Pr 9,1-6 Ef
5,15-20 Gv 6,51-58
OMELIA
L'evangelista Giovanni lentamente ci ha
introdotti nel grande mistero della fede e dopo averci stimolati ad essere
persone che gustano la presenza creatrice del Cristo nelle nostre persone, oggi
ci introduce nel valore della convivialità per una feconda personalizzazione
del dono della fede.
La bellezza della fede, che si incarna nella
profondità del credere, si ritraduce nella convivialità. È la bella immagine
con la quale il libro dei Proverbi ha aperto l'annuncio della parola di Dio
questa mattina: la sapienza che invita al banchetto: La sapienza si è costruita la sua casa...A chi è privo di senno ella
dice: "Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato". In questa immagine sapienziale
scopriamo la voce del Cristo che ci invita alla commensalità con se stesso. La
verità e la bellezza del credere è "mangiare e bere" con il Signore.
Ma questo linguaggio che questa mattina abbiamo ascoltato dal Vangelo, quale
densità di contenuto ci vuole presentare?
La prima parola che dobbiamo riuscire a
comprendere è cosa voglia dire il termine “commensalità”.
Noi qualche volta rimaniamo molto legati a
qualcosa di esteriore, com’è la cultura superficiale nella quale noi oggi ci
ritroviamo a vivere, ma la commensalità ritraduce una intensa vita interiore: è
sostanzialmente il condividere la comune contemplazione del cuore di Cristo,
condividendone il mistero di salvezza. Essere chiamati alla convivialità
esistenziale con Gesù non è nient'altro che entrare insieme in questo fascino di Gesù che è il corpo e il criterio
portante dell'essere insieme.
Usando un'immagine che ci richiama all'ultima
cena, la convivialità è l'insieme dei Dodici che contemplano il volto di Cristo
e si sentono attratti dalla sua persona; essere nella convivialità sacramentale
è gustare il volto del Signore insieme ai fratelli, avendo come criterio di
vita l'unico valore dell'esistenza: avere i suoi sentimenti come ce li ha
espressi l'evangelista Giovanni introducendo il rito della lavanda dei piedi: avendo amato i suoi che erano nel mondo li
amò sino alla fine. È la bellezza del cammino di un credente. La bellezza
della vita di un credente è entrare in questa convivialità esistenziale di Gesù
vivendone la sapienza di vita.
Il gesto del mangiare e del bere è un segno,
non è il valore, a monte della nostra vita di credenti sussiste un'esperienza a
cui dobbiamo continuamente richiamarci: l'essere insieme vivendo un unico
ideale, avendo un'unica anima: il Cristo, che invita l'umanità intera a
condividere le idealità che abitano il suo cuore.
E allora intuiamo che la convivialità è
sostanzialmente una professione di fede di coloro che si ritrovano a vivere
insieme la mentalità di Gesù. Senza il Signore, senza il suo cuore, senza
condividere la bellezza del suo Vangelo non è possibile entrare nella
convivialità.
È un mistero questo che noi cogliamo nella
vita di Gesù. Riandiamo sempre al versetto centrale del prologo del vangelo di
Giovanni: il Verbo si fece carne e venne
ad abitare in mezzo a noi dove “abitare” è ritrovarsi attorno ad un tavolo
a condividere l'unico senso della vita.
La bellezza del credere è ritrovarci
commensali con Gesù, gustandone in profondità il suo mistero pasquale. Questa
convivialità Gesù l'ha ritradotta con le due immagini ripetute - mangiare e
bere - dove Gesù utilizzando le due immagini - mangiare e bere – sottolinea il
cibo solido e la bevanda liquida: il Signore è il nutrimento di tutto l'uomo. La
bellezza del credere è nutrirci continuamente a tale mistero, vivendo questa
gestualità di Gesù che si fa "mangiare" e si fa "bere",
perché Lui e solo Lui è il senso della vita, è l'autentico nutrimento della
nostra umanità di discepoli del suo amore.
Un simile linguaggio ci permette di
approfondire cosa voglia dire mangiare e bere
e alcuni elementi ci possono aiutare ad entrare nella profondità del discorso
di Giovanni.
Innanzitutto il mangiare e il bere eucaristico
è la fiducia nel Signore, è la presa di coscienza che Lui è il vero "cuoco"
del cibo dell'esistenza. Come nell'ambito umano noi abbiamo fiducia in chi
prepara il banchetto, prepara gli alimenti da mangiare, così noi abbiamo
fiducia nel Signore, perché Lui non è solo il capotavola, ma Lui "è quel
pane e quel vino", è Lui che rinnova la sua presenza in noi dandoci
l'ebbrezza della vita. La convivialità è
una reciprocità di fiducia. Mangiare è solo un segno, il valore è la
fraternità.
La bellezza della convivialità è essere
comunione, usando il linguaggio degli Atti degli Apostoli è un'anima sola e un corpo solo perché
Gesù, nel mistero del credere, vuole che questo mistero del credere sia
l'ebbrezza dell'essere insieme, condividendo la sua mentalità. Quando c'è
fraternità il cibo è un linguaggio, non è un valore; quando c'è profondo senso
di comunione la bellezza del mangiare insieme non è il mangiare concreto, ma il
condividere, nel mangiare, la coscienza che noi apparteniamo al Signore e
questa coscienza di appartenere al Signore fa sì che noi possiamo avere la
gioia della reciprocità.
E qui entriamo nella bellezza del testamento
di Gesù: mangiare insieme a Gesù è vivere la meravigliosa comunione che esiste fra
il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Mangiare l'unico pane ed accostarci
all'unico calice è dire quella comunione trinitaria, che rappresenta il senso
portante della vita. Ecco perché Gesù nel cammino della fede ci ha condotti
alla convivialità perché se il credere è la sua presenza in noi, la sua
presenza in noi diventa fraternità nell'accostarci all'unico pane e all'unico
calice. E’ la bellezza della fede! Insieme si crede e poiché insieme si crede,
insieme si condivide l'unico banchetto.
La bellezza della vita non è tanto l'atto
concreto del mangiare, ma il condividere il mistero che abita nelle nostre
persone in una fraternità dove il Signore è il Signore. Gesù "diventa"
pane e vino perché noi insieme siamo e dobbiamo diventare suo corpo, un unico
pane, un unico calice.
Se noi percepiamo questa meravigliosa certezza,
è chiaro che noi risorgiamo nell'ultimo giorno, ma non intendendo l'ultimo
giorno il momento della morte, perché l'ultimo giorno è una persona, è Gesù, e
quindi in questa convivialità fraterna gustiamo la fraternità beata della
Gerusalemme del cielo.
È il fascino del cammino della fede. La
bellezza del credere è mangiare insieme nel segno sacramentale la comunione con
il cuore di Gesù, leggendo la vita con il suo cuore, interpretando la storia
con la sua mente per potere, nella convivialità, cantare la bellezza della
nostra esistenza, come ci ha suggerito Paolo alla conclusione del testo degli
Efesini di stamattina: Siate ricolmi
dello Spirito, intrattenendovi fra voi con salmi, inni, canti ispirati,
cantando e inneggiando al Signore con il vostro cuore, rendendo continuamente
grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo.
L'Eucarestia è la sinfonia dei credenti che cantano la comunione con il loro
Signore. Di conseguenza l'Eucarestia diventa la più grande professione di fede:
senza Signore non possiamo affatto vivere. Chiediamo allo Spirito Santo che ci
introduca stamattina in questa sapienza e vediamo tutti gesti che noi compiamo,
compreso il cammino per andare ai divini misteri, come un canto di mentalità
cristologica nella quale riponiamo il senso della vita. Quando ci accosteremo a
quel pane e a quel vino avvertiremo la bellezza feconda del credere, in una
fraternità che va al di là del tempo e dello spazio, in una comunione gloriosa che
è la forza per costruire le comunioni di tutti i giorni. Questo sia il mistero
che vogliamo questa mattina condividere e allora è bello credere perché è bello
essere ospiti di Gesù, è bello credere perché diamo ospitalità a Gesù, e in
questa reciproca ospitalità, attorno al banchetto eucaristico, possiamo cantare
quella comunione gloriosa che è l'eternità già incominciata.
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