OMELIA
Il
senso dell'attesa presente nel cuore dell'uomo d'essere veramente e pienamente
se stesso oggi si è realizzato in quella espressione centrale del brano
evangelico che abbiamo udito: “Il Verbo s'è fatto carne ed è venuto ad abitare
in mezzo a noi”. In questa affermazione contempliamo la realizzazione del
progetto di Dio sull'uomo e sulla storia, qui scopriamo la bellezza della gioia
di Dio d’aver dato compimento al processo della creazione in Cristo Gesù.
Contemplando
l'evento del Dio fatto uomo, gustiamo il compimento di quel meraviglioso
progetto creativo di Dio che, in Gesù, ha avuto la sua realizzazione. È la
gioia di Dio d’avere dato pienezza al suo pensiero eterno di creare l'uomo a
immagine del Figlio suo Gesù Cristo, perché ne divenisse sua luminosa
somiglianza.
Davanti
a questo grande evento l'uomo si pone l'interrogativo circa il modo con il
quale questa gioia di Dio nella realizzazione dell'uomo possa diventare gioia
dell'uomo. Se da una parte dal versante di Dio c'è il godimento divino di dare
compimento alla creazione, dall'altra l'uomo si sente interpellato ad entrare
in questa gioia di Dio. L'uomo è chiamato a gustare la gioia di Dio nella
propria gioia. Questa interpellanza ce l'ha comunicata l'evangelista Giovanni
quando ha detto: “A quanti lo hanno accolto ha dato il potere di diventare
figli di Dio, a quelli che credono nel suo nome i quali non da carne, né da
volere di sangue, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati”.
I
tre verbi che troviamo nella citazione evangelica, corrispondono all'itinerario
nel quale ogni discepolo è chiamato ad inserirsi per potere gustare la bellezza
della sua umanità e divenire sempre più persona gioiosa nello Spirito Santo.
Essi sono: accogliere, credere, lasciarsi generare.
Innanzitutto
il primo passaggio è “accogliere” che potremmo tradurre con l'espressione: spalancare
la propria esistenza all'invadenza di Dio perché Dio venga ad abitare nella
nostra storia quotidiana. È molto bello come nel brano che abbiamo ascoltato
non si dica che il Verbo si è fatto uomo, ma si dice che il Verbo s'è fatto
carne, dove la differenza è molto significativa: l’essere uomo può diventare un
semplice concetto filosofico, mentre il diventare carne mette in luce il
progetto divino d'assumere in pienezza tutta la storicità dell'uomo. Accogliere
il Dio che viene è accogliere il gusto della nostra umanità in tutta la sua
ricchezza. La bellezza del Verbo che si fa carne costituisce la gioia dell'uomo
di riscoprirsi in tutte le sue coordinate: intelligenza, volontà, sensibilità
come luogo dell'abitare di Dio. Il cristiano ritrova autenticamente la vera gioia
perché la sua umanità è stata assunta da Dio stesso. In quel “accogliere” noi
intuiamo la creatività di Dio nelle nostre persone.
Una
simile ricchezza la scopriamo nell'accostarci al secondo verbo “credere”.
Potremmo leggere tale parola che è sottolineatura del lasciare a Dio la libertà
operativa dentro di noi. Sicuramente questo secondo passaggio risulta
estremamente arduo per l'uomo perché egli si pone l'interrogativo: "Come
posso lasciare libertà a Dio dandogli pieno spazio di azione nella mia
esistenza?"
L'evangelista
nel linguaggio che abbiamo ascoltato dice fondamentalmente che noi siamo un
capolavoro della gratuità di Dio. Tutta la consistenza della nostra esistenza è
in lui: "Tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato
fatto di tutto ciò che esiste."
Credere
è dire al Signore non solo "vieni ad abitare nella nostra esistenza",
ma soprattutto "diventa il criterio delle nostre scelte quotidiane".
In
un altro testo lo stesso evangelista afferma: "Chi crede è già passato
dalla morte alla vita". Questa avventura della fede è un'avventura
quotidiana; infatti, tante volte diciamo che il cristiano è figlio di Dio, leggendo
e interpretando la formula in modo statico. Se vogliamo entrare nella mentalità
giovannea dovremmo in certo qual modo essere più profondi affermando: "Il cristiano
è un generato da Dio e si diviene figli di Dio giorno per giorno". Creati
da Dio diventiamo progressivamente figli di Dio e saremo figli di Dio nella
maturità della fede, quando Dio sarà pienamente creativo nella nostra esistenza,
quando cioè, lo vedremo faccia a faccia.
Il
terzo verbo è quello che riassume tutti i precedenti, ma ci dà la bellezza
della nostra identità: essere “generati” da Dio. L'uomo pensa d'essere il
signore della sua vita, ma ogni atto della libertà dell'uomo è l'espressione
dell'essere generati da Dio. Se guardiamo attentamente il linguaggio che ha usato
l'evangelista possiamo notare un'affermazione molto stimolante. Chiediamoci: chi
è per eccellenza il generato da Dio, se non il Verbo incarnato?
La
bellezza della nostra vita, se sappiamo fermarci un attimo per riflettere, ci
fa scoprire che l'essere generati vuol dire che siamo inseriti ontologicamente nella
generazione eterna del Verbo. A questa radicale esperienza Gesù ci chiama
continuamente. Davanti alle realtà dinamiche della storia, tante volte
estremamente problematiche, il cristiano, rientrando in se stesso, dice: sono
generato in ogni frammento del cammino quotidiano dal Dio che mi crea.
Se
è vero il principio della matematica che afferma che tra due punti adiacenti
c'è un'infinità di punti, così tra due istanti della nostra vita c'è
un'infinità di istanti generati da Dio. Se qualche volta riuscissimo per un
momento a fermarci e pensare a quella domanda che in sottofondo ci ha condotti
in questo avvento: -chi sono?-, scopriremmo
che la bellezza della nostra esistenza è essere generati in Colui che
dall'eternità è generato dal Padre. In questo orizzonte l'esistenza assume
tutta un'altra dimensione perché l'esistenza diventa un vivente e fecondo capolavoro
della creatività di Dio. Quando l'uomo si pone la domanda: -chi sono?-, in quel
momento deve avere l'umiltà di dire: non lo so, perché l'uomo è il capolavoro dell'Ineffabile,
ma chi comprende Colui nel quale ogni giorno siamo stati generati? Nessuno! Una simile prospettiva ci colloca nella
quotidiana fantasia creatrice di Dio, il sommo artista della nostra umanità.
Questa
somma di affermazioni ci permette d'intuire che la gioia non è da comprendere,
la gioia non è da capire, ma è gustare l'esserci nel tempo e nello spazio in una
creatività di Dio in atto. La gioia del
Natale è la gioia di questo Dio che vuol fare di noi la luminosità del suo
mistero.
Seguendo
simili considerazioni intuiamo che la vocazione a vivere non è altro che il lasciarci
trasportare dall’onda dell’amore creativo di Dio che ci dà quella freschezza
esistenziale che è speranza quando l’uomo ha perso ogni speranza. Questa è la
bellezza della gioia del Natale. Ogni volta che ci poniamo l’interrogativo: -chi
sono io?- ricordiamoci il testo di Giovanni: "A quelli che lo hanno
accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio, a quelli che credono nel
suo nome, i quali non da carne, né da volere di sangue, né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati" e allora l'eucarestia che siamo celebrando non
è altro che l'essere continuamente generati da Dio per maturare nella vocazione
a divenire figli di Dio in Cristo Gesù.
Non
per niente l'evangelista Giovanni non solo ha detto che il Verbo s'è fatto
carne e venne ad abitare in mezzo a noi, ma ha anche aggiunto: e noi abbiamo
visto la sua gloria. L'Eucarestia è vedere con l'intensità del cuore la
presenza trasfigurante del Dio in mezzo a noi, del Dio in noi. La bellezza dell'eucarestia
è vivere questo testo centrale del prologo ritrovando la bellezza e il gusto
dell’esistenza, la gioia e la capacità di vivere, nonostante tutto e nonostante
tutti. Questa sia la speranza che vogliamo portare a casa questa mattina in
questa celebrazione del Natale che non deve semplicemente diventare un qualcosa
di psichedelico legato al folclore agreste e pastorale. Il Natale è un evento
che determina talmente la nostra umanità da farci capire che è bello essere uomini.
La bellezza del comprendere la profondità esistenziale della nostra umanità non
è nell'ordine della razionalità, ma nella profondità dell'intuizione di essere
un capolavoro dell'amore inesauribile di Dio che si compiace di essersi calato
nella nostra storia quotidiana.
Qui gustiamo la vera gioia
di Dio in noi e pregustiamo l'esultanza della pienezza del dono d'essere uomini
che sarà nella Gerusalemme del cielo.
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