OMELIA
Il
cammino quaresimale lentamente ci ha introdotto nella interiorità di Gesù. L'essere
questa mattina condotti a contemplare il grande evento della morte di Gesù ci
porta a entrare nel cuore del Maestro e a intuire, nella narrazione che abbiamo
poc'anzi ascoltata da Matteo, quale fosse la sua interiorità. L'evangelista
Matteo, attraverso due atteggiamenti del Maestro, ci riproduce l'intenzionalità
presente nel suo cuore: il gesto del gridare e l'inizio del salmo 21 “Dio mio,
Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Coniugando questi due atteggiamenti
riusciamo a percepire cosa Gesù provasse in quel momento.
Spesse
volte siamo abituati a vedere in modo statico il Crocifisso, ma non sempre
riusciamo a entrare nel dramma di quest'uomo, dove ciò che lo ha aiutato nell'accogliere
il dramma della sua esistenza è stata la comunione con il Padre. Sia il grido
sia la sua interpretazione da parte degli evangelisti mettono in luce questa
potenza interiore del Maestro.
Il
gridare è la speranza più profonda del cuore dell'uomo davanti alla sofferenza.
Quelle
parole del salmo “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” si aprono, e lo
abbiamo ascoltato nel salmo responsoriale, alla certezza del Dio fedele. E
allora è bello nella potenza della fede cercare di intuire, per quello che
umanamente potrebbe essere possibile, cosa Gesù abbia sofferto e quale sia
stata l'energia che gli ha dato il coraggio di gridare la speranza del suo
cuore.
L'autore
della lettera agli ebrei, in una parola, ritraduce quello che Gesù aveva vissuto
in quel momento: il dramma della sofferenza dell'intera umanità e il dramma di
quella crocifissione: "Usciamo dunque verso di lui fuori dell'accampamento,
portando il suo disonore."(Eb 13,14). Quello che Gesù ha sofferto
sulla croce è ben evidenziato nella lettera agli ebrei dove tutto l'evento
della salvezza sta nel cuore obbediente di Gesù.
Nella
narrazione della passione troviamo espressi due elementi: l'elemento interiore
e l’elemento esteriore.
L'elemento
interiore: non esiste sofferenza di ieri, di oggi e di domani che non sia nel
cuore di Gesù. Guardare il Crocifisso in tutta la sua tragicità è scoprire in
lui, nel suo cuore, il dramma di ogni uomo. Spesse volte il mistero della croce
lo coglie in verità solo l'uomo che è nella tragicità della vita. Quando l'uomo
è nella tragicità della vita ricerca una forte speranza. Il gridare dell'uomo è
il respiro di chi vuol vivere.
Gesù
in quel momento ha sulle sue spalle (perché è nel suo cuore) la drammaticità
della storia. Il cristiano, quanto più nella sofferenza vede gli interrogativi
senza risposta, tanto più orienta il suo cuore allo sguardo del Crocifisso
perché nello sguardo del Crocifisso ricopre tutta la profondità della sua
sofferenza. Nella contemplazione avviene una misteriosa ma reale sintesi tra la
sofferenza del Cristo e la sofferenza di chiunque fissi lo sguardo del cuore
nel cuore di Gesù. Qui riscopriamo ogni giorno la sorgente della speranza
evangelica.
Avvertiamo
allora il secondo passaggio. Gesù vive il dramma di quel tipo di morte: la
morte sulla croce seguita alla drammatica flagellazione e irrisione; se noi per
un momento pensassimo a quello che Gesù ha nel suo cuore e come abbia vissuto
il suo amore per l'uomo in quel "disonore", immediatamente rabbrividiremmo.
Noi
tante volte abbiamo degli atteggiamenti troppo devozionali e poco esistenziali.
Dovremmo entrare in quel Gesù che muore in quel modo, che crea una tragica
sofferenza in chiunque si lasci immedesimare in quello che ha patito Gesù. Davanti
a questa tragicità esistenziale: qual è stata la sua speranza?
Gli
evangelisti ci hanno detto “come” Gesù abbia potuto sulla croce dire la sua
speranza: “mio Dio sei l'unica forza
della mia vita”. Il grido incarna questa esperienza: l'amore per il Padre e
per l'intera umanità era superiore a ogni sofferenza. Il vero Amore vince tutto…
Per
cogliere la profondità di tale atteggiamento dobbiamo andare al momento
decisionale della vita di Gesù, quando Gesù, in tutta la tragicità drammatica
della sua vita ha fatto la scelta della sua volontà, ha detto: “Padre se è possibile
passi da me questo calice, ma non la mia, ma la tua volontà sia fatta”. La
comunione con il Padre è stata l'energia che ha reso possibile quella scelta
drammatica. È una cosa, questa, sulla quale riflettiamo troppo poco.
La
drammaticità dell'orto degli ulivi, in una interpretazione "spiritualistico-esistenziale"
che è molto vicina al dramma dell'uomo contemporaneo, si è espressa in queste
parole di Gesù: "L'anima mia è così triste che quasi mi toglierei la vita!"
È la profondità del dramma dell'uomo davanti al quale ogni uomo non ha più
parole. Ciò che l'ha sorretto è ciò che Gesù ha detto “Padre non la mia, ma
la tua volontà sia fatta”. La comunione
con il Padre e con Gesù è la speranza dei senza speranza; ecco perché noi
cristiani rileggendo la passione del Signore non rievochiamo qualcosa di "mitico"
avvenuto ieri, ma entriamo in qualcosa di così attuale della nostra vita,
perché la nostra storia è la sua storia. Era la parola che Gesù questa mattina
attraverso il racconto della sua morte ci ha semplicemente detto.
Questo
testo, tuttavia, ci apre alla speranza: lo abbiamo ascoltato nel testo biblico della
lettera ai Filippesi: “facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di
croce. Per questo Dio lo esaltò e gli diede un nome che è al di sopra di ogni
altro nome”. Sono le parole che gli evangelisti hanno messo sulle labbra di
Gesù in quel “Dio mio, Dio mio, perché mi hanno abbandonato?”
Questa
verità noi la stiamo vivendo: l'eucaristia è essere sulla croce di Gesù, quel
calice ricolmo di vino è il calice dell'orto degli ulivi.
Entriamo
nella speranza, Gesù risorto è qui in mezzo a noi, ma ci dice che la luminosità
della risurrezione passa attraverso anche alla tragicità della morte. Non
abbiamo paura di guardare al Crocifisso, guardiamolo per ritrovare in lui e da
lui la forza della vita, e in lui e con lui risorgeremo perché lui conserva i
segni della passione, non li ha dimenticati nella storia. Celebrando l’eucaristia
questa mattina assumiamo le stimmate del cuore di Gesù perché entrando nel
mistero della sua persona possiamo ritrovare speranza nei dolori tragici del
quotidiano e dire a tutti che Gesù è risorto perché è stato per nostro amore
crocifisso, morendo in modo totale e totalizzante in un infarto di amore che
non ha confini.
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