19 agosto 2018

XX DOMENICA T.O. - ANNO B -


Pr 9,1-6                     Ef 5,15-20                Gv 6,51-58  

OMELIA

L'evangelista Giovanni lentamente ci ha introdotti nel grande mistero della fede e dopo averci stimolati ad essere persone che gustano la presenza creatrice del Cristo nelle nostre persone, oggi ci introduce nel valore della convivialità per una feconda personalizzazione del dono della fede.

La bellezza della fede, che si incarna nella profondità del credere, si ritraduce nella convivialità. È la bella immagine con la quale il libro dei Proverbi ha aperto l'annuncio della parola di Dio questa mattina: la sapienza che invita al banchetto: La sapienza si è costruita la sua casa...A chi è privo di senno ella dice: "Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato". In questa immagine sapienziale scopriamo la voce del Cristo che ci invita alla commensalità con se stesso. La verità e la bellezza del credere è "mangiare e bere" con il Signore. Ma questo linguaggio che questa mattina abbiamo ascoltato dal Vangelo, quale densità di contenuto ci vuole presentare? 

La prima parola che dobbiamo riuscire a comprendere è cosa voglia dire il termine “commensalità”.

Noi qualche volta rimaniamo molto legati a qualcosa di esteriore, com’è la cultura superficiale nella quale noi oggi ci ritroviamo a vivere, ma la commensalità ritraduce una intensa vita interiore: è sostanzialmente il condividere la comune contemplazione del cuore di Cristo, condividendone il mistero di salvezza. Essere chiamati alla convivialità esistenziale con Gesù non è nient'altro che entrare insieme in questo fascino di Gesù che è il corpo e il criterio portante dell'essere insieme.

Usando un'immagine che ci richiama all'ultima cena, la convivialità è l'insieme dei Dodici che contemplano il volto di Cristo e si sentono attratti dalla sua persona; essere nella convivialità sacramentale è gustare il volto del Signore insieme ai fratelli, avendo come criterio di vita l'unico valore dell'esistenza: avere i suoi sentimenti come ce li ha espressi l'evangelista Giovanni introducendo il rito della lavanda dei piedi: avendo amato i suoi che erano nel mondo li amò sino alla fine. È la bellezza del cammino di un credente. La bellezza della vita di un credente è entrare in questa convivialità esistenziale di Gesù vivendone la sapienza di vita.

Il gesto del mangiare e del bere è un segno, non è il valore, a monte della nostra vita di credenti sussiste un'esperienza a cui dobbiamo continuamente richiamarci: l'essere insieme vivendo un unico ideale, avendo un'unica anima: il Cristo, che invita l'umanità intera a condividere le idealità che abitano il suo cuore.

E allora intuiamo che la convivialità è sostanzialmente una professione di fede di coloro che si ritrovano a vivere insieme la mentalità di Gesù. Senza il Signore, senza il suo cuore, senza condividere la bellezza del suo Vangelo non è possibile entrare nella convivialità.

È un mistero questo che noi cogliamo nella vita di Gesù. Riandiamo sempre al versetto centrale del prologo del vangelo di Giovanni: il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi dove “abitare” è ritrovarsi attorno ad un tavolo a condividere l'unico senso della vita.

La bellezza del credere è ritrovarci commensali con Gesù, gustandone in profondità il suo mistero pasquale. Questa convivialità Gesù l'ha ritradotta con le due immagini ripetute - mangiare e bere - dove Gesù utilizzando le due immagini - mangiare e bere – sottolinea il cibo solido e la bevanda liquida: il Signore è il nutrimento di tutto l'uomo. La bellezza del credere è nutrirci continuamente a tale mistero, vivendo questa gestualità di Gesù che si fa "mangiare" e si fa "bere", perché Lui e solo Lui è il senso della vita, è l'autentico nutrimento della nostra umanità di discepoli del suo amore.

Un simile linguaggio ci permette di approfondire cosa voglia dire mangiare e bere e alcuni elementi ci possono aiutare ad entrare nella profondità del discorso di Giovanni.

Innanzitutto il mangiare e il bere eucaristico è la fiducia nel Signore, è la presa di coscienza che Lui è il vero "cuoco" del cibo dell'esistenza. Come nell'ambito umano noi abbiamo fiducia in chi prepara il banchetto, prepara gli alimenti da mangiare, così noi abbiamo fiducia nel Signore, perché Lui non è solo il capotavola, ma Lui "è quel pane e quel vino", è Lui che rinnova la sua presenza in noi dandoci l'ebbrezza della vita. La convivialità è una reciprocità di fiducia. Mangiare è solo un segno, il valore è la fraternità.

La bellezza della convivialità è essere comunione, usando il linguaggio degli Atti degli Apostoli è un'anima sola e un corpo solo perché Gesù, nel mistero del credere, vuole che questo mistero del credere sia l'ebbrezza dell'essere insieme, condividendo la sua mentalità. Quando c'è fraternità il cibo è un linguaggio, non è un valore; quando c'è profondo senso di comunione la bellezza del mangiare insieme non è il mangiare concreto, ma il condividere, nel mangiare, la coscienza che noi apparteniamo al Signore e questa coscienza di appartenere al Signore fa sì che noi possiamo avere la gioia della reciprocità.

E qui entriamo nella bellezza del testamento di Gesù: mangiare insieme a Gesù è vivere la meravigliosa comunione che esiste fra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Mangiare l'unico pane ed accostarci all'unico calice è dire quella comunione trinitaria, che rappresenta il senso portante della vita. Ecco perché Gesù nel cammino della fede ci ha condotti alla convivialità perché se il credere è la sua presenza in noi, la sua presenza in noi diventa fraternità nell'accostarci all'unico pane e all'unico calice. E’ la bellezza della fede! Insieme si crede e poiché insieme si crede, insieme si condivide l'unico banchetto.

La bellezza della vita non è tanto l'atto concreto del mangiare, ma il condividere il mistero che abita nelle nostre persone in una fraternità dove il Signore è il Signore. Gesù "diventa" pane e vino perché noi insieme siamo e dobbiamo diventare suo corpo, un unico pane, un unico calice.

Se noi percepiamo questa meravigliosa certezza, è chiaro che noi risorgiamo nell'ultimo giorno, ma non intendendo l'ultimo giorno il momento della morte, perché l'ultimo giorno è una persona, è Gesù, e quindi in questa convivialità fraterna gustiamo la fraternità beata della Gerusalemme del cielo.

È il fascino del cammino della fede. La bellezza del credere è mangiare insieme nel segno sacramentale la comunione con il cuore di Gesù, leggendo la vita con il suo cuore, interpretando la storia con la sua mente per potere, nella convivialità, cantare la bellezza della nostra esistenza, come ci ha suggerito Paolo alla conclusione del testo degli Efesini di stamattina: Siate ricolmi dello Spirito, intrattenendovi fra voi con salmi, inni, canti ispirati, cantando e inneggiando al Signore con il vostro cuore, rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo. L'Eucarestia è la sinfonia dei credenti che cantano la comunione con il loro Signore. Di conseguenza l'Eucarestia diventa la più grande professione di fede: senza Signore non possiamo affatto vivere. Chiediamo allo Spirito Santo che ci introduca stamattina in questa sapienza e vediamo tutti gesti che noi compiamo, compreso il cammino per andare ai divini misteri, come un canto di mentalità cristologica nella quale riponiamo il senso della vita. Quando ci accosteremo a quel pane e a quel vino avvertiremo la bellezza feconda del credere, in una fraternità che va al di là del tempo e dello spazio, in una comunione gloriosa che è la forza per costruire le comunioni di tutti i giorni. Questo sia il mistero che vogliamo questa mattina condividere e allora è bello credere perché è bello essere ospiti di Gesù, è bello credere perché diamo ospitalità a Gesù, e in questa reciproca ospitalità, attorno al banchetto eucaristico, possiamo cantare quella comunione gloriosa che è l'eternità già incominciata.




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