13 ottobre 2019

XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - (ANNO C)


ANNIVERSARIO DELLA DEDICAZIONE DELLA CHIESA PARROCCHIALE


OMELIA


La Chiesa, ricordando la dedicazione di un luogo per la celebrazione della divina liturgia, vuol farci ritrovare il senso dell'essere comunità cristiana. La Chiesa non sono delle mura, ma la Chiesa è segno di una comunità che si ritrova per condividere, nel rendimento di grazie, la potenza della fede in Cristo Gesù e per crescere nella fraternità evangelica. Nello spirito del vangelo non esiste il tempio, come potrebbe apparire in una mentalità pagana, ma esiste la comunità cristiana che è il tempio. È un principio che ci ha illustrato molto bene Giovanni, nel brano evangelico che abbiamo ascoltato e la Lettera prima di Pietro ci ha rafforzato in questa convinzione: noi siamo il popolo di quelli che hanno scelto Cristo e da Cristo sono stati rigenerati. Dio non abita in un luogo, Dio abita nelle persone, Dio abita in coloro che, insieme, sono ricercatori infaticabili del volto di Dio.

Quando ci ritroviamo in chiesa, il criterio di fondo dell'essere qui è la sete del volto del Padre, poiché la bellezza della vita cristiana è il desiderio continuo ed inesauribile di questo rapporto con la fonte della vita che è il Padre. Ecco perché il clima nel quale noi ci ritroviamo, quando ci raduniamo in un luogo di culto, è essere fratelli che condividono la stessa mentalità evangelica, in un atteggiamento profondo di rendimento di grazie. L'atmosfera che stiamo respirando è costituita da questa verità fondamentale: l'essere comunione nella Trinità. In una simile esperienza appare il principio che abbiamo poc'anzi ascoltato da Giovanni: “Viene l'ora, ed è questa, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità”. Questa ora è il mistero della persona di Gesù.

La bellezza di ritrovarci in chiesa è dare corporeità sacramentale alla presenza di Cristo, Lui è il grande Ospite nel quale ritroviamo veramente noi stessi. In tale contesto intuiamo la bellezza di essere qui, convocati in un tempio, per vivere la presenza di Gesù in due aspetti fondamentali della sua personalità, così come ci sono stati offerti dal testo evangelico, sullo sfondo della Prima di Pietro.

Innanzitutto il Signore è in mezzo a noi per creare un rapporto autentico con il Padre. Se noi guardiamo attentamente la preghiera della Chiesa, è sempre il Cristo che prega il Padre; noi siamo qui convocati per avere il gusto della paternità di Dio e per orientare le nostre vite al Padre. La bellezza di un vero luogo di culto è che ci sia solo questo orientamento. La bellezza di un luogo di culto non sono le devozioni, ma la vera devozione del cuore che è assetato della comunione con il Padre, nella quale Cristo Gesù ci introduce.

Quando noi preghiamo, preghiamo sempre il Padre, per Cristo nostro Signore: è Lui che ci convoca, è Lui che vive in noi, è Lui che, abitando nelle nostre persone, orienta la nostra esistenza al Padre. Credo che se riuscissimo a cogliere questa visione, noi riusciremmo a percepire che la bellezza d'essere insieme è dare corpo al Risorto, perché il Risorto, attirandoci nel suo mistero, vuol condurci a dire “Abbà, Padre!” Questa è l'essenza della venuta di Gesù. Andiamo sempre alla conclusione del prologo di Giovanni: “Dio mai nessuno l'ha visto: il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui ce lo ha rivelato.” Allora il primo aspetto che dovremmo riuscire a cogliere diventa il centro di un autentico clima di fede e di rendimento di grazie e questa reale presenza di Cristo ci apre agli orizzonti dell'infinito: godere del volto e dell'intimità del Padre. Potremmo usare un versetto del salmo pasquale (121) che descrive l'esperienza dell'esodo: “Alzo gli occhi verso i monti da dove mi verrà l'aiuto? Il mio aiuto viene dal Signore che ha fatto cielo e terra!” L'orientamento di fondo della nostra vita sta nel lasciarci attirare verso la pienezza, nella comunione trinitaria.

Il secondo aspetto ci introduce nella personalità del mistero dell'incarnazione. Il Cristo è al centro della nostra storia, al centro di questa assemblea liturgica e ci orienta al Padre. Egli infatti vive come Risorto la sua storia di Gesù di Nazaret. Gesù compie oggi in mezzo a noi, con noi, le opere del Padre. Qualche volta noi ci domandiamo che senso abbiano i gesti sacramentali. La risposta è molto semplice: il Cristo risorto, che è in mezzo a noi, è l'oggi di Gesù di Nazaret, che continua a porre i suoi gesti di ricreazione dell'uomo e del mondo intero. Il Cristo pone la sua gestualità storica attraverso i gesti sacramentali. È una cosa, questa, che noi dovremmo riuscire a cogliere: i riti sono i gesti storici di Gesù oggi. Ecco perché la Chiesa, al di là delle evoluzioni storiche, ci pone sempre davanti all'essenzialità: Gesù che è in mezzo a noi, Gesù che parla, Gesù che mangia e beve oggi con noi. Come ha fatto con i suoi discepoli, Gesù fa ancora oggi.

Proviamo a livello interiore a fare questo grosso salto: ogni gesto che poniamo durante la divina liturgia è un gesto di Gesù. Se noi cogliessimo la bellezza di cogliere nei gesti che compiamo i gesti di Gesù, la nostra vita diventerebbe una vita trasfigurata. L'uomo vive della sua gestualità e la bellezza di essere in chiesa è vivere la gestualità di Gesù, il quale comunica a noi la sua personalità: il culto in spirito e verità. Egli ci regala la sua gloria nei segni concreti, ecco perché il cristiano, quando viene all'assemblea, ha la gioia di condividere una Presenza, di gustare il Risorto che ci prende per mano, ci regala se stesso nella sua gestualità e ci dice: “Condivido con te il mio mistero pasquale!” Ecco perché il cristiano entrando in questo clima, uscendo poi dalla assemblea, dice: “Ho visto il Signore, che mi ha introdotto talmente nel rapporto con il Padre da ricreare radicalmente la mia esistenza”. Se non ci fosse questa visione le chiese sarebbero pezzi archeologici, musei. Il cristiano quando entra in chiesa va direttamente a gustare, nel segno dei banchi, una comunità riunita in un'attrazione alla Parola e in una convivialità attorno al banchetto eucaristico, per gustare la bellezza del Divino. E allora ricordare la dedicazione di una chiesa non è ricordare delle mura, ma ricordare una fraternità che vive di Gesù, ascolta Gesù, cresce nel mistero di Gesù. Allora, se noi volessimo nella nostra vita ritradurre questa bellezza, tante cose le metteremmo da parte, faremmo riti molto più semplici. Tante volte i riti ci fanno dimenticare questa presenza del Signore, invece, più siamo legati a Gesù, più il nostro linguaggio diventa semplice - il resto è orpello umano - per entrare in questa intimità.

Tra poco sentiremo “Beati gli invitati alla cena delle nozze dell'Agnello” e ci ritroveremo rifatti in questo Mistero in cui la nostra vita trova il suo significato. Sarebbe bello se, entrando in una chiesa, sentissimo parlare solo di Gesù, non vedessimo altro se non Gesù…purtroppo Gesù è troppo alto e noi abbiamo paura di incontrare solo Gesù. Celebriamo così l'Eucaristia, il resto non guardiamolo, il resto è orpello culturale o devozionale, per cogliere questa essenzialità che diventa il principio del culto in verità fino a quando, nella Gerusalemme celeste, potremo gustare questa visione gloriosa della Trinità, che ci avvolgerà in una luce veramente intramontabile. Questo sia il senso del rito che oggi celebriamo, perché il desiderio di Gesù che ci ha portati qui questa mattina diventi il desiderio di Gesù che, orientandoci al Padre, ci fa intensamente desiderare quell’appagamento, quando Dio sarà tutto in tutti, in ciascuno di noi.




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