05 maggio 2019

III DOMENICA DI PASQUA (ANNO C)


At 5,27-32.40-41               Ap 5,11-14               Gv 21,1-19

OMELIA

La centralità di Cristo risorto nella vita del cristiano è la luce che lo illumina continuamente e questo grande mistero è il senso della vita dell’intera umanità. E’ molto bello come nell'immagine che abbiamo ascoltata dal Vangelo c'è quella rete contenente 153 grossi pesci, quella rete che nonostante la gran quantità di pesci non si rompe e che in quel numero, 153, è espressa l'intera umanità che è raccolta nella gratuità di Dio: qui la chiesa è chiamata a condividere con il mondo intero la bellezza e la fecondità della risurrezione.

Nella struttura del vangelo Gesù appare ai discepoli per mandarli nel mondo intero.

Gesù appare per sottolineare che la Chiesa deve essere feconda nello stile del Vangelo. Gesù appare per dire all'umanità che non esiste creatura che non sia nella "rete" perché tutti gli uomini sono chiamati a entrare nella comunione di vita con il Risorto. L'immagine della Chiesa che appare dal Vangelo di questa mattina è la barca che sul mare, che rappresenta il mondo, sta camminando nel tempo e nello spazio.

L'attenzione a ciò che l'evangelista ci offre all'inizio del brano evangelico è questa barca, che è il mistero della Chiesa, chiamato a dire all'umanità che in Cristo Gesù c'è la sua risurrezione. Ma è interessante entrare nel mistero che avviene su quella barca e di riflesso nel dialogo che l'evangelista Giovanni costruisce tra Gesù e i sette discepoli.

Innanzitutto il primo elemento è che i discepoli sulla barca sono sette, e il numero sette dice una pienezza storica. E’ la Chiesa che nella storia ha la vocazione di regalare il Risorto all'umanità, la Chiesa nel tempo ha la vocazione di dire agli uomini che Gesù è risorto, che in lui è nata la nuova umanità e che in lui ogni umana creatura ritrova il senso e il gusto della vita.

Ma come questa barca, questa chiesa, può essere feconda? E allora il dialogo tra Gesù e i discepoli è estremamente significativo: i discepoli da soli non pescano nulla. Una Chiesa che nel cammino, nel tempo e nello spazio fosse autoreferenziale non seminerà nulla di salvifico. Per poter passare alla fecondità c'è il mistero dell'obbedienza e a questo punto Gesù dice di calare le reti e i discepoli obbediscono. Da questa obbedienza scaturisce quella fecondità inesauribile!

Ma cos'è questa obbedienza che la Chiesa deve vivere? Cos'è quest'obbedienza nella quale ogni uomo ritrova se stesso? Qual è quell'obbedienza che diventa contemplazione condivisa del Risorto? L'obbedienza è innanzitutto l'atteggiamento di Gesù. La Chiesa è il luogo in cui abita il Risorto, è la bellezza dell'abitare e del condividere il mistero. Quando l'evangelista Giovanni nel brano fa quell'affermazione Il Verbo si fece carne venne ad abitare in mezzo a noi e noi vedemmo la sua gloria, in quel momento, noi siamo introdotti nell'intimità di Gesù che è obbedienza al Padre. Potremmo dire che il racconto della pesca miracolosa è nient'altro che la attualizzazione dell'allegoria vite-tralci. Senza di me non potete fare nulla! Io in voi e voi in me.

Nell'esperienza del cristiano, quindi della Chiesa, c'è una circolarità nella quale noi viviamo l'interiorità di Gesù e abbiamo come criterio il compiere le opere del Padre perché Gesù ha salvato gli uomini obbedendo al Padre. E’ molto bella l'immagine della vite e dei tralci, del vignaiolo, che incarnano l'opera del Padre, la fecondità del Cristo e la bellezza del tralcio. La bellezza della vite è l'obbedienza al vignaiolo, all'agricoltore; il Cristo nel cammino della sua vita ha regalato agli uomini la bellezza della vita unicamente mediante la docilità alla volontà del Padre, ma cos'è fare la volontà del Padre se non vivere intensamente l'intimità con il Padre? Dove non c'è intimità non c'è obbedienza!

E’ una verità questa che nel cammino della Chiesa dovrebbe continuamente essere presente. La Chiesa nel suo cammino storico è chiamata a vivere l'intimità Padre e Figlio per gustare la risurrezione. L'obbedienza di Gesù al Padre è il principio della risurrezione, l'obbedienza dei discepoli al Cristo è il principio e la fonte della missione. Una simile situazione l'abbiamo ascoltata molto bene nel discorso di Pietro e degli Undici: "Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini...e di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a quelli che gli obbediscono." In queste espressioni intuiamo che l'obbedienza diventa la gratitudine e la gioia di essere stati raggiunti continuamente da un amore che è più grande di noi stessi. Obbedire è la gratitudine d'essere tutta grazia. In questo la Chiesa può annunciare il Risorto perché la comunità credente condivide continuamente la mentalità di Gesù, dove il Risorto è il grande protagonista.

Se questo primo elemento ci risulta chiaro, noi resteremo sempre vuoti spiritualmente quando saremo autoreferenziali nel costruire la nostra esistenza, ma potremo annunciare la bellezza della risurrezione vivendo l'intimità obbediente di Gesù. E sappiamo che l'obbedienza, nell'intimità, è spontanea perché dove c'è intimità, c'è la dolcezza della vita, c'è il coraggio dell'impossibile, c'è la forza di dire agli uomini qualcosa che al di là della gioia degli uomini, e a questi discepoli Gesù fa il grande regalo: il mistero eucaristico!

Cosa vuol comunicarci l'evangelista Giovanni in quel linguaggio narrativo, dove Gesù prepara il fuoco e il cibo per i discepoli? Egli, in questo fuoco dove cuoce pane e pesci, aggiunge anche parte dei pesci provenienti dalla pesca miracolosa perché tutti gli uomini condividano la fecondità del dono della salvezza. L'uomo, quindi la Chiesa, ritrova veramente la bellezza e l'esuberanza della risurrezione se non quando Cristo celebra l'eucaristia. Quel Cristo, dicevamo domenica scorsa, è qui presente e si regala, e in quel pane e in quel vino è lui presente, è lui il cuoco dell'Eucaristia! Quando noi entriamo in questa visione, ci accorgiamo che la Chiesa non è quella che dà tanti ordini, "offre cose" che realizzano le dimensioni strutturali, storiche e relative allo spazio e al tempo, ma è una comunione nell'obbedienza a Gesù e di Gesù. In quel volere attingere a Gesù la sorgente della vita si rivela la fecondità del quotidiano. La testimonianza diventa allora il traboccare spontaneo di una pienezza che nasce dalla dimensione relazionale affettiva che esiste tra il Cristo e i suoi discepoli. Il dialogo tra Gesù e Pietro ne è l'espressione.

A noi questa mattina il Signore, chiamandoci a sé in questa Eucaristia, ci vuol dire “Ricordati che la gioia di vedere il Risorto è una gioia che deve contaminare tutti quelli che continuamente ti sono accanto perché ogni dono di Dio è da regalare, ogni condiscendenza divina è per gustare la bellezza della Chiesa, è essere comunione, che in Cristo è obbediente al Padre”.

Quando noi tra poco guidati dallo Spirito Santo ci accosteremo alla divina Eucaristia, nei doni del pane e del vino ci accosteremo all'obbedienza di Gesù; l’Eucaristia è l'obbedienza di Gesù al Padre condivisa tra di noi. Ecco perché il cristiano quando entra nella bellezza della sua vita deve ritrovare questa comunione Padre-Figlio che nell'Eucaristia ha la sua meravigliosa manifestazione.

Non esistono nella Chiesa “individui”, esiste nella Chiesa “la persona”, la relazione che è il Cristo, è persona con il Padre e allora l'obbedienza è crescere nella gioia di essere persone che regalano la fecondità della vita a chiunque la provvidenza faccia loro incontrare.

E allora chiediamo allo Spirito Santo che, nel momento in cui ci accosteremo all’Eucaristia, possiamo essere e divenire sempre più quei tralci che si accostano alla vite, una vite potata dal Padre per far sì che la nostra vita sia una vita come dall'eternità il Padre ci ha pensato in Cristo Gesù, e noi possiamo fare, nelle grandi e piccole azioni quotidiane, dei sacramenti che regalano la grandezza di Dio: Ecco la Chiesa… il resto è culturale.

Allora camminiamo in questa visione ricchi di forza e di speranza perché Gesù rivolgendosi anche a noi dica: Mi ami più di costoro? e noi gli diciamo: Ti voglio bene, perché l'amore di Dio è superiore al quel ti voglio bene nella nostra povertà regalata alla fonte della nostra vita.




-

Nessun commento:

Posta un commento