02 novembre 2019

COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI (ANNO C)


Gb 19,1.23-27                    Rm 5,5-11                Gv 6,37-40

OMELIA

Ritrovarci nella celebrazione eucaristica, dopo aver contemplato la liturgia della Gerusalemme Celeste, vuol dire dare una particolare luminosità alla celebrazione di oggi, che ci pone nella condizione di ricordare i nostri fratelli defunti. E tutto questo accogliendo la Parola che le scritture questa mattina ci hanno offerto, perché la bellezza della nostra vita sia la risurrezione.  La celebrazione della festa dei santi ci ha dato la comunione con coloro che sono nella gloria. Il ricordo dei defunti diventa uno stimolo per costruire oggi la nostra esistenza e la Parola che abbiamo ascoltata mette in luce tre possibili elementi che ci ricolmano di grande forza e speranza.

Innanzitutto la frase di Gesù, che ha detto che noi siamo stati regalati al Figlio da parte del Padre. “Tutto ciò che il Padre mi dà verrà a me”. La nostra esistenza è tutta nel mistero di Gesù, perché noi abitiamo in Gesù e Gesù abita in noi e in noi abita colui, lo ha detto molto bene l'apostolo Paolo, che ha dato la sua vita per noi peccatori. Guardiamo attentamente la figura di Gesù. Lui ci accoglie dal Padre come regalo, egli in noi custodisce il mistero della sua vita e la sua vita è risurrezione. Gesù, che è in noi è il Risorto, ci regala la sua passione. E’ il Risorto, che ci introduce nel mistero della sua novità di vita. Il Signore risorto è l'anima della nostra anima. Ecco perché Gesù ha detto: “Io sono venuto a compiere la volontà del Padre”. Questa volontà del Padre è portare l'umanità a contemplare il volto di Dio per tutta l'eternità. L'immagine che noi potremmo ritrovare in questa prima visione è che il Padre si regala al Figlio e il Figlio ci accoglie e ci costruisce riportandoci al Padre. E’ la bellezza della nostra vita. Il morire non è nient'altro che realizzare la profondità e la bellezza della vita e contemplare eternamente il volto del Padre.

Questa verità noi la viviamo ogni giorno perché il Risorto è dentro di noi e quindi, poiché il risorto è dentro di noi, egli ci regala continuamente la bellezza della sua persona e la sua persona è leggere tutta la nostra esistenza come un pregustare, nel desiderio, la gloria della vita. Il Signore in noi ci fa desiderare la luce eterna: “Come una cerva anela ai corsi d'acqua, così la mia anima anela te o Dio”. La vita è il desiderare, attraverso lo scorrere dei fatti quotidiani, la visione gloriosa del Paradiso. Spesse volte nasce nell'uomo la domanda: “Cosa vuol dire vivere? Qual è il senso del vivere?”.  Oggi si dice che chi banalizza la morte banalizza la vita. La morte è la pienezza di una vita di desiderio che brama l’appagamento. Quando nella Santissima Trinità siamo stati concepiti, quando nella Santissima Trinità siamo stati rigenerati dall'acqua e dallo Spirito, da quel momento il desiderio più profondo presente nel nostro spirito è desiderare intensamente il volto del Padre. Cosa vuol dire contemplare il Figlio desiderando il volto del Padre? Il desiderio è la capacità dell'uomo di trascendere le cose contingenti e porsi in un orizzonte in cui ogni desiderio viene accolto. La bellezza della vita è questo orientamento: Gesù in noi che vuole ricondurci al Padre.

Ecco perché Gesù ha detto: “Chiunque vede il Figlio e crede in lui ha la vita eterna”, perché oggi noi stiamo risorgendo, perché l'ultimo giorno non è la morte, l'ultimo giorno è Gesù, Gesù è l’ultimo giorno, quindi oggi noi stiamo risorgendo. Infatti, al di là dei condizionamenti psicologici che inevitabilmente il morire comporta, a livello interiore la bellezza della nostra vita è Dio, che si fa desiderare in noi, per cui, nel momento in cui moriremo, il desiderio del Padre di portarci nella sua gloria si realizzerà. Ogni giorno siamo nell'ultimo giorno. Ogni giorno è il Risorto in noi che ci trasfigura e ci colloca in una condizione di eternità beata. Noi moriremo, perché i nostri occhi sono incapaci di vedere la gloria di Dio. Allora avremo un trapianto oculistico: dagli occhi di terra agli occhi della visione celeste.  In quel momento il nostro cuore di carne entrerà nel cuore della Trinità e la morte sarà andare al di là del limite, in un orizzonte che avvolgerà eternamente la nostra vita, in una luce che non conosce tramonto.

Ma tutto questo si realizza veramente quando noi celebriamo l'Eucaristia. L'Eucaristia è il gusto dell'eternità. Noi qualche volta dimentichiamo che il luogo per eccellenza in cui noi gustiamo la presenza dei defunti è il mistero eucaristico. Al cimitero ci sono le reliquie dei morti, nell'Eucaristia non esistono i morti, esistono solo i viventi. Sono persone che nella nostra vita ci dicono: “Come è bello contemplare eternamente il Padre!”. L'Eucaristia è la presenza dei nostri defunti, che sono qui.  E’ molto bello come, nella liturgia di San Giovanni Crisostomo, il Santo non sia cantato solo dagli angeli, ma dai santi e anche dai defunti, perché i defunti sono nella gloria. E’ una verità questa che noi cogliamo molto bene nell'Eucaristia, soprattutto se vediamo le tradizioni più antiche della chiesa, dove ogni morire era una benedizione. E’ molto bello come Tertulliano, questo autore del secondo secolo, diceva: “Il nostro piangere davanti a un morto è sempre sommesso, perché noi stiamo gustando un'eternità”. Sono le lacrime di una storia, ma sono un cuore illuminato dall’eterno. Per cui la bellezza dell'Eucaristia è mangiare con i nostri defunti. Dovremmo qualche volta fare appello un po’ alla fantasia. Noi andiamo all'Eucaristia tutti i giorni e passiamo al corpo e al sangue del Signore sacramentalmente. I nostri morti stanno mangiando la gloria di Dio e ci dicono: “Vi stiamo aspettando”, in una meravigliosa comunione tra cielo e terra, che ci dà tanta forza e tanta speranza. Il linguaggio dei segni liturgici è un po' il linguaggio della vita, la bellezza dell'atto liturgico vero è il pianto, è la luminosità del paradiso, per cui quando noi celebriamo la dipartita di un fratello, lui sta già vedendo la gloria di Dio, che noi ancora desideriamo.

Ecco perché ci ritroviamo nell'Eucaristia, perché la presenza di Gesù in noi glorioso, che ci rende partecipi ogni giorno della sua morte, e nella nostra morte realizza il principio del Padre di portarci in Paradiso, nell'Eucaristia è sempre una realtà viva e vitale. E allora non abbiamo la tristezza! Tra i mosaici delle catacombe, c'è un altare con un mosaico che rappresenta il prete che fa bere il calice ad una persona chiamata Irene (così diceva il mosaico Irene, bevi!), in una meravigliosa comunione per cui i morti ci dicono: “Vivi con coraggio per gustare in pienezza la gloria del cielo”. Quasi quasi vien voglia di dire in modo paradossale, ma estremamente vero, quando un fratello muore: “Come sei fortunato, stai già vedendo quello che io devo ancora aspettare!”. E allora entriamo in questa esperienza che la festa dei defunti ci offre nella prospettiva della gloria del cielo, perché se noi entreremo in questa meravigliosa esperienza potremo veramente camminare in novità di vita. Perciò durante l'eucarestia viviamo con i nostri morti, vediamoli attorno all'altare e vorrei concludere con la testimonianza che ci dà Agostino quando muore sua madre. Agostino e il fratello si ponevano la domanda: “Dobbiamo portare la mamma in Africa, per farla morire nella sua patria?”. La mamma, sentendo questi discorsi di Agostino e del fratello, disse: “Dove porterete il mio corpo a me non interessa, l'importante è che mi ricordiate sempre attorno all'altare del Signore. Lì vivrete la vera comunione”. Allora, quando siamo a messa, vediamo i nostri morti attorno all'altare, perché non esistono i morti, esistono solo i viventi. In questa danza tra cielo e terra respireremo quella eternità beata che è la bellezza della fede. Gesù ha detto: “Io non ho perso nessuno di quelli che tu mi hai dato”. Sarebbe bello che si realizzasse in questo momento, ma il Signore sa che siamo nelle sue mani e nelle sue mani siamo già in cammino verso l'eternità, che è la gioia, la bellezza, la speranza della nostra vita.




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