello come nel testo all'alleluia ci sia dipinta la figura
di Gesù, Gesù Cristo da ricco che era,
si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua
povertà. Nella figura di Lazzaro troviamo il mistero di Gesù che svuotò se stesso assumendo una condizione
di servo, diventando simile agli uomini. Dall'aspetto riconosciuto come uomo, umiliò
se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce.
In quel Lazzaro vediamo Gesù che è schiacciato dagli uomini,
mentre la sua esistenza era tutta immersa nel mistero del Padre. Una simile
percezione la possiamo cogliere secondo la visione della sapienza giudaica e
rabbinica. La parabola che abbiamo ascoltato ci pone davanti alla grandezza
dell'incontro finale della nostra esistenza e in simile contesto nasce in noi
la domanda “Come possiamo andare incontro al Signore e quindi ricevere da
Abramo la gioia della gloria eterna?” E allora immediatamente nella risposta
che Abramo dà al ricco epulone troviamo la strada che possiamo percorrere per
poter entrare in questo grande mistero di gloria. Lo sfondo che ci appare in
modo immediato è la trasfigurazione di Gesù: accanto a lui appaiono Mosè ed
Elia, Mosè e i profeti. Il contemplare il Cristo presente nella nostra
esistenza e nella prospettiva dei due personaggi dell'antico testamento ci
permette di cogliere in profondità la figura del Maestro e quindi essere
guidati, lentamente, a entrare nel suo mistero di gloria. Nella trasfigurazione
Gesù è glorioso perché è stato l'incarnazione di Mosè e di Elia.
Chi è Gesù?
Quel Gesù che ci affascina continuamente come criterio
fondamentale della nostra esistenza è la realizzazione della figura di Mosè, il
quale abitualmente abitava nella gloria di Dio, entrava nel santuario,
ascoltava la sua parola, veniva rivestito della luminosità stessa di Dio per
parlare di Dio a Israele. E così è Gesù che contempliamo tutto immerso nella
gloria del Padre in un dialogo meraviglioso che lo caratterizza per poter poi poter
parlare del Padre agli uomini.
Chi è Gesù?
È
l'eternità che parla il linguaggio della storia agli uomini. L'entrare nella
povertà di Gesù rappresenta la condizione per entrare nella sua gloria, per entrare
in questo meraviglioso dialogo che lui ha con il Padre. Il paradiso sarà il
compimento di questo dialogo che Gesù vive e che in noi è continuamente
attuale. L'eternità beata non è qualcosa che ci raggiunga all'improvviso, ma è
qualcosa che è già fecondo perché in noi c'è Gesù e noi come Gesù desideriamo continuamente
il dialogo con il Padre. E di riflesso la figura di Elia, il profeta, ci aiuta
cogliere la sua funzione: egli è colui che dice come dobbiamo vivere in
concreto questo rapporto con il Padre, e Gesù, novello Elia, con la sua vita
incarna il rapporto con il Padre, amando gli uomini all'impossibile, perché gli
uomini siano se stessi.
Ecco perché Egli da ricco che era diventa per noi povero, perché
attraverso la sua povertà noi partecipassimo con la sua ricchezza. In Gesù
contempliamo il volto del Padre, con Gesù incarniamo il mistero del suo amore e
allora la nostra vita ritraduce l'essere profeti di questa eternità nella quale
Gesù è collocato e nella quale ognuno di noi è chiamato a entrare. Perciò come
noi possiamo entrare in questa luminosità del Padre se non orientando la nostra
esistenza a guardare il volto di Gesù? Quando noi guardiamo il volto di Gesù
ritroviamo il nucleo fondamentale della nostra vita.
Tanti si pongono perciò la domanda: che ci sarà domani quando
moriremo? E la risposta è: come viviamo oggi dove entriamo abitualmente nel
volto di Gesù, oggi con Gesù entriamo in dialogo con il Padre, oggi con Gesù
cerchiamo di incarnare il suo amore nella ferialità quotidiana della nostra
storia. La bellezza del paradiso è la gioia del quotidiano-oggi e allora
l'eternità non è un problema di domani, è un problema di oggi. Oggi noi siamo
eternità beata perché in noi abita quel Cristo che è la bellezza della nostra
vita.
La gioia di trovarci questa mattina nell'Eucarestia è la gioia di
essere inseriti in questa eternità beata. Gesù è in mezzo a noi, in questo
momento, è in mezzo a noi ma sta parlando con il Padre, è in dialogo d'amore
con il Padre e dal Padre riceve il dono di regalarci il suo corpo e il suo
sangue. Il Padre in Gesù ci dà il corpo sacramentale del Figlio suo Gesù Cristo.
Allora la nostra esistenza viene tutta collocata in questo grande mistero dove
respiriamo la bellezza di un simile rapporto d'amore.
Noi tante volte non riusciamo a rileggere la nostra vita su questo
meraviglioso sfondo perché siamo troppo catturati dal contingente, dal correre
per le cose che si consumano, come direbbe giustamente il profeta Amos; noi
dobbiamo entrare in questa viva contemplazione di Gesù che è dentro di noi, che
in noi dialoga con il Padre, che in noi ci ama come ci ama il Padre e questo è
già eternità beata!
Quando noi moriremo si espanderà quella pienezza divina che è
dentro di noi e che diventerà luminosa quando vedremo il Padre, il Figlio e lo
Spirito Santo in un concerto di gloria che renderà viva la nostra esistenza.
Viviamo così quest'Eucaristia, viviamo questo sapore di eternità
beata in modo che davanti ai travagli del contingente non ci lasciamo prendere
dalla loro eccessiva importanza, ma sappiamo respirare quel respiro divino che
è il coraggio quando abbiamo paura, che è luce quando siamo nel buio, che è
speranza quando sembra che ogni speranza sembra svanire.
La povertà stessa dei doni portati all'altare rappresenta un grande
insegnamento. Viviamo una viva consapevolezza dei nostri limiti e Gesù ci ricolmerà
della pienezza del suo amore veramente inesauribile.
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