OMELIA
Il fascino di Gesù ci accompagna in questo tempo quaresimale perché possiamo ritrovare la bellezza d'essere discepoli. Dopo aver desiderato quell'acqua che zampilla per la vita eterna, oggi Gesù ci dice che dall'esperienza dell'acqua dobbiamo passare all'esperienza della luce, vivendo la bellezza del salmo “Come una cerva anela ai corsi d'acqua, così l'anima anela a te, o Dio”.
L'uomo assetato desidera la luce, il desiderio brama il
compimento. Riusciamo a comprendere l'espressione che Paolo ha usato per
definire il cristiano come “figlio della luce”. La bellezza d'essere discepoli
si incarna nell' entrare nella luminosità di Cristo. Questo grande orizzonte
che illumina i nostri passi e ci dà il desiderio di una trasfigurazione
esistenziale passa attraverso l'itinerario cui è stato sottoposto il cieco nato
dove, in quella guarigione, c'è tutto il contesto e la modalità per diventare “figli
della luce” e quindi per giungere a una feconda professione di fede.
Se guardiamo attentamente il momento in cui Gesù realizza
quel miracolo, ci accorgiamo che il grande protagonista è Lui; è lui che pone
l'interrogativo ai discepoli, è lui che pone il gesto nei confronti del cieco
nato, è lui che lo invia, è lui che lo guarisce.
La bellezza di essere nella luce è di essere oggetto della
libera e assoluta gratuità di Dio dove l'uomo deve semplicemente entrare in
stato di obbedienza. È quello che il salmo ci insegna: "Alla tua luce
vediamo la luce".
Il cieco nato è davanti a Gesù e Gesù assume un
comportamento che, in modo immediato, può sembrare molto strano: quell’uomo è
cieco e attraverso quell'impasto lo rende ancora più cieco.
La bellezza del cammino della fede è entrare nel mistero
di Dio attraverso la disponibilità del cuore a lasciar operare Dio: è il
coraggio d'accedere al buio luminoso della scelta credente. Ci si ritrova
ancora nel salmo: “Come una cerva anela ai corsi d'acqua così l'anima mia anela
a te, o Dio”. È Dio che genera la sete, è Dio che opera il miracolo.
Il buio nel quale il cieco nato entra, essendo un buio che
egli vive nell'obbedienza, diventa un meraviglioso mistero di luce.
È molto bello come l'evangelista interpreti il nome della
piscina “Siloe” con quella espressione “Inviato”. Quando sentiamo quella
traduzione “inviato”, immedia-tamente andiamo a Gesù: “sono uscito dal Padre e
sono venuto nel mondo”. Gesù è il punto di partenza, è colui che opera il
miracolo, Gesù è colui che realizza il tutto ponendo il cieco nato nella sua
persona, in lui inviato dal Padre. Il cieco nato nel farsi lavare nella piscina
viene lavato da Gesù, entra nella storia di Gesù. Noi tante volte, infatti, ci
chiediamo come quella sete che Gesù ha messo in noi possa diventare un intenso
desiderio di luce. Gesù attraverso questo miracolo ci dice una cosa molto
semplice: davanti alla tua storia non portare i tanti interrogativi per essere
immediatamente risolti, come se li sono posti i discepoli nella domanda rivolta
a Gesù “Ha peccato lui o i suoi genitori perché è nato cieco?”
Gesù ci invita a entrare nella storia di Dio. Davanti al
buio della vita accostiamoci a quel Dio che, nella storia, si rivela
meraviglioso. I gesti di Gesù sono rivelativi della misteriosa gloria di Dio. Essere
figli della luce è essere la vivente storia di Dio.
Infatti, se guardiamo attentamente l'esperienza della
Chiesa, ci accorgiamo che dall'acqua battesimale si giunge alla luce ma cos'è
quell'acqua battesimale dalla quale si giunge poi alla luce, se non il segno
della incarnazione della storia di Dio? Dio ha creato il mondo dall'acqua,
nell'acqua del diluvio ha distrutto l'uomo vecchio, ha liberato dall'Egitto
attraverso l'acqua del Mar Rosso. È
quell'acqua in cui Gesù è stato battezzato al Giordano, è quell'acqua uscita
dal costato di Cristo. Chi entra nel mistero dell'acqua si accosta alla luce e
in quell'acqua diventa la storia di Dio. Il cieco nato entrando in quella storia
di Dio espressa nell'essersi immerso nella piscina ha acquistato la luce. È il
metodo che Gesù meravigliosamente ci regala questa mattina.
Davanti agli interrogativi della vita, apriamo il cuore alla
storia di Dio, guardiamo la persona di Gesù e in lui troveremo la luce della
vita. In certo qual modo davanti agli interrogativi della storia dobbiamo
riscoprire la bellezza oculistica del cuore che ci permette di cogliere la
bellezza del darsi di Dio.
Allora il cieco nato, giungendo a questa esperienza che lo
pone nella condizione di vedere, si pone, a sua volta, la grossa domanda: "Come
io posso credere?" Perché una cosa è essere il luogo delle meraviglie, una
cosa è porre l'atto di fede e l'atto di fede passa attraverso un itinerario che
l'evangelista Giovanni ci ha trattato nei tre quadretti:
o il cieco nato deve superare il dramma
della legge poiché Gesù ha lavorato di sabato,
o il cieco nato deve passare attraverso
la solitudine affettiva poiché i suoi genitori pensano più alla paura dei
farisei che a riconoscere le meraviglie operate nel figlio,
o il cieco nato deve affrontare la
prepotenza del potere, i farisei.
È un itinerario attraverso il quale le meraviglie di Dio
lentamente vengono percepite.
La storia evangelica è una meravigliosa pedagogia che ci
viene offerta per giungere a quel dialogo meraviglioso nel quale si sintetizza
la bellezza della fede, dove il protagonista è ancora Gesù. Gesù ha compiuto il
grande miracolo collocando il cieco nato nell'obbedienza; il cieco nato
attraverso la storia -lentamente- entra in una solitudine, ma in questa
solitudine è incontrato da Gesù… è quel meraviglioso dialogo tra un cieco nato
che desidera conoscere chi lo abbia guarito e Gesù, che si rivela a lui.
Ritorna di nuovo la sete del senso della vita.
Gesù non solo ha fatto meraviglie in quell'uomo ma Gesù va
a cercare quell'uomo perché se gli uomini l’hanno collocato nella solitudine
Gesù gli è accanto. E nel momento che gli è accanto nasce la fiducia: "chi
è colui perché io possa credere in lui? e Gesù dice: Sono io!”
È molto bello come l'atteggiamento del cieco nato ritraduca
la bellezza della fede, la bellezza di diventare figli della luce. Ci riempie
di ammirazione l'espressione con la quale il cieco nato dice in modo veramente
favoloso "Credo Signore!" E si prostrò dinanzi a lui. Qui siamo di
fronte ad una parola legata a un gesto. In quel "credo!" il cieco
nato afferma "Sei il senso della mia vita, sei colui senza del quale non
posso vivere" e poiché la tentazione poteva essere semplicemente una forma
orale, all'espressione “Credo, Signore!” l'evangelista aggiunge: "si
prostrò".
Qui appare il valore della sua corporeità che entra nella
signoria di Dio.
Essere nella luce vuol dire essere avvolti da una storia
che diventa la nostra storia, vivere nella persona del grande maestro Gesù.
Credo che anche noi dovremmo in questo itinerario di fede ritrovare il nostro
cammino. Chiamati a essere la vivente storia di Dio che lentamente ci allontana
da tante cose, siamo collocati nella solitudine di Dio e le meraviglie del
Signore diventano il senso della nostra storia.
Guardiamo a Gesù!
Ecco perché è sempre bello il salmo con cui abbiamo cominciato:
“Come una cerva anela ai corsi d'acqua, così la mia anima ha sete di te, o
Dio!” Qui scopriamo la dinamicità di quel: Credo! Ecco la sete dissetata.
Quando noi entriamo in questo itinerario la vita diventa
completamente diversa.
Perciò in questa eucaristia entriamo nella storia di Dio,
nel momento in cui ci accosteremo a quel pane, a quel vino, entreremo nella storia
di Dio e in questa storia di Dio passeremo dalle tenebre alla luce, dal peccato
alla grazia, dalla schiavitù alla libertà e allora la nostra settimana sarà
dire, attraverso la serenità dell'istante: credo Signore! E allora illuminati dal
cuore, la mente penserà secondo Dio, saremo uomini nuovi e, guidati dallo Spirito
cresceremo giorno per giorno in novità di vita.
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