Lv 13,1-2.45-46 1Cor
10,31-11,1 Mc 1,40-45
OMELIA
Il desiderio di conoscere sempre
più Gesù anima il cuore di ogni discepolo poiché il senso della vita è
conoscerlo e gli evangelisti ci aprono orizzonti sulla personalità del Maestro
anche attraverso i racconti dei miracoli.
I miracoli sono il linguaggio
utilizzato dagli evangelisti per introdurci nel mistero che è il Maestro divino.
Il miracolo della guarigione del lebbroso diventa estremamente significativo
per il cammino dell'umanità attraverso la testimonianza della Chiesa, perché ci
aiuta ad entrare nella profondità del cuore di Gesù, che s'incarna
nell'esperienza di ogni discepolo.
Il lebbroso è colui che è
emarginato dalla storia, per motivi igienici, riletti poi in termini sacrali
come abbiamo ascoltato dal Levitico; egli veniva allontanato dalla comunità e
quindi si ritrovava in una condizione di emarginazione. Ora Gesù, attraverso il
miracolo che ha operato, ci dice una verità molto semplice: la verità del
Vangelo è generare comunione e fraternità.
Egli è entrato nella storia per
portare l'uomo dalla chiusura in se stesso ad una condizione di reciprocità
perché la bellezza della vita è costruire fraternità.
La supplica che il lebbroso
rivolge a Gesù non è semplicemente la supplica di un uomo che vuol essere
purificato, ma è il grido dell'umanità che vuole uscire dalla chiusura
culturale in cui si trova per ritrovare vera comunione. L'uomo contemporaneo è
rinchiuso in se stesso e non riesce a respirare quella fraternità che è la
caratteristica della sua esistenza. L'uomo è chiamato ad essere “noi” e la
bellezza del noi è uscire dall'io con tutte le sue precompressioni e schiavitù
per dialogare con un “tu” nel quale ritrovare veramente se stesso.
Qui potremmo dire che la bellezza
della fede è gustare la fraternità. Non si è credenti da soli, ma nella
condivisione fraterna dell'annuncio evangelico. Il dramma all'interno dell'uomo
è quello di non riuscire a vivere di fraternità nello stile del vangelo.
Entriamo ora nel mistero di questa
narrazione per gustare la bellezza del “noi”. L'uomo è veramente se stesso
quando è comunione, e per raggiungere una simile meta dobbiamo entrare nel
dialogo tra Gesù e il lebbroso. Gesù, nella caratteristica del suo
atteggiamento di apertura ad ogni grido che sgorga dal cuore dell'umanità,
accoglie la supplica e la accoglie attraverso quei verbi che l'evangelista ha
utilizzato, che utilizza ancor oggi per entrare nel nostro cuore, e farci
comprendere la vocazione ad essere fraternità. Innanzitutto la prima parola, il
primo verbo: “ne ebbe compassione”.
Quel grido è l'espressione di una persona che vive il dramma dell'emarginazione
sociale e psicologica. Gesù immette nella sua persona il dramma del lebbroso. La
compassione nasce dall'altro che entra in noi. In certo qual modo Gesù diventa
personalmente il dramma di quell'uomo e avverte in se stesso il grido dell'uomo
che non riesce a fare fraternità.
Se noi guardassimo l'uso frequente
negli evangelisti della parola "compassione" scopriremmo come ogni
dramma dell'uomo è nel cuore di Gesù. Gesù non è venuto per fare miracoli, non
è il taumaturgo a buon mercato, Gesù è entrato nella storia innanzitutto per
assumere la problematicità della vita. Egli non si è collocato accanto all'uomo,
ha assunto l'uomo nella profondità della sua esistenza e davanti a un simile
atteggiamento il Maestro tese la mano.
Ora l'Evangelista quando narra questo episodio ha davanti chiaramente l'evento
della risurrezione.
Se guardiamo alle narrazioni più
antiche dell'evento della risurrezione, gli autori sacri hanno utilizzato
un'immagine che è tale quale quella che abbiamo ascoltato dal Vangelo: Gesù è
nella tomba, il Padre lo prende per mano, lo tocca e lo fa rialzare. È il
mistero della risurrezione! La mano di Gesù incarna la mano del Padre che fa
risorgere il Maestro. La bellezza dell'atteggiamento interiore di Gesù che si
apre alla compassione ci fa intuire come egli sulla croce perdona il peccato
del mondo, perché lo ha assunto insieme a tutte le sue emarginazioni storiche e
offre all'intera umanità, attraverso la figura del lebbroso, il regalo che il Padre
gli ha fatto: farlo risorgere, superare i condizionamenti storici in una
purezza di cuore che apre la propria esistenza alla grande libertà che è
fraternità. La bellezza di ritrovare la fraternità nello stile del vangelo
nasce da una comunione dove insieme si vive il dramma delle limitazioni
storiche, delle precomprensioni con uno sguardo rivolto verso l'alto, come nell'atteggiamento
del lebbroso, perché il Signore renda gli uomini partecipi della sua risurrezione.
La fraternità è espressione del Risorto
vivente che vive la sua interiorità nel cuore di ogni battezzato.
Noi dovremmo in certo qual modo
superare le tante problematiche che in termini psicologici o sociologici
mettiamo in luce per ritrovare la gioia di guardare in alto, diventare
comunione nella sofferenza, per essere comunione nella speranza. Se entrassimo
in questo tipo di lettura, coglieremmo quello che Paolo in modo meraviglioso ci
ha detto nella seconda lettura: davanti agli interrogativi della storia
guardiamo in alto e viviamo sempre rendendo grazie. La bellezza dei doni di Dio si gustano nella
gratitudine e allora “supplica e gratitudine” vanno di pari passo. La supplica
è una povertà regalata a Gesù guardando verso l'alto e Gesù ci offre la sua
presenza che noi gustiamo nella gratitudine. È il linguaggio dell'apostolo “sia che mangiate sia che beviate sia che
facciate qualsiasi altra cosa fate tutto per la gloria di Dio” per
ritradurre nella riconoscenza la bellezza della creatività di Dio nel nostro
cuore.
Noi parliamo troppo e condividiamo
troppo poco… ecco perché in certo qual modo la bellezza evangelica della
fraternità diventa veramente problematica per il nostro spirito. E allora
quando veramente avvertiamo in noi un autentico desiderio di fraternità, e il
cristiano è chiamato entrare in questo orizzonte, dobbiamo fare come il lebbroso:
riconoscere in noi quelle limitazioni esistenziali che non ci danno la gioia di
dire al fratello “tu” in una bellezza relazionale che diventa “noi”.
I limiti presenti nelle fraternità
non si risolvono semplicemente guardando all'altro, ma purificando il nostro
cuore in modo tale che la creatività di Dio in noi ci liberi dalle precompressioni,
dalle paure, dai blocchi psicologici e sociologici. Gesù è colui che ci fa
gustare quella libertà del cuore da trasmettere continuamente ai fratelli in
modo da generare una autentica esperienza di fraternità.
Il Vangelo è molto semplice: in
Gesù gustare l'essere fratelli. Usando il linguaggio di Paolo nella lettera ai Galati
“portare gli uni i pesi degli altri”
perché sia formato in noi il Cristo che è gioia, pace, benevolenza, cordialità,
fedeltà, bontà, umiltà, dominio di sé. Qualora entrassimo in questa bellezza
interiore, riusciremmo a dire che il cristiano vive continuamente del “tu” ai
fratelli per essere vera e autentica comunione.
Questa esperienza la viviamo nella
celebrazione eucaristica. Ecco perché Gesù ha voluto rimanere in mezzo a noi
attorno ad un tavolo, per condividere se stesso nel segno del pane e del vino.
La chiesa o è fraternità o è
struttura ecclesiastica, in questa seconda visione non c'è più comunione
evangelica.
È interessante entrare nella
profondità del Vangelo e allora impariamo che il Vangelo è riunire i figli
dispersi nell'unità. L'eucarestia è "mangiare" lo stesso Signore per
formare un cuor solo e un'anima sola, un solo spirito e un solo corpo. Il vero
peccato del cristiano non è mai di tipo morale, il vero peccato del cristiano è
non costruire fraternità e allora chiediamo allo Spirito Santo questa
meravigliosa illuminazione che nasce dal miracolo e che noi costruiamo nella
libertà dell'apostolo Paolo in modo che, attorno a Gesù Signore, intensamente
amato, ci sentiamo sempre purificati, perché purificati attorno a Gesù possiamo
camminare con i fratelli in una vera comunione che non è l'essere l'uno accanto
all'altro, ma l'uno nell'altro in una fraternità di cuore che genera speranza e
dà la forza di essere fratelli in vista di quella comunione gloriosa quando
dalle situazioni storiche che continuamente ci accompagnano nella vita possiamo
giungere a quella comunione gloriosa del paradiso quando saremo una fraternità
meravigliosa dove canteremo sempre, seguendo l'Agnello, in qualunque luogo egli
vada, perché in lui c'è gioia, libertà, comunione e autentica fraternità.
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