Ap 7,2-4.9-14 1Gv 3,1-3 Mt 5,1-12
OMELIA
La vocazione a riscoprire
la nostra identità si evidenzia in modo veramente luminoso nella festa odierna,
nella quale celebriamo la realizzazione di ogni creatura umana.
Nella solennità di tutti i
Santi l'uomo, davanti all'interrogativo circa la sua identità, trova la
risposta: in Cristo Gesù si ritrova figlio nel Figlio, Santo nel Santo. È la
realizzazione della nostra vocazione battesimale. Celebrare la solennità di
tutti i Santi è cantare la nostra identità d'essere figli nel Figlio, santi nel
Santo. Infatti, se vogliamo intravedere il senso della nostra esistenza, il
testo che abbiamo ascoltato poc'anzi dalla prima di Giovanni ce lo dice in modo
molto chiaro: in lui siamo figli, perché la bellezza della nostra esistenza è
essere generati da Dio. Ecco perché il cristiano, nel cammino della sua storia,
nonostante le difficoltà concrete, ritrova la sua identità in Gesù. Gesù è generato
dal Padre e noi, in Gesù, siamo generati eternamente dal Padre. Allora intuiamo
come la nostra esistenza appartenga fondamentalmente al mistero trinitario. Non
per niente è bello riandare sempre alla professione di fede di Pietro, alla
fine del discorso sul pane della vita: “Signore
da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi sappiamo e crediamo che tu
sei il santo di Dio”. Il cristiano appartiene alla Santissima Trinità, è il
mistero che noi siamo chiamati a ritrovare continuamente: noi siamo sacramenti
della Trinità perché apparteniamo alla Trinità. Ecco perché noi nel Figlio
siamo santi: siamo della Trinità, nati dal Padre, attraverso il Figlio, nella
generazione dello Spirito, perché nello Spirito diventiamo sempre più Cristo,
attraverso la contemplazione eterna del Padre. Il cristiano, quando vuol
ritrovare se stesso, deve entrare in questa visione. La nostra esistenza è una continua
sintesi tra eternità e storia, tra quell'essere rivestiti di vesti candide,
come ci dice l'Apocalisse, e la povertà del nostro cammino di peccatori. Ma
dobbiamo sempre evidenziare il positivo, siamo stati rivestiti delle vesti
candide, pur nel cammino della nostra povertà, e questo lo scopriamo attraverso
due componenti che dovrebbero costituire il criterio della nostra vita.
Innanzitutto siamo
chiamati a riscoprire la nostra identità come battezzati che, nell'eucarestia,
dicono la gioia di esistere. Il battezzato è il sacramento della reale presenza
delle tre Persone divine e respira, nel cammino dell'esistenza, questa vita trinitaria.
“Le vesti candide” ci danno l'idea dello Spirito. “Lavare le vesti nel sangue
dell'Agnello” ci richiama a vivere in modo attuale la personalità di Gesù,
nella certezza che la nostra vita è una lode continua al Padre, come fanno i
144.000 davanti a Dio e all'Agnello. Quindi il cristiano, quando sente la
parola “santità”, sente la parola che sottolinea la sua identità: essere il
luogo della creatività delle tre Persone divine. Se entrassimo in questa
visione, noi supereremmo le solitudini dell'uomo storico. Ci ritroveremmo
sacramento del Padre, del Figlio e dello Spirito che, dialogando tra di loro,
stanno continuamente incarnando in noi il senso della nostra vita. Il cristiano
è un capolavoro che tante volte, a causa del correre, dimentica se stesso. È
l'uomo che, cercando di camminare in tanti strutturalismi ecclesiastici e umani
e dimenticando la bellezza feconda della vita divina e delle relazioni fraterne,
ha perso la passione per la propria identità.
Un simile percorso
esistenziale ci conduce a vedere il secondo aspetto della nostra vocazione alla
santità, che si costruisce nella ordinarietà della vita. L'uomo è se stesso
nelle realtà di tutti giorni. Qualche volta, quando sentiamo la parola santità,
pensiamo a chissà quale atmosfera speciale, mentre la santità è l’ordinarietà.
Siamo battezzati per vivere l'ordinarietà, di conseguenza tutto ciò che noi
facciamo nella storia è sviluppo di santità. Se noi per un momento pensassimo
in modo profondo alla nostra identità, ci accorgeremmo che le nostre azioni
sono l'incarnazione della persona di Gesù. Anche la cosa più semplice, che può
essere la vita ordinaria in una casa, è l'incarnazione dell'azione del Figlio.
Ogni azione è incarnazione del mistero del Figlio, il quale incarna in noi
l'oggi misterioso del Padre. Amare la propria storicità, anche nella sua
monotonia esistenziale, è vivere l'oggi del Padre nel mistero di Cristo Gesù. E
tutto questo per la fecondità dello Spirito Santo.
Il cristiano è una
liturgia vivente attraverso l'essenzialità del quotidiano.
Noi qualche volta
dimentichiamo la figura di Gesù, ma se lo guardiamo attentamente, ci accorgiamo
che egli è colui che ha reso santo ciò che è normale. Dovremmo tante volte
riandare all'unico segno che Gesù ci ha regalato: la convivialità eucaristica,
e la convivialità è il senso quotidiano della vita. La vita di un uomo si
costruisce attorno a un tavolo, dove si assumono degli alimenti storici, in un
clima di grande preghiera, perché tutto
è grazia. Ora Gesù ha utilizzato ciò che è feriale, ciò che è comune, per
darci tutto se stesso perché, vivendo la ferialità anche monotona, noi entriamo
in un mistero di eternità beata. Il Signore vuole l'ordinarietà, vuole la
semplicità del feriale, vuole l'amore alle pareti della propria casa, l'amore
alla propria storia, l'amore alle proprie relazioni quotidiane. Questa è l'esperienza
della santità! Credo che la cosa bella della nostra vita sia renderla la più
semplice possibile. Noi uomini complichiamo ciò che è semplice, perché la
cultura dell’apparenza diventa il valore. La santità è amare il quotidiano, che
incomincia nel respiro divino, quando ci svegliamo, e si conclude nel sonno trinitario,
quando ci addormentiamo. Se noi cogliessimo la profondità di questo mistero, la
festa di oggi ci direbbe: “Ama te stesso,
ama la tua storia, ama la tua ferialità, sapendo che i grandi protagonisti
della tua vita sono il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, che operano con te,
in te, per te”.
E allora entrare in questa
gloria futura è nient'altro che respirare qualcosa che già oggi noi viviamo.
Anzi, potremmo affermare in modo profondo che la nostra esistenza, quando la
guardiamo attentamente, è la Trinità che si fa desiderare, per darci quella
luminosità eterna, nella quale noi saremo veramente noi stessi. Ogni liturgia
della storia o del rito è un continuo desiderio di pienezza di gloria. Quindi
entriamo in questo mistero nella festa di tutti i Santi, per ritrovare la
bellezza e il gusto della nostra vita, sapendo che già siamo eternità. È
questione di un frammento di tempo per giungere a quella pienezza di gloria, nella
quale respireremo la pienezza della vita. “Fin
da ora siamo figli, ma ciò che saremo non c'è stato ancora rivelato” perché
il Dio nel quale noi crediamo è il Dio delle meraviglie, delle sorprese.
Entriamo in questo mistero dell'Eucaristia, che per eccellenza è il sacramento
della santità. Nella liturgia di San Giovanni Crisostomo, il momento della
comunione si esprime con quelle meravigliose parole: “le realtà sante ai santi,
il pane e il vino regalato ai santi”. I santi siamo noi! Vivendo in questa
esperienza, avvertiamo nella nostra vita quel calore di eternità beata che è la
speranza, mentre siamo in cammino nel tempo. Non siamo soli, siamo santi,
perché la Trinità vivente nell'eucarestia ci fa crescere in questa santità, nel
feriale la interiorizziamo, in attesa di quel banchetto glorioso, quando l'Agnello
ci preparerà il pranzo della gloria eterna. Allora potremo vederlo nel Padre e
nello Spirito, in una lode senza confini.
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