24 gennaio 2016

III DOMENICA T.O. - Anno C -

Ne 8,2-4.5-6.8-10 1Cor 12,12-30       Lc 1,1-4; 4,14-21
OMELIA

Il cristiano è un continuo ricercatore del senso della vita, è quella ricerca che porta l'uomo dalla dispersione e dalla molteplicità ad una vera unione - comunione come ci ha detto l'apostolo Paolo. Il cristiano, se nel contesto della cultura per tanti motivi può sentirsi disorientato da una complessità esistenziale, attorno la persona di Gesù l'uomo ritrova l'unità della sua esistenza. Questa unità è chiaramente fondata sulla parola che il Vangelo ci ha regalato questa mattina. Questa esperienza unificante ruota attorno al fatto che il Cristo è la parola del Padre. Il Dio della rivelazione è un Dio che ama parlare all'uomo: è la grande originalità dell'esperienza della fede: Se il cristiano tante volte si pone la domanda “che cosa devo fare?”, Gesù gli dice " Ascolta la parola! " Il cristiano è un ricercatore che continuamente si pone in stato di ascolto perché il Dio della rivelazione ama dialogare con l'uomo. È la bella visione che abbiamo nel racconto del paradiso terrestre: “Dio passeggia con l'uomo” e in questa immagine cogliamo la bellezza e l'originalità dell’evento cristiano: Dio dialoga, Dio non impone, Dio è un maestro che cammina con l'uomo aiutando l'uomo a ritrovare pienamente se stesso. È la reciprocità tra Dio e l'uomo, il Creatore e la creatura; è la bellezza della vitalità cristiana, è la bellezza del senso della vita. Il cristiano gusta il cammino della vita in un continuo dialogare con Dio.

Se questo è l'orizzonte, a cui dobbiamo continuamente fare riferimento, perché il cristiano è un creativo interiore continuo e la creatività interiore non nasce mai dall'imposizione, allora due parole possiamo cogliere nel brano evangelico di questa mattina:
·        “parlare”,
·        “prestare attenzione”.
Sono due parole sulle quali noi dovremmo continuamente soffermarci, diversamente avremmo perso la originalità della scelta della fede.

Allora dovremmo porci la domanda: cosa vuol dire parlare?

La risposta immediata è molto semplice: parlare è regalare la propria interiorità all'altro, è offrire all'altro il senso della propria esistenza perché l'altro possa accogliere la nostra interiorità rendendola feconda nella propria persona. Il parlare è regalare fiducia all'altro. Questa è una verità che dovremmo riuscire a scoprire per autenticare la nostra esistenza. Il parlare non è chiacchierare, è una pienezza del cuore che si offre all'altro per realizzare una intensa reciprocità.

Il parlare è verbale, il parlare è la linguistica corporea, il parlare è il silenzio della reciprocità degli occhi perché, nel parlare, avviene questa comunicazione: Gesù è parola, è colui che regala all'uomo la ricchezza del mondo di Dio. E questo atteggiamento rappresenta l'originalità cristiana.

Quando l'evangelista Giovanni definisce la seconda persona della Santissima Trinità come “Parola” definisce esattamente il principio della rivelazione: Dio esce dal suo silenzio per comunicare al nostro silenzio il mistero del cuore di Dio.

È esaltante quest'avventura perché se è già nell'ordine umano  il parlare in profondità ricolma di fiducia e di speranza, pensate il parlare di Dio dove Dio stesso svela al nostro cuore l'intensità della sua vita!

A me piace molto l'immagine citata prima della Genesi: Dio che passeggia con Adamo ed Eva. Passeggiare insieme è reciprocità dove l’uno è con l'altro e nell'altro per crescere nella intimità fraterna. Ecco allora che la prima parola diventa estremamente significativa per il nostro spirito: l'uomo non può agire se non accoglie una parola, espressione di una viva e intensa reciprocità. Se abbiamo avvertito il significato presente nel testo di Neemia ci siamo accorti come il popolo piangesse dove, in quel pianto, emergono due sfumature: pianto perché è stata scoperta una parola dimenticata e quindi il pianto della gioia perché finalmente attraverso quel libro della legge il popolo sentiva risuonare la voce di Dio e, dall'altra, la tristezza di non costruire la vita secondo quella parola. Il cristiano è l'uomo che brama dialogare con Dio. Dio non ci dice mai quello che dobbiamo fare, ci dice solo - ed è la seconda parola- che dobbiamo crescere in stato di attenzione. Usando l'immagine del Vangelo che abbiamo ascoltato “nella sinagoga gli occhi di tutti erano fissi su di lui”. È la attrazione!

Quando uno veramente ascolta la parola, si lascia attirare dalla persona, pende dalle labbra di chi sta parlando perché quella parola deve investire chi la sta ascoltando, perché tutta la persona nell'ascolto si lascia prendere, attirare e coinvolgere con tutte le proprie facoltà. In quell'ammirazione degli ascoltatori della sinagoga possiamo cogliere la sensibilità delle persone che sono talmente affascinate da Gesù che regala il cuore del Padre che tutta la loro persona è coinvolta in questo meraviglioso regalo. Ascoltare, prestare attenzione è la meravigliosa professione di fede del cristiano.

Noi come discepoli non abbiamo il gusto di ascoltare perché abbiamo un virus: cosa devo fare? E questa parola rovina la dolcezza dell'ascolto e dell'attenzione perché quando l'uomo gusta la comunicazione che l'altro fa di se stesso si sente così inebriato dalla fiducia dell'altro che la sua vita cammina nella luce dell'altro che ha parlato.

E' la bellezza della vita di fede!

Se non entriamo in questo orizzonte, possiamo fare tantissime cose, ma non abbiamo colto l'originalità della esperienza della fede.

Il senso della vita è un dialogo creativo fra il Dio che si regala e l'uomo affascinato da questo regalarsi proprio di Dio. Come siamo stolti quando ci perdiamo nelle tante cose da fare!

La cosa più bella della vita è sostare, guardare, lasciarci affascinare da Gesù che si regala pienamente a ciascuno di noi. Ogni parola è il cuore dell'io che ama abitare nel cuore del tu in una reciproca fiducia.

È il senso di questo nostro ritrovarci questa mattina. Anche noi siamo nella sinagoga, l'assemblea liturgica è la sinagoga di Nazareth e il Signore è in mezzo a noi, ci sta parlando nella parola della Scrittura, ma soprattutto nella parola eucaristica. Quel pane e quel vino sono la "parola" della persona sommamente amata che entra in noi, ci regala la sua fiducia, e ci dà l'ebbrezza della vita. Non lasciamoci mai prendere dalle nostre paure, dai nostri tormenti interiori, dimentichiamoci davanti a questo grande mistero e lasciamoci inebriare da questa meravigliosa Persona che è Gesù in  modo che anche noi possiamo avere quelle lacrime di gioia perché il Signore ci regala la sua interiorità, con le lacrime del dolore di non vivere tutta l'ebbrezza di questa presenza.

Se noi entreremo in questo itinerario allora l'esperienza cristiana diventa il senso della vita, l'uomo non è chiamato a eseguire passivamente, ma a dialogare con il cuore di Dio nel quale ogni creatura ritrova veramente se stesso.
 
 
 
 
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