20 gennaio 2019

II DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)


Is 62,1-5                   1Cor 12,4-11                       Gv 2,1-11

OMELIA

Sullo sfondo dell'esperienza della fede come ricerca e accoglienza della divina rivelazione, il cristiano sa che il cammino nella vita è una attrazione continua nel mistero della Gloria. Ogni istante è dono di Dio per desiderare la bellezza di Dio e gustarne la luminosità. È quello che ci potrebbe offrire la parola che questa mattina il Maestro ci sta indirizzando perché tutta la nostra esperienza si orienti alla manifestazione e al godimento della pienezza della benevolenza divina. È molto bello come qualche versetto prima del brano evangelico che abbiamo ascoltato, davanti all'atto di fede di Natanaele, Gesù fa un'affermazione molto stimolante: Vedrai cose più grandi di queste. La bellezza del cammino nella fede è solo un inizio, un'apertura su qualcosa che è veramente più grande delle nostre aspettative, è entrare nella gioia di cui ha parlato il profeta Isaia. Il cammino nel tempo e nello spazio è crescere ogni giorno nel desiderio di entrare in quella “gloria di Dio” che rappresenta la autentica realizzazione della nostra umanità. Non per niente lo stesso brano giovanneo che abbiamo ascoltato questa mattina si conclude con un'affermazione che riassume l'incontro quotidiano tra il Risorto e ogni discepolo: Questo è l'inizio dei segni compiuti di Gesù in cui egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui, che è nient'altro che il principio stesso dell'incarnazione il Verbo si fece carne, venne ad abitare in mezzo a noi e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito del Padre pieno di grazia e di verità.

La fecondità del cammino quotidiano di un credente è una attrazione continua nella grandezza di Dio. È un itinerario interiore che noi dovremmo in certo qual modo far crescere continuamente nella nostra storia. Noi dovremmo sempre, nello scorrere del tempo e degli anni, dilatare questo desiderio di gloria eterna per riuscire a percepire la profondità della vita di fede.

Ma come questo orizzonte che la parola di Dio ci sta offrendo questa mattina noi lo possiamo incarnare nella concretezza, sviluppare nelle scelte feriali, gustare i doni che vengono dall'alto, in un orientamento tutto immerso in qualcosa di eccezionale? E sono i tre passaggi che il miracolo odierno ci offre:

- la povertà della storia

- la centralità di Gesù

- la bellezza di vivere nel Mistero.

Innanzitutto la coscienza della propria povertà. Maria dice non hanno vino: è la povertà della storia dell'uomo che nelle sue aspirazioni più grandi e più profonde ne sente il limite nella propria persona, nella propria storia, nelle proprie situazioni esistenziali, negli avvenimenti quotidiani. Potremmo così ritradurre in termini contemporanei l'espressione di Maria: Non hanno vino, non hanno l'ebbrezza della vita. Ricordiamo sempre che il vino ritraduce la bellezza e il gusto della vita. Non per niente nell'esperienza monastica medievale il vino era il linguaggio della carità fraterna, come Paolo ci ha detto nella seconda lettura. E davanti alla povertà “non hanno vino”, contempliamo la signoria di Gesù davanti alla storia. Se poi entriamo nel linguaggio simbolico dell'evangelista Giovanni, ci accorgiamo che avviene un meraviglioso incontro tra l'umanità e la chiesa nell'esperienza di Maria che ritraduce la propria radicale povertà e la signoria di Cristo. Infatti l'espressione che Gesù rivolge a Maria dovrebbe essere così tradotta nel testo greco: donna che vuoi da me, non sai che è giunta la mia ora? È la bellezza di Gesù che si rivela come colui che compie l'ora del Padre. L'uomo è povero, l'uomo è debole, l'uomo non riesce a cogliere fino in fondo la bellezza, il gusto della vita e Gesù invita l'uomo a entrare nella sua ombra, a entrare nella comunione che egli ha con il Padre. È il banchetto con la volontà misteriosa di Dio, è quel “venne ad abitare” che è nient'altro che la gioia di Dio di essere al banchetto della vita degli uomini per far gustare loro, nella povertà dell'esistenza, la bellezza e la grandezza della sua persona, che è nient'altro che il ministero della comunione con il Padre. È bello dire a Dio: Sono povero, è coraggioso dire a Dio Sono nel buio, è problematico dire a Dio Sono nel caos esistenziale, e Gesù ci risponde: entra nella mia persona, entra nel mio mistero di amore, entra in quell'espressione che Giovanni utilizza per introdurre l'ultima cena e che diventa l'anima vitale della nostra esistenza: Poiché erano vicini i giorni della Pasqua, Gesù, sapendo che era giunta la sua ora per passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo li amò sino alla fine. A Maria che dice a Gesù: “non hanno vino”, egli replica: “Ricordati donna che voglio introdurre la Chiesa, l'umanità intera nell'ineffabilità del mio amore." In un simile contesto credente Maria si rivolge ai servi: Fate tutto quello che egli vi dirà. Questa scelta di obbedienza non è altro che il prendere coscienza da parte di Maria di voler introdurre la nostra esistenza nel camminare terreno del Maestro in questo banchetto d'amore tra il Padre e il Figlio. E allora il risultato è entrare nella bellezza, nell'ebbrezza di quel vino.

Quando l'evangelista introduce appunto il giudizio da parte del responsabile del banchetto è per farci vedere che se siamo poveri, non dobbiamo avere paura di essere introdotti in questo grande mistero che è più grande di noi, è l'essere amati all'ennesima potenza in modo divino umano per gustare la bellezza divina. È interessante l'immagine del vino, perché l'atto del gustare il vino non è altro che il gustare la bellezza del creato, il gustare la profondità dell'esistenza, il gustare la fecondità della comunione con Dio. E allora se noi riuscissimo a penetrare la fecondità di questo sogno divino che Gesù attraverso Giovanni ci regala, allora anche noi questa mattina come i discepoli vedremmo il segno della gloria di Dio, poiché il miracolo delle nozze di Cana costituisce il segno per eccellenza della vita di Gesù che vuole introdurre ciascuno di noi in un mistero più grande che è la Bellezza, e la bellezza di Dio è l'armonia, la gioia, la pace, con tutti quei derivati che sono presenti nel cuore di ogni uomo. È la gioia delle mani vuote che si lasciano riempire dalla benevolenza divina che è incomprensibile storicamente, ma nella fede veramente affascinante.

È bello camminare nel tempo con questi intensi desideri, e questi desideri dal momento che nascono da una profonda esperienza di fede che tutti noi siamo chiamati a vivere, ci offrono la certezza di entrare in quel banchetto glorioso dove Dio sarà tutto in tutti, ed Egli sarà il vino novello che inebria le nostre persone, che ci darà quella conclusione che non è legata allo scorrere degli anni, ma incarna il desiderio di una pienezza di vita dove Dio sarà tutto in ciascuno di noi.

Allora viviamo così quest'Eucaristia. In questa celebrazione noi siamo a Cana di Galilea, vogliamo vedere la gloria di Dio regalando a Gesù le nostre povertà di tutti giorni, gli interrogativi quotidiani, il non senso di tante cose perché questa povertà, portata a Dio, diventi per noi un gustare la bellezza di Dio: il corpo e il sangue del Signore. E se noi nella fede percepissimo queste verità il corpo soffrirà, ma lo spirito desidererà di entrare in quella bellezza divina che è il senso della vita, il Dio tutto in tutti, per seguire l'Agnello ovunque vada, cantando il canto nuovo che solo i 144.000, cioè l'umanità salvata, cantano per tutta l'eternità beata.




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