12 agosto 2018

XIX DOMENICA T.O. - ANNO B -

1Re 19,4-8               Ef 4,30-5,2              Gv 6,41-51 
OMELIA
Gesù, attraverso le parole dell'evangelista Giovanni, vuole introdurci lentamente nel gusto della fede, facendoci fare il passaggio dalla fede al credere. È un passaggio questo a cui l'evangelista Giovanni tiene molto perché, egli stesso afferma che chi crede è già passato dalla morte alla vita. Chi con coraggio accede alla gioia di credere può gustare la viva presenza del Vivente. Anche questa mattina Giovanni ce lo ha chiaramente ribadito: chi crede ha la vita eterna.

Se la fede è spalancare la propria esistenza al grande evento che è Gesù, il credere è interiorizzare questo evento diventando progressivamente la personalità di Gesù. Nel credere infatti noi scopriamo che Gesù è il grande protagonista della nostra esistenza, e ci affascina continuamente perché diventi l'anima della nostra anima. Nello stesso tempo, ci educa attraverso l'esperienza della storia a entrare in perfetta sintonia con lui.

Quando Gesù nel testo evangelico ci ha detto che egli dona la vita eterna è perché chi crede gode l'armonia divina. Il credere è entrare in questa vita senza confini che è l'ebbrezza della nostra esistenza.

Per introdurre la nostra esistenza in questa ricchezza Gesù oggi ci pone davanti a due affermazioni.

La prima: nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato e la seconda grande affermazione: io sono il pane della vita dove, le due affermazioni, sono l'una strettamente legata all'altra perché in entrambi i casi il grande protagonista è ancora Gesù.

Gesù ha potuto affermare che "nessuno ha potuto venire a me se il Padre prima non lo attira a sé" perché è Gesù stesso che ci regala il suo stile di vita. Se lo guardiamo attentamente nell'itinerario della sua esistenza ci accorgiamo come egli fosse sempre in accoglienza, ascolto, comunione con il Padre. Se guardiamo attentamente il Vangelo di Giovanni, avvertiamo come Gesù non avrebbe compiuto nulla che non fosse l'incarnazione di un rapporto diuturno con il Padre. Gesù lo ha chiaramente detto: Nessuno viene a me se prima il Padre non lo attira a sé. Se noi non impariamo da Gesù a desiderare ardentemente la comunione con il Padre non conosceremo mai Gesù. E in questo Gesù è stato un grande maestro.

Come ha fatto Gesù nel concreto della sua vita a vivere in perfetta comunione con il Padre realizzando solo quello che il Padre voleva? E la risposta ce l'ha data la storia del profeta Elia.

Davanti al disastro psicologico in cui il profeta è caduto, davanti ai guai dell'esistenza, tuttavia la storia di Elia ci insegna, sull'esempio di Gesù, a costruire la nostra esistenza come continua attrazione nel Padre. Infatti se noi andiamo al di là della simbologia, cosa significa quell'angelo che per ben due volte fa mangiare e bere Elia, dandogli l'energia di camminare per 40 giorni e 40 notti se non la convinzione più profonda che la sua esistenza era guidata da Dio? Sull'esempio del profeta, in quell'essere attirati dal Padre c'è l'esistenza del cristiano che ogni giorno si lascia guidare dalla storia rileggendola continuamente con la divina Parola, con la divina rivelazione. Questa attrazione sono i fatti della vita che la provvidenza ci regala perché noi possiamo continuamente, nella Parola, camminare all'insegna di Dio, per poterne gustare l'intimità.

Infatti Elia, giunto all’Oreb, si sente chiamato alla grande esperienza di Dio, ma qual è questa grande esperienza che Elia fa al termine di questo lungo cammino in cui la provvidenza l’ha lentamente svestito dell’io, in una sete meravigliosa di Dio?

Quando Elia giunge all’Oreb, Dio non è nel fuoco, Dio non è nel terremoto, Dio non è nel vento, che sono i linguaggi che ci richiamano la grande manifestazione di Dio all'esodo, quando Dio fa l’alleanza con Israele, ma Dio appare a Elia nell'immagine della brezza, come in genere si traduce. La vera traduzione è più profonda, quel termine “brezza” è da tradurre con respiro e la percezione del respiro la si ha quando si è sullo stesso cuscino.

La bellezza dell’essere guidati dalla storia è entrare in tale intimità con Dio…noi lentamente entriamo nella sensibilità di Dio. E tutto questo riusciamo a ricostruirlo continuamente ascoltando la parola di Dio e nella docilità alla storia quotidiana.

In un simile contesto possiamo leggere l'espressione ripetuta di Gesù: io sono il pane della vita, io sono la parola del Padre che alimenta l'intensità del desiderio divino presente nel cuore dell'uomo. L'uomo guidato dallo Spirito ha una grande sete: che Dio gli parli! E nella parola di Dio l'uomo ritrova veramente se stesso. Infatti ritornando all'immagine di Elia, cos'è quel pane cotto sulla pietra e quell'orcio d'acqua se non la rivelazione - personale - che Dio fa alla creatura quando questa vuole trovare veramente se stesso?

È qualcosa che ci deve appassionare e che ci deve stimolare a desiderare il volto di Gesù. Qui dobbiamo recuperare un intenso atteggiamento interiore.  Il cristiano ama il silenzio, vive del silenzio perché il silenzio è il luogo di questa meravigliosa relazione con il Padre, che ci permette d'ascoltare l'ineffabilità della parola del Figlio. E’ il cristiano che sa unire in modo meraviglioso l’intelligenza con il cuore, il cuore con l'intelligenza, quello che l'intelligenza desidera è sempre stimolato dal cuore e il cuore stimola continuamente l'intelligenza per entrare in una affascinante comunione di vita. Ecco il credere! Gustare questa ineffabilità divina in noi che ci fa desiderare il respiro del Padre.

Tante volte noi cristiani siamo presi dal caos delle cose da fare, anche con il Signore dobbiamo inventare tante cose e ci distraiamo da questa realtà affascinante che è il silenzio. Dio abita il silenzio. Dio parla attraverso il silenzio e il silenzio ci fa gustare l'ineffabilità di una presenza. Questa è la bellezza del credere! Il Signore non è venuto nella storia per darci tante verità da credere, perché non era professore di teologia, Gesù è entrato nella storia perché era innamorato dell'uomo, ed essendo innamorato dell'uomo voleva abitare la persona della creatura. E' ben evidente allora che nella bellezza della fede siamo già passati dalla morte alla vita. Il credere è il gustare in atto l'eternità beata. Ecco perché questa mattina il Signore ci ha chiamati a entrare con questa attrazione del Padre per gustarne la Parola, per entrare in una intimità che deve supportare la nostra esistenza. Quando noi, guidati dallo Spirito, vogliamo credere siamo abitati dal Dio ineffabile e in quel momento gustiamo la vita; Gesù è il pane della vita perché è il senso portante di ogni frammento della nostra esistenza.

Questa mattina, nonostante i tormenti del quotidiano, lasciamoci prendere dal silenzio di Dio, entriamo in questa intimità. Quel pane e quel vino sono il segno dell'intimità divina che ci trasfigura in un cuore che nel silenzio si accosta al pane al vino con il cuore contemplativo. Allora intuiremo la bellezza della nostra esistenza, comprenderemo che è bello credere perché è bello che il Signore sia il Signore del cuore, della mente e delle nostre azioni. Entrando in questa meravigliosa esperienza potremmo veramente camminare in novità di vita.
 
 
 
 
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