At 5,27-32.40-41 Ap 5,11-14 Gv 21,1-19
OMELIA
La
centralità di Cristo risorto nella vita del cristiano è la luce che lo illumina
continuamente e questo grande mistero è il senso della vita dell’intera
umanità. E’ molto bello come nell'immagine che abbiamo ascoltata dal Vangelo
c'è quella rete contenente 153 grossi pesci, quella rete che nonostante la gran
quantità di pesci non si rompe e che in quel numero, 153, è espressa l'intera
umanità che è raccolta nella gratuità di Dio: qui la chiesa è chiamata a
condividere con il mondo intero la bellezza e la fecondità della risurrezione.
Nella
struttura del vangelo Gesù appare ai discepoli per mandarli nel mondo intero.
Gesù appare
per sottolineare che la Chiesa deve essere feconda nello stile del Vangelo.
Gesù appare per dire all'umanità che non esiste creatura che non sia nella "rete"
perché tutti gli uomini sono chiamati a entrare nella comunione di vita con il
Risorto. L'immagine della Chiesa che appare dal Vangelo di questa mattina è la
barca che sul mare, che rappresenta il mondo, sta camminando nel tempo e nello
spazio.
L'attenzione
a ciò che l'evangelista ci offre all'inizio del brano evangelico è questa barca,
che è il mistero della Chiesa, chiamato a dire all'umanità che in Cristo Gesù
c'è la sua risurrezione. Ma è interessante entrare nel mistero che avviene su
quella barca e di riflesso nel dialogo che l'evangelista Giovanni costruisce
tra Gesù e i sette discepoli.
Innanzitutto
il primo elemento è che i discepoli sulla barca sono sette, e il numero sette
dice una pienezza storica. E’ la Chiesa che nella storia ha la vocazione di
regalare il Risorto all'umanità, la Chiesa nel tempo ha la vocazione di dire agli
uomini che Gesù è risorto, che in lui è nata la nuova umanità e che in lui ogni
umana creatura ritrova il senso e il gusto della vita.
Ma come
questa barca, questa chiesa, può essere feconda? E allora il dialogo tra Gesù e
i discepoli è estremamente significativo: i discepoli da soli non pescano
nulla. Una Chiesa che nel cammino, nel tempo e nello spazio fosse
autoreferenziale non seminerà nulla di salvifico. Per poter passare alla
fecondità c'è il mistero dell'obbedienza e a questo punto Gesù dice di calare le reti e i discepoli
obbediscono. Da questa obbedienza scaturisce quella fecondità inesauribile!
Ma cos'è
questa obbedienza che la Chiesa deve vivere? Cos'è quest'obbedienza nella quale
ogni uomo ritrova se stesso? Qual è quell'obbedienza che diventa contemplazione
condivisa del Risorto? L'obbedienza è innanzitutto l'atteggiamento di Gesù. La
Chiesa è il luogo in cui abita il Risorto, è la bellezza dell'abitare e del
condividere il mistero. Quando l'evangelista Giovanni nel brano fa
quell'affermazione Il Verbo si fece
carne venne ad abitare in mezzo a noi e noi vedemmo la sua gloria, in quel
momento, noi siamo introdotti nell'intimità di Gesù che è obbedienza al Padre.
Potremmo dire che il racconto della pesca miracolosa è nient'altro che la
attualizzazione dell'allegoria vite-tralci. Senza di me non potete fare nulla! Io in voi e voi in me.
Nell'esperienza
del cristiano, quindi della Chiesa, c'è una circolarità nella quale noi viviamo
l'interiorità di Gesù e abbiamo come criterio il compiere le opere del Padre perché Gesù ha salvato gli uomini
obbedendo al Padre. E’ molto bella l'immagine della vite e dei tralci, del vignaiolo,
che incarnano l'opera del Padre, la fecondità del Cristo e la bellezza del
tralcio. La bellezza della vite è l'obbedienza al vignaiolo, all'agricoltore;
il Cristo nel cammino della sua vita ha regalato agli uomini la bellezza della
vita unicamente mediante la docilità alla volontà del Padre, ma cos'è fare la
volontà del Padre se non vivere intensamente l'intimità con il Padre? Dove non
c'è intimità non c'è obbedienza!
E’ una
verità questa che nel cammino della Chiesa dovrebbe continuamente essere
presente. La Chiesa nel suo cammino storico è chiamata a vivere l'intimità Padre
e Figlio per gustare la risurrezione. L'obbedienza di Gesù al Padre è il
principio della risurrezione, l'obbedienza dei discepoli al Cristo è il
principio e la fonte della missione. Una simile situazione l'abbiamo ascoltata
molto bene nel discorso di Pietro e degli Undici: "Bisogna obbedire a Dio invece
che agli uomini...e di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che
Dio ha dato a quelli che gli obbediscono." In queste espressioni
intuiamo che l'obbedienza diventa la gratitudine e la gioia di essere stati raggiunti
continuamente da un amore che è più grande di noi stessi. Obbedire è la
gratitudine d'essere tutta grazia. In questo la Chiesa può annunciare il Risorto
perché la comunità credente condivide continuamente la mentalità di Gesù, dove
il Risorto è il grande protagonista.
Se questo
primo elemento ci risulta chiaro, noi resteremo sempre vuoti spiritualmente
quando saremo autoreferenziali nel costruire la nostra esistenza, ma potremo
annunciare la bellezza della risurrezione vivendo l'intimità obbediente di
Gesù. E sappiamo che l'obbedienza, nell'intimità, è spontanea perché dove c'è
intimità, c'è la dolcezza della vita, c'è il coraggio dell'impossibile, c'è la
forza di dire agli uomini qualcosa che al di là della gioia degli uomini, e a
questi discepoli Gesù fa il grande regalo: il mistero eucaristico!
Cosa vuol
comunicarci l'evangelista Giovanni in quel linguaggio narrativo, dove Gesù prepara
il fuoco e il cibo per i discepoli? Egli, in questo fuoco dove cuoce pane e
pesci, aggiunge anche parte dei pesci provenienti dalla pesca miracolosa perché
tutti gli uomini condividano la fecondità del dono della salvezza. L'uomo,
quindi la Chiesa, ritrova veramente la bellezza e l'esuberanza della risurrezione
se non quando Cristo celebra l'eucaristia. Quel Cristo, dicevamo domenica
scorsa, è qui presente e si regala, e in quel pane e in quel vino è lui
presente, è lui il cuoco dell'Eucaristia!
Quando noi entriamo in questa visione, ci accorgiamo che la Chiesa non è quella
che dà tanti ordini, "offre cose" che realizzano le dimensioni
strutturali, storiche e relative allo spazio e al tempo, ma è una comunione
nell'obbedienza a Gesù e di Gesù. In quel volere attingere a Gesù la sorgente
della vita si rivela la fecondità del quotidiano. La testimonianza diventa
allora il traboccare spontaneo di una pienezza che nasce dalla dimensione
relazionale affettiva che esiste tra il Cristo e i suoi discepoli. Il dialogo
tra Gesù e Pietro ne è l'espressione.
A noi
questa mattina il Signore, chiamandoci a sé in questa Eucaristia, ci vuol dire “Ricordati che la gioia di vedere il Risorto
è una gioia che deve contaminare tutti quelli che continuamente ti sono accanto
perché ogni dono di Dio è da regalare, ogni condiscendenza divina è per gustare
la bellezza della Chiesa, è essere comunione, che in Cristo è obbediente al Padre”.
Quando noi
tra poco guidati dallo Spirito Santo ci accosteremo alla divina Eucaristia, nei
doni del pane e del vino ci accosteremo all'obbedienza di Gesù; l’Eucaristia è
l'obbedienza di Gesù al Padre condivisa tra di noi. Ecco perché il cristiano
quando entra nella bellezza della sua vita deve ritrovare questa comunione Padre-Figlio
che nell'Eucaristia ha la sua meravigliosa manifestazione.
Non
esistono nella Chiesa “individui”, esiste nella Chiesa “la persona”, la
relazione che è il Cristo, è persona con il Padre e allora l'obbedienza è
crescere nella gioia di essere persone che regalano la fecondità della vita a
chiunque la provvidenza faccia loro incontrare.
E allora
chiediamo allo Spirito Santo che, nel momento in cui ci accosteremo all’Eucaristia,
possiamo essere e divenire sempre più quei tralci che si accostano alla vite, una
vite potata dal Padre per far sì che la nostra vita sia una vita come
dall'eternità il Padre ci ha pensato in Cristo Gesù, e noi possiamo fare, nelle
grandi e piccole azioni quotidiane, dei sacramenti che regalano la grandezza di
Dio: Ecco la Chiesa… il resto è culturale.
Allora
camminiamo in questa visione ricchi di forza e di speranza perché Gesù rivolgendosi
anche a noi dica: Mi ami più di costoro?
e noi gli diciamo: Ti voglio bene, perché l'amore di Dio è superiore al quel ti voglio bene nella nostra povertà
regalata alla fonte della nostra vita.
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