OMELIA
L'esperienza
della Pasqua ci introduce nella immedesimazione della ricchezza del Risorto
perché il Risorto divenga veramente il senso portante della vita. La Risurrezione
non è semplicemente un avvenimento del passato, ma è un evento, qualcosa in cui
noi “oggi” veniamo coinvolti per dare significato alla nostra esistenza di
discepoli. Lo stile di vita che ci viene regalato dal Cristo e che noi siamo
chiamati a costruire ogni giorno dovrebbe aiutarci a fare l'esperienza del Risorto.
Infatti Gesù ci appare nella fede e nel sacramento per inviarci, ci trasfigura
nell'incontro con se stesso e con il suo mistero, perché possiamo annunciare
agli uomini quel mondo nuovo di cui ha parlato l'Apocalisse: i tempi messianici
della radicale novità del mondo intero.
Nella Risurrezione
siamo creature nuove per far nuovo il mondo, solo così noi possiamo veramente
fare l'esperienza del Risorto. E’ il vissuto la scuola quotidiana per prendere
coscienza che siamo veramente risorti con Cristo e nascosti in Lui. Davanti a
questa grande missione tuttavia, l'uomo storico, che è ognuno di noi, si
scontra inevitabilmente con i propri limiti e nasce veramente l’interrogativo quotidiano
per il nostro credere: possiamo dare alla luce un mondo nuovo, nonostante le
nostre povertà?
Noi stesse
spesse volte nel confronto con il Cristo siamo persone che si pongono l'una
accanto all'altra: noi con accanto Gesù; ma se entriamo nel mistero della
rivelazione noi ci accorgiamo che questo non è lo schema di Gesù. Attraverso la
parola che abbiamo ascoltato questa mattina, scopriamo che Lui è in noi ed è in
noi sommamente attivo. La coscienza che Egli è in noi costituisce la forza per
poter veramente costruire un mondo nuovo. In Lui, il grande protagonista della
nostra vita, noi possiamo operare secondo lo stile della sua vita interiore.
Infatti la parola che abbiamo ascoltata è molto significativa: Le mie pecore ascoltano la mia voce. Quell'aggettivo
possessivo mie ritraduce la verità
dell'esperienza della nostra vita perché in quelle mie pecore, in quell'aggettivo, noi scopriamo che in Dio-Padre
siamo creati, in Dio-Figlio siamo rinnovati, in Dio-Spirito Santo siamo la
vitalità in atto.
La nostra
esistenza è tutta nelle mani di Dio. Non per niente il brano evangelico ha
utilizzato l'immagine delle mani, le mani del Figlio, le mani del Padre. Anzi
Gesù ci ha detto che le pecore sono un regalo del Padre: Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può
strapparle dalla mano del Padre. Davanti alle grandi problematiche che
emergono nella nostra esistenza noi dovremmo intuire che siamo continuamente,
istante per istante, ricreati dalle tre Persone divine. I primi interessati a
che noi costruiamo in modo autentico la nostra esistenza sono il Padre il Figlio
e lo Spirito Santo. Anzi, il bel testo dell'Apocalisse ce l'ha ulteriormente
rivelato, noi siamo quelli che vengono
dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro mani, rendendole candide
con il sangue dell'Agnello.
Se noi istintivamente
siamo portati ad analizzare i nostri limiti, in modo più o meno consapevole essi
ci portano a uno stato depressivo. Dall'altra parte, tuttavia, nell'ordine
della fede noi scopriamo che siamo pura gratuità divina. Un'espressione che
tante volte ci siamo ripetuti ci fa sempre prendere coscienza di tale
meraviglioso evento: siamo capolavori di Dio!
Sullo
sfondo della nostra storicità tante volte debole e fragile, dobbiamo sempre
prendere consapevolezza che la nostra esistenza è l'oggi della creatività
trinitaria. Dovremmo passare da una semplice lettura storica, dove noi siamo
costellati tante volte da fallimenti o da delusioni relazionali alla visione
della nostra esistenza che abita e vive nella pienezza di Dio. Ognuno di noi
nel cammino della sua storia è la pienezza di Dio!
E quando
noi entriamo in questo mistero si realizza quello che Gesù ha detto: Le mie pecore ascoltano la mia voce! Ma
il problema: cosa vuol dire ascoltare la
voce? Noi dovremmo fare una grossa distinzione tra “udire” e “ascoltare”.
L'udire è percepire tante informazioni che sono utili nelle situazioni storiche
o nelle curiosità umane, che possono costituire oggetto di tante distruzioni
esistenziali, ma la parola ascoltare
è molto più profonda. Gesù ha detto: Ascoltano
la mia voce! cioè vivono in forza di questa meravigliosa azione creatrice:
abitare nell'intimità con il Maestro; l'ascolto presuppone una relazionalità di
intimità. Dove non c'è profonda intimità, si odono le parole, ma non si
ascoltano le persone, perché l'ascolto è nient'altro che un riverbero interiore
di una comunicazione che è data dalle parole, dalla gestualità e dai silenzi,
perché l’ascoltare è proprio di colui che penetra nell'altro e dall'altro si
lascia penetrare. Quando c'è questa reciprocità di ascolto c'è il coraggio
della vita: ci proiettiamo nel sogno di Dio. Ascoltarsi è il linguaggio
dell'autentica reciprocità perché in quel momento si percepisce l'altro come la
gratuità che s'incontra con la nostra radicale attenzione. Gesù allora, davanti
alla missione che vuol regalarci d'essere diffusori di un mondo nuovo, ci dice
di non avere paura, anche se la cultura odierna è ricca di paure. L'uomo, che
ha scelto come maestro Gesù Cristo, la sua persona come il criterio della vita,
sa di appartenergli. E poiché chi ci ha rivestito delle vesti candide è colui
che continuamente ci regala la sua vita e ci sorregge, dobbiamo sempre
camminare in tanta speranza. È vero che il testo dell'Apocalisse ha una sfaccettatura
ancora più profonda perché lavare le vesti nel sangue dell'Agnello vuol dire
essere e crescere nella grande tribolazione storica. La coscienza che siamo
tutti nelle mani di Dio non toglie la problematica del quotidiano con tutti gli
interrogativi che esso pone, ma la convinzione più profonda di essere in questo
respiro divino, in questa vitalità esistenziale del Padre del Figlio e dello Spirito
Santo ci dà la certezza che noi non
saremo mai abbandonati! È la bellezza della speranza di Gesù che ci si
regala continuamente. Il nostro impegno è molto intenso: diffondiamo nel
quotidiano una gioia che abita in noi, ma che non è nostra; diffondiamo la
gioia che è Dio Padre Figlio e Spirito inabitante e operante in ciascuno di
noi.
Ecco perché
questa mattina ci siamo ritrovati a celebrare i divini misteri: per crescere nella coscienza che siamo suoi.
È la bellezza della nostra quotidianità. Il Signore qui presente ci avvolge con
la sua presenza, parla alla nostra intimità se siamo uomini di silenzi e ricchi
d'amore per offrirci poi quella sua presenza trasfigurante che è il suo corpo e
il suo sangue nel segno del pane e del vino. Quando noi facciamo questa
esperienza di assoluta gratuità che investe la nostra esistenza, non può non
nascere il coraggio e l'entusiasmo, il coraggio di Paolo espresso nel brano
degli Atti che abbiamo ascoltato: l'entusiasmo di dire “Gesù!” al di là di
tutte le conflittualità presenti nelle situazioni storiche che fanno soffocare
la bellezza di questo mistero.
Questa
mattina siamo qui per rinfrancarci in questa convinzione. Allora il vissuto con
tutte le sue problematicità diventa il luogo per crescere nella coscienza che
siamo umano-divini perché la potenza del divino dia il coraggio all'umano per
regalare alle genti la speranza del feriale. Questa sia la forza che vogliamo
vivere e condividere in questa Eucaristia. Quando ci sentiamo un po'
scoraggiati facciamo nostra l'interiorità del salmista Alzo gli occhi verso il monte: da dove mi verrà l'aiuto? Il mio aiuto
viene dal Signore che ha fatto cielo e terra.
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