Gb 7,1-4.6-7
1Cor 9,16-19.22-23 Mc 1,29-39
OMELIA
Entrare nella personalità di Gesù
s'incarna nel crescere ogni giorno nella speranza, nel gusto della vita. L'incontro
con il Maestro rappresenta il criterio di uno stile di vita e il principio di una
costante novità, soprattutto alla luce del pessimismo che abbiamo ascoltato nel
testo di Giobbe.
L'uomo, al mattino della sua
esistenza, facilmente è catturato dalle oscurità, dalle difficoltà, dalle
complessità della vita e di fronte a questa dinamica esistenziale la risposta
che Gesù ci dà è l'itinerario della sua giornata. Infatti, se guardiamo
attentamente il testo evangelico, esso è una sintesi della giornata di Gesù il
quale entra nella storia degli uomini per annunciare il Vangelo. È quella
passione di cui ci ha parlato Paolo: la bellezza di comunicare agli uomini la
speranza annunciando il Vangelo. Il cristiano perciò davanti agli interrogativi
della vita ha una forte sete che Dio gli parli e gli regali quell'annuncio
evangelico che gli dà la forza della vita.
L'interrogativo che nasce è quello
di comprendere cosa voglia dire annunciare il Vangelo.
Se entriamo nella profondità del
testo scritturistico ci accorgiamo di alcune sottolineature che diventano
redenzione davanti al buio e al vuoto del quotidiano. Siamo chiamati a
comprendere cosa significhi annunciare il Vangelo: è comunicare la novità della
presenza di Dio. Il Vangelo è una persona, una persona che si accosta all'uomo,
all' uomo con tutti i suoi timori, i suoi interrogativi regalandogli il senso
della vita. Tante stanchezze nascono nel cuore dell'uomo perché davanti al
vissuto non riesce a trovarne il significato. L'uomo vive, ma perché vive?
Annunciare il Vangelo è dire
all'umanità che nel mistero del Maestro divino c'è il senso stesso della vita.
Annunciare è regalare una novità di Dio che genera nell'uomo la libertà del
cuore.
L'uomo infatti non riesce a gustare
la bellezza e la profondità della vita perché è troppo incapsulato e
schiacciato dai suoi interrogativi e non riesce ad entrare nella libertà del
cuore.
L'esultanza d' annunciare il
Vangelo si ritraduce nel seminare quella speranza che diventa interiormente il
coraggio dell'istante.
La bellezza del Vangelo non è
sapere tante cose, ma riacquisire giorno per giorno cosa significhi
sostanzialmente vivere. E’ diventare quelle creature nuove alle quali il
Signore regala tutto se stesso.
Se volessimo entrare in profondità,
la gioia d'annunciare il Vangelo si ritraduce nel vivere la stessa gestualità
di Gesù, che si pone accanto all'uomo con tutta la tragicità della sua
esistenza e lo rigenera a vita nuova; è quella meravigliosa sintesi tra la
parola, annuncio e gesto che rifà e ricrea l'uomo. Ecco perciò un primo aspetto
che cogliamo questa mattina dalla parola del Signore davanti agli
interrogativi, tante volte pesanti per l'esistenza. Forse l'uomo nella sua
superficialità non si pone questi interrogativi, ma quando ci si confronta
seriamente con il reale noi entriamo in una grande nebbia esistenziale e
l'unica soluzione è accogliere Gesù, la sua parola, il suo mistero. La bellezza
di essere cristiani è condividere la sua presenza incarnando nel quotidiano la
gestualità stessa di Gesù.
Ma qual era l'anima che permetteva
a Gesù di regalare continuamente coraggio e speranza gli uomini? L'evangelista
Marco ci fa percepire lo stile interiore di Gesù nella narrazione che abbiamo
ascoltato. È molto bello percepire come l'evangelista se, da una parte, ci dà
la fenomenologia della sua esperienza di evangelizzazione, e afferma che il
Signore in mezzo agli uomini è la novità che dà speranza, dall'altra
l'evangelista sottolinea dove egli attingesse questa esuberanza evangelica. La
sua esistenza era la comunicazione sacramentale della novità del mondo. E'
quello spaccato della vita di Gesù di cui ci ha parlato Marco questa mattina: “al mattino presto si alzò quando era buio e
uscito si ritirò in un luogo deserto
e là pregava”. In questo testo scopriamo tre atteggiamenti che chiunque
voglia annunciare il Vangelo deve continuamente acquisire per poter veramente
regalare all'uomo la speranza, per poter avere l'entusiasmo di Paolo che “si fa tutto a tutti pur di conquistare qualcuno”.
Innanzitutto gustiamo in quella
esperienza di dialogo con il Padre il
senso del silenzio. Ogni parola è feconda quando esce dal silenzio del cuore. E’
Gesù in ascolto del Padre.
In questo noi veramente ogni
giorno siamo chiamati ad essere alunni di Gesù, Gesù è speranza per gli uomini
perché egli è sempre in dialogo con il Padre e il Padre era il suo grande
maestro.
Che cosa gli ha permesso davanti ad
una giornata di successo di andare da un'altra parte?
Quella libertà interiore che è
superiore alle realtà contingenti, da dove è scaturita se non dal silenzio della
solitudine con il Padre? In tale contesto il silenzio diventa solitudine, solitudine
comunionale dove Gesù porta davanti al Padre la povertà nella storia degli
uomini. Un simile atteggiamento non era un silenzio vuoto. In quel deserto mattutino
e oscuro Gesù porta, nella sua solitudine, al Padre l'intera umanità. Il suo
non è un dialogo solipsista, nel suo mistero di comunione con il Padre ci
troviamo di fronte ad un dialogo dell'umanità che sta cercando una soluzione ai
suoi interrogativi. In quella solitudine il Padre che gli da il vero Vangelo,
la speranza da disseminare nel cuore dell'uomo, la bellezza e la fecondità
della vita che diventa libertà.
L'uomo davanti alla narrazione
evangelica di questa mattina può avere delle perplessità: perché andare da un'altra
parte quando quella giornata era così densa di successo apostolico?
L'uomo contemporaneo non ha la libertà
del cuore perché la sua vita è determinata dagli effetti, la sua vita è
condizionata dalle situazioni storiche, Gesù in quel silenzio di solitudine
comunionale veniva educato alla libertà. L'oggi del Padre era il criterio della
sua esistenza.
L'uomo di oggi non ha tutta
l'esuberanza di Paolo, come abbiamo ascoltato, perché è troppo incastrato nelle
situazioni esistenziali delle paure che tante volte lo qualificano negli
itinerari evangelici. Chi entra come Gesù in quella solitudine comunionale del
silenzio ritrova la libertà.
Noi siamo chiamati nell'annunciare
il Vangelo a incarnare l'interiorità di Gesù che sono i gesti del nostro
quotidiano che devono sempre generare speranza, comunione, fraternità.
Se tante volte risentiamo nella
cultura odierna il grido di Giobbe dobbiamo riscoprire l'entusiasmo di Paolo
imitando quel Gesù che dà speranza in una libertà del cuore costruita nella
solitudine di comunione e nel silenzio di accoglienza del dono del Vangelo che
ci fa il Padre. Se noi riuscissimo a entrare in questa sensibilità, la nostra
vita sarebbe ben diversa, ci sarebbe sicuramente un tormento, ma emergerebbe
anche la luce, e il Vangelo diverrebbe nella nostra esistenza una speranza
continua perché ci sentiremmo creature nuove che regalano la gioia di vivere.
Se l'uomo si pone l'interrogativo "perché
vivere", il Vangelo entra nella nostra storia e ci regala la luce che
vince le tenebre.
Ora la bellezza di ritrovarci
questa mattina nell'eucaristia è rivivere la stessa gestualità di Gesù. È Gesù
che chiamandoci all'eucaristia pone il gesto di essere in mezzo a noi, di
regalarci la sua parola e introdurci nel miracolo per eccellenza: la sua
presenza eucaristica. E allora il senso della vita viene riscoperto, rigenerato
e la bellezza di uscire dalla chiesa questa mattina è cantare la libertà del
cuore per dire Gesù, unico Vangelo, unica speranza, unica luce dell'uomo in
ricerca.
Viviamo con la forza dello Spirito
quello che la parola di Dio questa mattina potrebbe averci regalato per essere
persone che, pur nel tormento, sono nella speranza perché nel nostro cuore, il Vangelo è accolto,
condiviso e annunciato per la speranza di tutti fratelli.
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