OMELIA
La vocazione del discepolo a immergersi nella personalità
di Gesù si è costruita attraverso quell'esperienza della croce che oggi diventa
evento di risurrezione.
La festa odierna ci regala la gioia consapevole della
fedeltà di Dio nel mistero di Gesù stesso, usando la bella espressione
sintetica dell'apostolo Paolo di questa mattina: “la vostra vita è ormai
nascosta in Dio”. Entrare nel morire di Gesù è gustare il crescere nella risurrezione,
poiché la bellezza del morire non è l'ultima parola della storia di Dio, ma
l'ultima parola della storia di Dio è l'evento della risurrezione.
Davanti a questo grande mistero l'interrogativo che nasce
in noi è “come” possiamo vivere del Risorto, gustare il Risorto sentendoci in lui
risorti e l'espressione che abbiamo accolto dal Vangelo, è l'esperienza del
discepolo che Gesù amava, il quale ha saputo vedere e credere all'evento della
risurrezione vedendo quei teli, quel sudario nel sepolcro: teli e sudario
ordinati.
Riusciamo a entrare in questo mistero ricordando come il
segno della risurrezione di Lazzaro fosse legato ai teli e al sudario. Quello
che Gesù ha compiuto in Lazzaro, Gesù l'ha vissuto in prima persona, come egli
stesso aveva affermato: “Ho il potere di dare la vita e il potere di
riprenderla”.
Ma come il discepolo che Gesù amava entrando in quella
tomba vuota e vedendo questi segni ha potuto credere nella risurrezione di
Gesù?
L'evangelista Giovanni da questo punto di vista ci aiuta
introducendoci nella personalità del “discepolo
che Gesù amava”, che è la personalità di ciascuno di noi. In quel discepolo
che Gesù amava, noi siamo chiamati a entrare in noi stessi, a riscoprire noi
stessi e la nostra identità evangelica. Se oggi con lui e come lui possiamo
dire che vediamo e crediamo nel Risorto, è perché la sua esperienza è la nostra
esperienza. Senza questo riferimento fondamentale la risurrezione sarebbe un
evento passato e Gesù potrebbe diventare un mito. L'oggi del Risorto è la luce
della speranza presente in modo vivo nel nostro cuore.
L'evangelista Giovanni costruisce questa meravigliosa
figura nel rito della lavanda dei piedi, in un contesto di tradimento.
L'evangelista elabora la figura del discepolo che Gesù amava con uno stile che
dovrebbe permetterci di accoglierne il mistero e quindi essere in grado, sia
pur nella faticosità e lentezza della fede, di accedere a questo grande evento
del riconoscimento dell'evento della risurrezione.
Se andiamo al racconto della lavanda dei piedi, il
discepolo che Gesù amava “aveva reclinato il capo sul petto di Gesù”. In questo
semplice linguaggio dell’evangelista cogliamo la vitalità della risurrezione,
riusciamo a scoprire come la nostra vita sia nascosta con Cristo in Dio e
quindi siamo nella capacità di cogliere l'oggi del Risorto.
Cosa voleva dire l'evangelista Giovanni con quel
linguaggio “reclinare il capo sul petto di Gesù”? E l'immagine che
immediatamente ci appare è l'orecchio del discepolo accostato, fisicamente, al
cuore del Cristo per sentirne profondamente i battiti. Il discepolo che Gesù
amava, il discepolo nel quale ha riversato la pienezza del suo amore reclina il
capo sul petto di Gesù ed entra in sintonia con il mistero del cuore di Gesù.
Solo la sintonia con il cuore di Gesù, una sintonia che avvolge tutto il
sensitivo storico, ci permette di entrare nel cuore di Gesù e quindi di
accedere al mistero della risurrezione.
È molto bello accostare questo gesto del discepolo con la
finale del prologo di Giovanni: "Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il
Figlio unigenito che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato”. E’ il mistero
che noi cogliamo nella personalità del discepolo che Gesù amava: una intimità
con i battiti del cuore di Gesù, il quale, a sua volta, gusta i battiti del
cuore del Padre. In questa dinamica guidata dallo Spirito Santo, il discepolo
che Gesù amava entra nei battiti del cuore della Santissima Trinità. Il vedere
è un fatto di cuore, l’uomo vede attraverso il visibile l'esperienza
dell'invisibile, perché il cuore è sintonizzato con l'invisibile.
Questa esperienza ci deve profondamente catturare. Qualche
volta non riusciamo a "vedere" il Risorto perché non abbiamo
l'intimità con il Risorto. Ragioniamo molto, facciamo molte cose, ma
dimentichiamo quel passaggio per potere cogliere l’invisibile nel visibile. La
profondità del cuore attraverso i battiti della fisicità è l'intimità con una persona
con la quale vogliamo condividere l'esistenza per poterne godere il processo
relativo. In questo intuiamo perché il discepolo che Gesù amava “correva” e
correva più veloce di Pietro perché dove c'è intimità si corre, perché c'è
attrazione, c'è un'esperienza che avvolge talmente la nostra esperienza che il
correre è il linguaggio dell’innamorato.
La risurrezione la coglie solo quel discepolo che
lasciandosi amare in modo inesauribile da Dio ha il coraggio di reclinare il
capo sul petto di Gesù, di entrare nella sua intimità e, quando l'uomo entra
nell'intimità, la persona amata è la testa, il cuore e anche le gambe che “corrono”.
È qualcosa che ci deve veramente cogliere, fino in fondo,
e allora se vogliamo veramente - come il discepolo che Gesù amava - vedere quei
teli, vedere quel sudario e vedere il Risorto, noi dobbiamo andare alle
dinamiche del nostro cuore e chiederci veramente se la gioia di essere
discepoli è la gioia di questa intimità di cuore.
Purtroppo non riusciamo ad accedere a questa grandezza
perché siamo tanto distratti sulle cose, dalle immagini che non sono più
simbolo di una intimità misteriosa.
Noi pensiamo attraverso i riti di aver celebrato il triduo
Pasquale: grande illusione!
Se il cuore non è immedesimato con il Maestro e la sua
esperienza interiore non diventa la nostra esperienza, ci possiamo fare anche
gli auguri di Pasqua, ma il vero augurio è regalare l'intimità del Risorto che
ognuno di noi ha seminata dentro di sé, per grazia. Il credere è il gustare in
modo attivo questa meravigliosa presenza. Allora la vita non è più concepibile
senza questa attrazione del cuore in base alla quale viviamo talmente nel Risorto
che tutto ci parla del Risorto.
Quando un cuore è innamorato, vede l'amato in qualunque situazione
della vita che ne richiamino il mistero.
Tutto questo non è una teoria, nasce da un profondo
vissuto che caratterizza il discepolo e gli dà la gioia della risurrezione.
Tutta questa ricchezza esistenziale sta diventando il mistero
sacramentale che ci penetra. Ricordiamo la bella espressione che abbiamo
ascoltato nel discorso di Pietro a Cornelio: il Cristo “non è apparso a tutti,
ma ai testimoni, a noi, che abbiamo mangiato e bevuto con lui”. È il mistero
dell'eucaristia!
La bellezza dell'eucaristia è l'intimità con il Maestro e
nell'eucarestia cogliamo la bellezza di un incontro intraducibile perché è
l'esuberanza di un cuore profondamente innamorato.
Viviamo così l’eucaristia questa mattina perché possiamo
poi di riflesso dire agli uomini: Gesù è risorto!
La Pasqua non è l'uovo di Pasqua, la Pasqua è il Risorto
che riempie le nostre persone del suo mistero di amore e ci dà l'ebbrezza di
essere “nascosti con Cristo in Dio”.
Questa sia la speranza che vogliamo vivere in questa
celebrazione per regalare speranza a tutti gli uomini perché un cuore veramente
ricco di speranza inonda il cuore dei fratelli di una gioia veramente
meravigliosa e affascinante.
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