27 ottobre 2019

XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - (ANNO C)

Sir 35,15-17.20-22                      2Tm 4,6-8.16-18               Lc 18,9-14
OMELIA
Gesù, invitandoci a pregare e a pregare continuamente, ci ha educato domenica scorsa a vivere in modo costante la relazione con Lui: senza Gesù noi non possiamo esistere. Ma il Maestro questa mattina vuol farci fare un passo ulteriore: non solo ci invita a ritrovare, nel pregare, tutta la nostra consistenza in Gesù, ma ci dice anche che, secondo “come” noi preghiamo, riveliamo noi stessi. Usando uno slogan caro alla tradizione patristica “dimmi come preghi e ti dirò chi sei”, il pregare è l'espressione della propria identità.

La parabola che abbiamo ascoltato ci aiuta a cogliere tre aspetti della nostra identità, per ritrovare e riscoprire in modo autentico chi siamo:

-  gustare la diuturna relazione con Gesù;

-  cogliere la nostra esistenza come esistenza perdonata

-  per camminare, ogni giorno, alla sua presenza.

Questi tre momenti ci possono aiutare a intuire come il nostro pregare rappresenti effettivamente lo strumento per ritrovare la nostra identità.

Innanzitutto il primo elemento da sottolineare è che l'uomo ritrova se stesso quando in modo diuturno sta alla presenza di Dio. È interessante come il contesto della parabola sia il tempio, e il tempio per Israele era il luogo della gloria di Dio, perché l'uomo ritrova veramente se stesso attraverso questa familiarità relazionale con la Fonte della vita, con il Maestro stesso, nella docilità allo Spirito: la bellezza del discepolo è vivere dell'intimità con il Maestro.

Il cristiano ha consistenza solo in Gesù. Il cristiano, quando costruisce la sua storia, la costruisce in una intensa fraternità con il Maestro. Se la nostra esistenza è stata creata attraverso la fantasia creatrice di Dio, solo collocando noi stessi in questo dialogo con Lui, ritroviamo noi stessi.

E quanto più lo sguardo del cuore si fissa sul Maestro divino, tanto più noi ci ritroviamo peccato perdonato. Noi qualche volta, a livello di metodo esistenziale, guardiamo troppo ai nostri peccati. Nell'ordine della fede dobbiamo ritrovarci “peccato” e, nello sguardo di Gesù, peccato perdonato. In quell’atteggiamento interiore del pubblicano noi ritroviamo la bellezza e la profondità della nostra vita: l'uomo è grande perché perdonato. Gesù non è venuto a perdonarci i peccati, Gesù è entrato nella storia per perdonare il peccato, per amare l'uomo ricreandolo interiormente. Quando la creatura vive abitualmente questa relazione intima con il Maestro, si accorge di essere peccato perdonato. Spesse volte noi siamo troppo legati alla depressione causata dai nostri peccati, dimenticando che la nostra esistenza, nello sguardo di Gesù, è un'esistenza rifatta, secondo la bella espressione del salmo 33: Guardate a lui e sarete raggianti, i vostri volti non dovranno arrossire. Questo povero grida e il Signore lo ascolta, lo salva da tutte le sue angosce.

La cosa più bella della vita è vivere da perdonati, da persone che sono il luogo in cui Gesù diventa l'Ospite, ricrea la nostra persona e dà slancio alla nostra vita. Pregare è il silenzio nel quale l'anima si colloca in viva relazione trinitaria. Chi si pone in stato di orazione sa che sta ponendosi in viva intimità con il Maestro e in lui le nostre persone vengono rifatte. Il Dio nel quale noi crediamo fa nuove tutte le cose.

È una realtà questa che dovremmo continuamente riscoprire. Gesù è entrato nella nostra storia per dirci che siamo uomini perdonati, che siamo uomini che vivono la sua meravigliosa fiducia!

Se noi riuscissimo a vivere questi primi due aspetti nel rapporto con il divino, scopriremmo che il terzo è ancora più bello: il Signore ha fiducia in noi.

Quando il cristiano dice che è bello sentirsi perdonati, non è perché ci sia uno sgravio di coscienza, altrimenti cadremmo nello psicologismo, ma perché c'è una ricreazione nella fiducia di Dio, essere perdonati è Gesù che ci dice: Sei la mia fiducia, sei la mia libertà, sei il sacramento gioioso del mio esistere!

È molto bello risentire quello che l'apostolo Paolo (o chi per lui) nella lettera a Timoteo che abbiamo ascoltato ci offre: il Signore è vicino, il Signore mi dà forza, il Signore mi libera e mi porterà in salvo.  In questo linguaggio percepiamo la gioia d'essere presi per mano da Gesù. Gesù non è colui che ti dice soltanto “sei la mia fiducia”, egli afferma: sto camminando con te. Ritroviamo Gesù che cammina con noi, che abita in noi, che è l'Ospite che fa nuove tutte le cose. Quando uno prega si trova nella speranza perché, in quel silenzio relazionale dello stare a una presenza, si genera nell'uomo una feconda consapevolezza di sé che lo porta a esclamare: Gesù cammina con me!”. E quando riusciamo a entrare in questa meravigliosa e affascinante esperienza, noi ci accorgiamo che è bello, anche nella tragicità della storia, vivere perché lui è con noi, ci illumina, ci fa prendere coscienza che siamo nel suo amore sempre perdonati, perché vuole camminare con noi. Allora la vita assume sfumature molto diverse ed è bello vivere, perché è bello ritrovarci nel mistero di Dio, nel quale c'è il mistero dell'uomo.

Usando un'immagine: è bello essere dei credenti che dormono sul cuore di Gesù, come il discepolo che Gesù amava e in quella intimità noi scopriamo noi stessi, ritroviamo la fiducia, camminiamo gioiosi nello sguardo di Gesù, passiamo dall'essere poveri a una ricchezza inesauribile, che è il Dio con noi.

E questa verità noi la ritroviamo nel mistero eucaristico. Quando noi ci accostiamo al mistero di Gesù entrando in chiesa, entriamo nella luce. " Io sono la luce del mondo" ha detto Gesù e in quel momento diciamo al Padre: Ho peccato. Non è l'atto penitenziale con il quale noi celebriamo l'inizio dei divini misteri? Di conseguenza nell'Eucaristia, mediante la Parola, ma soprattutto mediante la condivisione della sua intimità con il pane e con il vino, ci sentiamo ricreati. La bellezza della nostra esistenza è che nell'Eucaristia siamo “rifatti” come dicevo all'inizio: non dovremmo più dire che Gesù perdona i nostri peccati, ma che Gesù perdona l'essere peccatore. È il capolavoro, nellEucaristia, di un Dio innamorato dell'uomo, che in quel pane e in quel vino fa nuove tutte le cose! È gustare una ricreazione esistenziale per cui, se entrando in chiesa potremmo tante volte essere stanchi, essere stressati dal dramma del quotidiano, se anche qualche volta entrando in chiesa non riusciamo a capirne il perché, nel momento in cui ci lasciamo avvolgere dalla sua presenza ed entriamo nella sua intimità, sentiamo la novità di Dio, che va al di là di ogni nostro desiderio e, ritrovando questa intimità, usciamo di Chiesa luminosi, gioiosi, veramente contenti.

Non che la storia sia una storia facile e gradevole, ma c'è il Signore che ci ha ricostruiti, regalandoci tutta la sua fiducia. È il principio che abbiamo ascoltato, con cui si conclude il Vangelo: Chi si umilia sarà esaltato. Chi diventa piccolo, davanti all'ineffabilità di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, ritrova la bellezza, che è il gusto della sua esistenza. Nell’atmosfera dello Spirito dobbiamo intensamente crescere ogni giorno in questa relazione sacramentale: quella più profonda del mangiare e bere con Gesù sacramentalmente, che è "mangiare e bere Gesù". Allora la vita viene rifatta.

Il cristiano è colui che cammina nel tempo e nello spazio, cosciente di essere capolavoro di Dio. Quando siamo capolavoro di Dio, nel grande mistero della vita trinitaria, non abbiamo più paura: nonostante noi, Gesù è veramente meraviglioso con noi e in noi.




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