OMELIA
Gesù, invitandoci a
pregare e a pregare continuamente, ci ha educato domenica scorsa a vivere in modo
costante la relazione con Lui: senza Gesù noi non possiamo esistere. Ma il
Maestro questa mattina vuol farci fare un passo ulteriore: non solo ci invita a ritrovare, nel
pregare, tutta la nostra consistenza in Gesù, ma ci dice anche che, secondo “come”
noi preghiamo, riveliamo noi stessi. Usando
uno slogan caro alla tradizione patristica “dimmi come preghi e ti dirò chi
sei”, il pregare è l'espressione della propria identità.
La parabola che abbiamo
ascoltato ci aiuta a cogliere tre aspetti della nostra identità, per ritrovare
e riscoprire in modo autentico chi siamo:
- gustare la diuturna
relazione con Gesù;
- cogliere la nostra
esistenza come esistenza perdonata
- per camminare, ogni
giorno, alla sua presenza.
Questi tre momenti ci
possono aiutare a intuire come il nostro pregare rappresenti effettivamente lo
strumento per ritrovare la nostra identità.
Innanzitutto il primo
elemento da sottolineare è che l'uomo ritrova se stesso quando in modo diuturno
sta alla presenza di Dio. È interessante come il contesto della parabola sia il
tempio, e il tempio per Israele era il luogo della gloria di Dio, perché l'uomo
ritrova veramente se stesso attraverso questa familiarità relazionale con la
Fonte della vita, con il Maestro stesso, nella docilità allo Spirito: la
bellezza del discepolo è vivere dell'intimità con
il Maestro.
Il cristiano ha
consistenza solo in Gesù. Il cristiano,
quando costruisce la sua storia, la costruisce in una intensa fraternità con il
Maestro. Se la nostra esistenza è stata creata attraverso la fantasia creatrice
di Dio, solo collocando noi stessi in questo dialogo con Lui, ritroviamo noi
stessi.
E quanto più lo sguardo
del cuore si fissa sul Maestro divino, tanto più noi ci ritroviamo peccato perdonato. Noi qualche volta, a
livello di metodo esistenziale, guardiamo troppo ai nostri peccati. Nell'ordine
della fede dobbiamo ritrovarci “peccato” e, nello sguardo di Gesù, peccato perdonato. In
quell’atteggiamento interiore del pubblicano noi ritroviamo la bellezza e la
profondità della nostra vita: l'uomo è
grande perché perdonato. Gesù non è venuto a perdonarci i peccati, Gesù è
entrato nella storia per perdonare il peccato, per amare l'uomo ricreandolo
interiormente. Quando la creatura vive abitualmente questa relazione intima con
il Maestro, si accorge di essere peccato
perdonato. Spesse volte noi siamo troppo legati alla depressione causata
dai nostri peccati, dimenticando che la nostra esistenza, nello sguardo di
Gesù, è un'esistenza rifatta, secondo la bella espressione del salmo 33: “Guardate a lui e
sarete raggianti, i vostri volti non dovranno arrossire. Questo povero grida e
il Signore lo ascolta, lo salva da tutte le sue angosce”.
La cosa più bella della
vita è vivere da perdonati, da persone che sono il luogo in cui Gesù diventa l'Ospite, ricrea la nostra persona e dà
slancio alla nostra vita. Pregare è il silenzio nel quale l'anima si colloca in
viva relazione trinitaria. Chi si pone in
stato di orazione sa che sta ponendosi in viva intimità con il Maestro e in lui
le nostre persone vengono rifatte. Il Dio nel quale noi crediamo fa nuove tutte
le cose.
È una realtà questa che
dovremmo continuamente riscoprire. Gesù è entrato nella nostra storia per dirci
che siamo uomini perdonati, che siamo uomini che vivono la sua meravigliosa
fiducia!
Se noi riuscissimo a
vivere questi primi due aspetti nel rapporto con il divino, scopriremmo che il terzo è ancora più bello:
il Signore ha fiducia in noi.
Quando il cristiano dice
che è bello sentirsi perdonati, non è perché ci sia uno sgravio di coscienza, altrimenti cadremmo nello
psicologismo, ma perché c'è una ricreazione
nella fiducia di Dio, essere perdonati è Gesù
che ci dice: “Sei la mia fiducia, sei la mia libertà, sei il sacramento
gioioso del mio esistere”!
È molto bello risentire
quello che l'apostolo Paolo (o chi per lui) nella lettera a Timoteo che abbiamo
ascoltato ci offre: “il Signore è vicino, il Signore mi dà forza, il Signore mi libera e mi porterà in salvo”. In questo linguaggio percepiamo la gioia
d'essere presi per mano da Gesù. Gesù non è colui che ti dice soltanto “sei la mia fiducia”, egli afferma: “sto camminando con
te”. Ritroviamo
Gesù che cammina con noi, che abita in noi, che è l'Ospite che fa nuove tutte le cose. Quando uno prega si trova nella speranza perché, in quel silenzio
relazionale dello stare a una presenza, si genera nell'uomo una feconda
consapevolezza di sé che lo porta a esclamare: “Gesù cammina con me!”. E quando riusciamo a
entrare in questa meravigliosa e affascinante esperienza, noi ci accorgiamo che
è bello, anche nella tragicità della storia, vivere perché lui è con noi, ci
illumina, ci fa prendere coscienza che siamo nel suo amore sempre perdonati,
perché vuole camminare con noi. Allora la vita
assume sfumature molto diverse ed è bello
vivere, perché è bello ritrovarci nel mistero di Dio, nel quale c'è il mistero
dell'uomo.
Usando un'immagine: è
bello essere dei credenti che dormono sul cuore di Gesù, come il discepolo che
Gesù amava e in quella intimità noi scopriamo noi stessi, ritroviamo la
fiducia, camminiamo gioiosi nello sguardo di Gesù, passiamo dall'essere poveri
a una ricchezza inesauribile, che è il Dio con noi.
E questa verità noi la
ritroviamo nel mistero eucaristico. Quando noi ci accostiamo al mistero di Gesù
entrando in chiesa, entriamo nella luce. " Io sono la luce del mondo" ha detto Gesù e in quel momento
diciamo al Padre: “Ho peccato”. Non è
l'atto penitenziale con il quale noi celebriamo l'inizio dei divini misteri? Di
conseguenza nell'Eucaristia, mediante la
Parola, ma soprattutto mediante la condivisione della sua intimità con il pane
e con il vino, ci sentiamo ricreati. La bellezza della nostra esistenza è che
nell'Eucaristia siamo “rifatti” come dicevo
all'inizio: non dovremmo più dire che Gesù
perdona i nostri peccati, ma che Gesù perdona l'essere peccatore. È il
capolavoro, nell’Eucaristia, di un Dio innamorato dell'uomo, che in quel pane e in quel vino fa nuove tutte le cose! È
gustare una ricreazione esistenziale per cui, se entrando in chiesa potremmo
tante volte essere stanchi, essere stressati dal dramma del quotidiano, se
anche qualche volta entrando in chiesa non riusciamo a capirne il perché, nel
momento in cui ci lasciamo avvolgere dalla sua presenza ed entriamo nella sua
intimità, sentiamo la novità di Dio, che va al di là di ogni nostro desiderio
e, ritrovando questa intimità, usciamo di Chiesa luminosi, gioiosi, veramente
contenti.
Non che la
storia sia una storia facile e gradevole, ma c'è il Signore che ci ha
ricostruiti, regalandoci tutta la sua fiducia. È il principio che abbiamo
ascoltato, con cui si conclude il Vangelo: “Chi si umilia sarà
esaltato”. Chi diventa piccolo, davanti all'ineffabilità di Dio Padre,
Figlio e Spirito Santo, ritrova la bellezza, che è il
gusto della sua esistenza. Nell’atmosfera dello Spirito dobbiamo intensamente crescere ogni giorno in
questa relazione sacramentale: quella più
profonda del mangiare e bere con Gesù sacramentalmente, che è "mangiare e
bere Gesù". Allora la vita viene rifatta.
Il cristiano è colui che
cammina nel tempo e nello spazio, cosciente di essere capolavoro di Dio. Quando
siamo capolavoro di Dio, nel grande mistero della vita trinitaria, non abbiamo
più paura:
nonostante noi, Gesù è veramente meraviglioso con noi e in noi.
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