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XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C - DEDICAZIONE DELLA CHIESA
Ez 43,1-2.4-7 1 Pt 2,4-9 Gv 4,19-24
OMELIA
La nostra comunità cristiana oggi è invitata ad
approfondire il senso di cosa voglia dire essere Chiesa. E’ nella gioia
d’essere comunione che il volto di Cristo diventa fecondo per il nostro spirito.
Una simile convinzione ci aiuta a ricordare che il giorno della dedicazione del
tempio evangelico non è nient’altro che richiamare quello che poc’anzi
l’apostolo ci ha regalato nel Vangelo: essere un vivente e trasfigurante culto
in spirito e verità sapendo che questo culto in spirito e verità è incarnato
nella figura di Cristo. Noi siamo qui riuniti come comunità e la comunità è la
Chiesa; secondo un trinomio molto bello: il Cristo, presente in mezzo a noi,
attraverso la convivialità eucaristica ci raduna come popolo di Dio, tre elementi
che fanno il mistero della Chiesa. Le mura sono solo un segno di un mistero
molto più grande e questo mistero si racchiude in questi tre passaggi:
-
il Signore è presente nella storia,
-
la bellezza della convivialità eucaristica,
-
la gioia di essere popolo di Dio.
Ecco perché Gesù ha detto Ma viene l’ora, ed è questa in cui i veri adoratori adoreranno il Padre
in spirito e verità, dove l’ora è la persona di
Gesù nel progetto di salvezza del Padre. La bellezza dell'essere Chiesa è
gustare in modo meraviglioso la reale presenza di Cristo e questo è il primo
elemento che dobbiamo insieme cercare di condividere. Le mura sono un segno,
non sono il valore, le mura ci dicono “qui quando ci si raduna c'è il Signore
vivente!” E’ la bellezza della nostra esistenza: vedere il Signore! Ecco perché
noi entriamo nella celebrazione desiderosi di poterlo vedere; un cristiano non
innamorato di questa attrazione continua verso il Signore non ha intuito cosa
sia la Chiesa. E’ la bellezza della nostra fede il fascino di Gesù! Il resto è
tutto segno di qualcosa che ci avvolge, ci costruisce, ci dà il senso della
vita.
Noi questa mattina ci siamo radunati nel fascino di
Gesù, il rito è solo l'incarnazione, la ritraduzione di questa bellezza di Gesù
che prende la nostra vita. Dedicare una Chiesa in un luogo è perché, quelle
persone che vi abitano, sono affascinate da Gesù; se non ci fosse questo
criterio di fondo è tutto museo! La bellezza è la presenza del Signore e questa
presenza del Signore si ritraduce nella gioia della convivialità, la bellezza
di ritrovarci attorno al Signore, alla sua parola e alla sua commensalità. La
grandezza della Chiesa è stare con il Signore! Ecco perché nel succedersi della
ritualità la nostra anima è presa da un unico mistero: Gesù ci convoca, il Risorto
ci parla, il Figlio di Dio celebra i divini misteri. Questo è il mio corpo dato,
questo è il mio sangue versato… la bellezza di gustare una presenza attraverso
la bellezza feconda della convivialità.
Tutto questo ci permette il terzo passaggio, secondo
una bella espressione che nella teologia medievale è emerso in modo chiaro: l'Eucaristia
fa la Chiesa. Il Signore risorto ci convoca attorno a sé, nella convivialità
costruisce la Chiesa, la comunità cristiana. E’ la bellezza di ritrovarci
questa mattina qui, essere nell'Eucaristia Chiesa autentica: è l'assemblea
liturgica. Ecco perché Gesù ha detto Ma
è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre
in spirito e verità. Infatti qual è il mistero che stiamo vivendo in questo
momento? Il fascino di Gesù ci ha attirati, la presenza di Gesù ci sta
trasfigurando, è la bellezza di essere qui persone che si lasciano costruire
sacramentalmente, lui è presente, lui ci sta veramente rinnovando
esistenzialmente dandoci la luminosità della bellezza eterna! La Chiesa è dei
contemplativi. Un cristiano - diceva un grande teologo tedesco - o è un mistico
o non è un cristiano. La bellezza di ritrovarci nell'Eucaristia è la bellezza
di trovarci persone che si lasciano trasformare dalla luminosità del Cristo,
che ci costruisce giorno per giorno, nella pienezza della nostra umanità. E allora
la comunità cristiana è nient'altro che un popolo di Dio in cammino che esce
nel tempo e nello spazio per proclamare le meraviglie di Dio. Chiamati a vedere
il Signore nella contemplazione ne gustiamo la presenza attraverso il
sacramento per entrare in una esperienza mistica, la stessa sensibilità di
Cristo diventa la nostra sensibilità. Questa è la Chiesa!
Noi tante volte dimentichiamo questo meraviglioso
mistero che è il senso portante della vita. Non per niente noi celebriamo in
attesa della pienezza della Gerusalemme celeste. Questo è un segno, un
terremoto potrebbe distruggerlo, ma la Chiesa rimane: la bellezza di ritrovarci
in attesa di quella bellezza gloriosa che è la Gerusalemme del cielo. Ecco
allora la bellezza di ricordare la dedicazione di una chiesa la riscopriamo per
farci ritrovare assemblea che crede, che celebra, che si lascia misticamente
trasformare. E allora se noi riuscissimo a cogliere la bellezza di questa
esperienza noi ci accorgeremmo che è bello essere Chiesa, popolo convocato nel
nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo, popolo che vive il mistero pasquale
nella persona della reale presenza di Cristo attraverso il respirare la
creatività dello Spirito Santo che ci invia nel mondo, come nell’esperienza della
Pentecoste, per dire all'umanità che in Cristo Gesù ogni uomo è se stesso. Ecco
il senso di questa celebrazione che dovrebbe veramente qualificare la nostra
vita.
In questa celebrazione viviamo intensamente la convivialità
di una presenza, la convivialità di una parola, la convivialità di un banchetto
per poter veramente con i fratelli condividere la convivialità della bellezza
gioiosa della fede dove il Signore giorno per giorno ci trasfigura mentre siamo
in attesa di contemplare il suo volto nella Gerusalemme eterna dove
internamente il Padre cantando nello Spirito Santo la gioia del dono della vita.
Questo sia il senso di questa nostra celebrazione, dove
possiamo la bellezza di sentirci popolo in cammino in attesa della gloria
camminando con il Risorto nella luce dello Spirito Santo. Tale sia il mistero
che vogliamo vivere e condividere mentre siamo in attesa, quando passeremo da
questa assemblea sacramentale all'assemblea gloriosa del cielo, quando con i
144000 dell'Apocalisse seguiremo l'Agnello ovunque vada cantando il canto nuovo
che già oggi sperimentiamo e che domani, nella gioia luminosa del paradiso, sarà
la pienezza della nostra vita.
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XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C
Ab 1,2-3;2.2-4 2Tm 1,6-8.13-14 Lc 17,5-10
Omelia
La
bellezza della nostra vita cristiana si costruisce tutta sulla fecondità della
fede. E davanti a questo grande mistero che anima il nostro vissuto di tutti i
giorni, anche in noi nasce la stessa richiesta che gli apostoli fanno a Gesù:
“Accresci la nostra fede”.
L’uomo,
in quanto uomo, vive di fede ma soprattutto chi fa la scelta di Gesù costruisce
la sua esistenza nella fede, dove credere è affidarci, fidarci del Signore
restituendo a Lui la nostra esistenza. La bellezza di credere è dire sempre,
nella scelta di tutti i giorni, Mio
Signore e Mio Dio, nelle tue mani mi consegno, in Te riposa l’anima mia. La
fede è un modo di concepire, di costruire e di evidenziare quello che c’è nel
nostro cuore.
E
poiché la bellezza della nostra fede è la speranza del cammino quotidiano è
molto bello che anche noi, sull’esempio di Gesù, sappiamo ritrovare il cammino,
perché la fede possa essere autentica, ed è la parabola che abbiamo ascoltato:
la fede vive di gratitudine!
Evidenziamo tre passaggi in questo nostro
cammino, perché questa mattina l’invito del Signore possa aiutarci a crescere
nella bellezza di questa fiducia inesauribile che noi siamo chiamati a regalare
al Signore. E allora i tre passaggi che la parabola, utilizzando il linguaggio
dell’epoca, ci vuol effettivamente aiutare ad intuire:
La
bellezza di essere tutta grazia
L’esperienza
della gratitudine
Il
gusto della fecondità della vita
Tre
coordinate che dobbiamo questa mattina nella semplicità cercare di
approfondire, perché possiamo veramente crescere nella maturità della fede.
Innanzitutto
siamo grazia. Nella visione che la parabola ci offre, quella persona può vivere
perché quel signore gli dà la possibilità di lavorare. In un certo qual modo,
nella parabola si costruisce uno stretto rapporto tra il vivere e il lavorare.
Il lavorare è un atto di gratitudine a chi ti dà la possibilità di vivere.
La
bellezza della fede ha questo primo elemento fondamentale, la coscienza che
siamo gratuità di Dio. La bellezza della nostra vita è che siamo grazia, siamo
la condiscendenza della benevolenza di Dio.
Ecco perché il cristiano, nel cammino della
sua vita, facilmente accompagna le sue azioni dicendo “grazie”.
E’
quel senso di grande libertà interiore che nasce dalla coscienza, sempre più
approfondita, che la nostra esistenza è tutto un atto della gratuità di Dio. Il
fatto di respirare, il fatto di poter vivere, il fatto di poter anche lavorare,
è un atto di gratuità. E l’uomo deve imparare a prendere coscienza, nel
profondo della sua esistenza, che è tutto grazia.
“Per
grazia sono quello che sono” diceva Paolo, e anche noi, nel cammino della
nostra esistenza, dovremmo avere questa percezione di fondo: questa mattina ci
siamo svegliati perché Dio è stato fedele, ci ha di nuovo regalato la vita, ci
ha regalato la possibilità di costruire le nostre reazioni, la possibilità di
affrontare il presente con la speranza del futuro. E’ quella profonda
convinzione interiore che noi dovremmo sempre acquisire: “Sono grazia”! E
quanto più l’uomo ritrova questa coscienza che è grazia, tanto più diventa
gratitudine. La bellezza della nostra esistenza è essere un canto di
gratitudine. Usando i salmi, quanto sei
grande Signore su tutta la terra, la gratitudine è la gioia di essere
grazia, di essere azione gratuita che ci costruisce giorno per giorno, che ci
rende capaci di essere creature nuove. Potremmo inventare un piccolo slogan per
abituarci a vivere di gratitudine: quando noi respiriamo facciamo due
movimenti, respiriamo l’aria ed emettiamo il respiro, respiriamo la gratuità di
Dio e rispondiamo con la gratitudine. E’ la semplicità di saper dire
continuamente nella nostra vita grazie.
E
questo dire grazie diventa la nostra mentalità: è la gratitudine!
Sicuramente
l’uomo di oggi non riesce a coniugare nella sua vita tutti e due questi aspetti che sono essenziali: sono grazia, sto
vivendo, sono un atto dell’amore del Signore, grazie Signore! E’ la bellezza della nostra esistenza. Se noi riuscissimo ad intuire questa
bellezza, come sarebbe diversa la vita. Quando abbiamo sentito la prima lettura
che ha detto che “il giusto vivrà di fede”,
utilizzando la parabola, il giusto sarà colui che canta la gratitudine. E
quando noi entriamo in questa esperienza di gratitudine, siamo fecondi, abbiamo
un concetto diverso della vita. Proviamo a pensare a quello che abbiamo detto
un momento fa, se noi nel respirare siamo grazia di Dio, la vita è cantare la
gratitudine e quando cantiamo la gratitudine, siamo nella fecondità di
Dio.
E’
costruire la nostra esistenza coscienti che il Signore ci sta accompagnando.
L’uomo di oggi ha paura di costruire la vita e le paure aumentano sempre di
più, perché non sappiamo elaborare questo stile di vita: sono grazia, canto la gratitudine, sono la fecondità di Dio.
Questa
percezione più profonda del nostro cuore che dicendo grazie percepisce Dio è
con me. E allora, quando abbiamo tanti interrogativi nella vita, cerchiamo di
vedere in filigrana questa azione divina nei nostri confronti che continuamente
agisce. Magari non ce ne accorgiamo di come respiriamo, ma la bellezza della
vita è sentirci ogni giorno creati, salvati, santificati, la nostra vita
capolavoro della gratuità di Dio. E quando l’uomo si sente fino in fondo del
proprio essere un grande capolavoro, non per i suoi meriti ma per qualcuno di
più grande che entra nella nostra storia, ecco la gratitudine: grazie! E nella gratitudine la vita
assume una valenza radicalmente diversa, la vita diventa camminare con il Dio
che non ci abbandona: “Il giusto vivrà di
fede”.
Ecco
perché la parabole dice “quando avete
fatto tutto dite siamo servi inutili,
abbiamo fatto quanto dovevamo fare”, dove quel servi inutili è da tradurre, quando abbiamo fatto tutto, non
abbiamo fatto nient’altro che cantare il grazie alla vita. Costruire la nostra esistenza in una
gratitudine feconda. Ecco perché il cristiano, quando vuole rientrare in se
stesso e porsi la domanda sono veramente un credente, Gesù ci dice prendi coscienza, sei un capolavoro del mio
amore, continuamente rendi grazie e restituisci a me la tua vita con
gratitudine e sarai fecondo e avrai la gioia dell’istante. Ecco perché
questa mattina ci ritroviamo nell’Eucaristia che è la sintesi di queste tre
cose: siamo affascinati da Gesù, siamo nel mistero del suo amore e davanti alla
grandezza dell’amore inesauribile di Dio che ci accompagna nel cammino della
vita, ecco che istintivamente diciamo grazie
Signore, sono tuo capolavoro. E allora avvertiremo che quando diremo rendiamo grazie a Dio e cosa buona e giusta,
avremo la fecondità di Dio. Il pane diventerà il Corpo del Signore, il vino
diventerà il sangue del Signore e in quella comunione gusteremo la fecondità di
Dio che vuol fare di noi i suoi capolavori. Ogni volta che veniamo all’Eucaristia
diciamo al Signore aumenta la mia fede e Lui ci dirà Sii cosciente che sei un capolavoro di amore, restituisci il tutto con
il canto di gratitudine e riceverai il mio Corpo e il mio Sangue: la
fecondità di Dio!
Viviamo
questo mistero con tanta semplicità di cuore, è bello dire al Signore aumenta la mia fede e il Signore ci dice
Vieni alla mia Eucaristia e ti renderò un
capolavoro del mio amore che non conoscevi.