Es 17,8-13 2Tm 3,14-4,2 Lc 18,1-8
OMELIA
Domenica scorsa, celebrando il ricordo della dedicazione di questa
chiesa parrocchiale, dicevamo come vivere in un contesto ecclesiale significa
lasciarci rigenerare dalla fede in una forte esperienza di rendimento di
grazie.
La comunità cristiana offre ospitalità al Cristo attraverso questo
credere intenso, che si incarna nella gioia del rendimento di grazie, ma il
clima più vero che dà sostanza, sia alla fede che al rendimento di grazie, è il
clima di preghiera e di preghiera continua. La preghiera è il luogo in cui
appare l'ospite, Gesù Cristo. Ecco perché questa mattina l'evangelista Luca
vuole aiutarci a scoprire l'urgenza d'essere continuamente in stato di preghiera.
Davanti perciò al nostro sguardo nasce l'interrogativo cosa voglia dire essere
in preghiera continua. Quando noi andiamo alla creazione dell'uomo e scopriamo
che l'uomo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio, intuiamo come l'uomo
non possa vivere senza un inesauribile approfondimento della comunione con Dio.
Ecco perché ogni uomo, di qualunque cultura, di qualunque tempo e di qualunque
spazio vive in stato di preghiera, poiché l'uomo in quanto tale non può vivere
senza Gesù, sia che lo sappia, sia che non lo sappia; sia che lo voglia, sia
che non lo voglia; perché l'atto stesso del vivere è una comunione Dio-uomo. In
questo noi scopriamo che il pregare continuo è sviluppare e dilatare in noi una
volontà continua di comunione. La comunione con Dio è preghiera in atto e la
bellezza del pregare è sviluppare questa intensa esperienza di fraternità divino-umana.
Ecco perché Gesù, per aiutarci a entrare in tale visione, utilizza l'immagine della
vedova, immagine cara all'evangelista Luca, perché entrando nella immagine
della vedova noi intuiamo una grossa verità: se l'uomo nella sua struttura
fondamentale è in dimensione relazionale, e questo trova la sua espressione
storica nella realtà coniugale, l'essere vedova è aver perso la metà di se
stessa. In questo scopriamo come l'anima viva sempre nel desiderio del suo
creatore. Nell'atteggiamento di supplica di quella vedova, poi, si profila
l'esperienza dell'anima assetata di Dio, l'anima che non può vivere senza la
comunione con Dio. Quel desiderio di giustizia si ritraduce in termini
esistenziali come una sete di comunione, continua ed efficace, del rapporto con
Dio: è il desiderio! Il pregare incarna l'intenso desiderio di essere in
comunione con Dio. Ci accorgiamo di conseguenza che, se entriamo nella
profondità della nostra vita, è Dio stesso che operando in noi, vivendo in noi
come Padre, Figlio e Spirito Santo crea in noi un intenso desiderio di questa
comunione assoluta con l'amore del Signore.
Ogni uomo ha un desiderio di assoluto e, quando l'uomo entra nella
propria identità, si accorge che l'esperienza più profonda della sua esistenza
è qualcosa che va al di là del contingente. L’uomo è un artista, ama il bello,
ama la musica, ama l'arte e la poesia, ama l'infinito, ama andare al di là del
contingente e del concreto: questa è l’esperienza dell'anima che brama
l'assoluto! Se noi guardassimo la cultura di oggi ci accorgeremmo che, pur nei
contesti di secolarizzazione e di laicizzazione, nel cuore dell'uomo c'è questo
senso dell'assoluto, questa tensione alla comunione con l'assoluto che è
trasfigurante la nostra esistenza. Ecco perché il giudice iniquo non dà ascolto
a quella vedova, perché l'amore per Dio in noi deve essere continuamente purificato.
Quando l'uomo ha dentro di sé qualcosa di grande, per poterlo gustare nella sua
verità e autenticità, deve continuamente rendere puro il suo desiderio. Il
tempo e lo spazio sono il luogo per eccellenza per questa continua
purificazione. Pregare non è dire, ma gustare la comunione con il Creatore, è
dare senso all'esistenza che guarda sempre verso l'alto, come Mosè, che davanti
alla lotta contro gli Amaleciti ha le mani rivolte verso l'alto. L'uomo, senza
la comunione con Dio, non è se stesso, e allora, se noi cogliamo questa prima
visione che la parabola effettivamente questa mattina ci regala, riusciamo a
comprendere la finale del Vangelo che diventa per noi fonte di grande
stimolazione: “Ma il Figlio dell'uomo,
quando verrà, troverà la fede sulla terra?”. Quando il Figlio dell'uomo
verrà, ci saranno persone che lo stanno aspettando? La bellezza del pregare è
orientare continuamente la nostra esistenza verso questo assoluto, l'incontro
con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Il pregare è il dilatare questo
profondo desiderio all'interno dell'uomo di una comunione piena con Dio. Finché
noi camminiamo nel tempo e nello spazio non gustiamo la pienezza, la nostra
esistenza è drammaticamente distratta, le cose contingenti hanno quasi un
valore di assoluto e ci fanno dimenticare che la vera aspirazione dell'uomo è
vedere Dio faccia a faccia. E’ la bellezza della vita! Per cui, in quella donna,
vediamo l'anima che vuole vedere il suo Signore. Dobbiamo sempre ricordare a
noi stessi che, creati a immagine e somiglianza di Dio, desideriamo essere
immersi in questa meravigliosa esperienza che sarà l'eternità beata. Il pregare
è attendere, il pregare è vivere una comunione che supplica, il pregare è il
desiderio che brama l'appagamento. E l'appagamento è l'incontro nuziale con il Maestro.
Noi qualche volta dimentichiamo questa aspirazione più profonda nell'uomo:
l'uomo è il suo desiderare e il desiderare non nasce dall'uomo, ma da Dio, che
fa desiderare l'uomo. Il paradiso sarà la pienezza della nostra vita per cui,
in qualunque momento il Signore potrà venire nella nostra storia, noi abbiamo
una certezza: lo stiamo desiderando. Il pregare è desiderare continuamente, è
una comunione come quando una persona, profondamente innamorata, pensa sempre
alla persona amata. In qualunque situazione possa venirsi a trovare, il suo
cuore è nella pace, perché nel momento in cui si sente amata, anche se esercita
la sua professionalità concreta con passione e anche con tante sofferenze, ha
una pace interiore che desidera l'incontro, l’appagamento del suo costante
desiderare. Così, quando noi entriamo in preghiera, non è che dobbiamo
fisicamente pensare sempre al Signore, ma il cuore pensa sempre a lui, perché è
nella pace di un desiderio che avrà la sua pienezza quando, dal pregare, noi
diventeremo un cantare eterno. Ecco allora che celebrare la festa missionaria è
condividere con ogni fratello, in qualunque tempo o spazio, la sete del volto
di Dio. Il vero missionario è colui che vive in profondità questo desiderio di
comunione e vuole condividerlo, perché le cose belle sono belle perché sono
condivise. Questa comunione con il mistero di Dio è per noi è un continuo
desiderio di vedere il Signore Cristo Gesù faccia a faccia. Ecco perché la chiesa
è il luogo della preghiera, è il luogo che ci ricorda continuamente quello che
Gesù voleva dire con questa parabola: essere e divenire una preghiera continua,
per cui il senso delle preghiere è crescere, nella preghiera, in questa
comunione divina.
Ecco perché l'Eucaristia è una grande preghiera, l'Eucaristia è il
desiderio di lasciarsi rifare completamente dal mistero di Dio. Nel momento in
cui ci accosteremo sacramentalmente al pane e al vino, gusteremo la pienezza
della comunione storica, il vero pregare, che diventerà desiderio appagato
quando ci accosteremo al banchetto dell'Agnello nelle nozze eterne. Viviamo
questo mistero, è tutto nascosto nel cuore del Cristo. Il cuore che prega è il
cuore che ama e l'Eucaristia è il cuore del discepolo innamorato del suo Maestro.
E allora, se noi entriamo nell'Eucaristia in questa visione, gustiamo la
libertà di Dio il quale, entrando nella nostra vita, ci dice: “Sono in te,
attendimi, purifica la tua attesa in modo che il tuo cuore, rinnovato dai doni
eucaristici, quando mi incontrerà sarà un grande canto di esultanza”. Il Figlio
dell'uomo perciò, quando verrà, ci troverà in attesa, perché il pregare è attendere
continuamente. Allora passeremo dal pregare col cuore, con la mente, con le
labbra a far cantare tutta la nostra persona in un gaudio comunionale, che sarà
la fecondità di quell'eternità beata che è la gioia e il desiderio di ogni
nostra gioia e di ogni nostro desiderio.
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