Is 50,4-7 Fil
2,6-11 Mt 26,14-27-66
OMELIA
L’itinerario quaresimale ci ha
lentamente introdotti nell’interiorità di Gesù: in lui scopriamo noi stessi e
veniamo stimolati ad essere autentici secondo il progetto del Padre.
Il brano dell’evangelista Matteo
ci pone dinnanzi al mistero della morte del Maestro. Alla luce del suo racconto
vogliamo ulteriormente entrare nel cuore di Gesù, attraverso tre suoi
atteggiamenti sull’albero della croce:
Il silenzio davanti alle provocazioni;
La fede nel Dio fedele, attraverso la citazione del salmo 21;
L’affidamento colmo di speranza al Padre, nel grido al momento
della morte.
Innanzitutto, Gesù nel mistero
della croce è in silenzio. Il silenzio
rivela il criterio della sua vita: essere nel Padre. Gli uomini lo provocano ma
egli, in silenzio, si regala a lui. È il
silenzio dell’olocausto: la piena dedizione al Padre. La sua esistenza si è
costruita tutta nelle mani di Dio e le sue parole all’umanità sono state un
annuncio di salvezza attraverso la sua persona. L’evangelista pone Gesù in
silenzio nel momento della morte per indicarci la verità del cristiano:
collocarsi nell’oggi misterioso di Dio. L’esemplarità del Maestro diventa per
noi particolarmente significativa quando la storia ci travolge con gli
avvenimenti del quotidiano. Gesù non parla, perché è in dialogo con il Padre. Dovremmo
continuamente entrare in questo mistero, perché davanti al dramma contemporaneo
della sofferenza del mondo intero, davanti al dramma del dolore, ma soprattutto
davanti al dramma della morte, siamo chiamati a immergerci nel silenzio, dove
l’anima vive profondamente il suo rapporto con Dio, fonte, forza e meta della
vita. Gesù sulla croce è in silenzio e lì diventa olocausto. In quel silenzio
offre totalmente se stesso a Dio, in un amore inesauribile per l'intera umanità.
Il suo silenzio è la professione di fede nella signoria di Dio.
Per aiutarci ad entrare in questa
interiorità di Gesù, che diventa olocausto, l’evangelista pone sulle labbra del
Maestro divino il salmo 21, la cui conclusione abbiamo ascoltata nel salmo
responsoriale.
Perché Matteo pone sulle labbra di
Gesù il salmo 21, che inizia con l’espressione molto forte “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” e termina con “Ti loderò nell’assemblea dei santi”? Gesù, da pio ebreo, era stato allenato
alla scuola delle Scritture alla profonda consapevolezza che Dio è fedele. Ogni
pio ebreo ruminava giorno e notte la Scrittura perché in essa trovava la sapienza del
cuore, coglieva il dono e il gusto della vita, vedeva la luce che offre la
possibilità di illuminare ogni tenebra della storia. La Scrittura è il Dio
fedele che parla al suo popolo e gli assicura che non lo abbandonerà mai. Gesù,
che sull'albero della croce può dare la sensazione di essere solo (e psicologicamente
è completamente solo), di fatto costruisce quel momento come la viva e totale
relazione con il Padre e con le sue parole, in una esperienza di profonda interiorità,
che lo pone nell’atteggiamento del fidarsi.
Il silenzio dell’olocausto vive del “fidarsi” di Dio che parla, condividendo
con lui la grandezza dell'amore. Se veramente riuscissimo a vivere il silenzio
interiore come offerta a Dio, in un ascolto ricco di speranza e, nello stesso
tempo, ruminassimo continuamente la sua fedeltà nella storia della salvezza,
allora incontreremmo davvero il “Dio fedele”. Anche se gli uomini lo
abbandonano, anche se gli uomini si collocano in condizione di emarginazione
esistenziale, anche se gli uomini si dimenticano, Dio è fedele! Il pio ebreo,
attraverso la quotidiana meditazione della Parola di Dio, sperimentava il suo non
essere solo. La Bibbia, rivelazione del Dio fedele, è l’alimento del cuore
credente, perché il credente sa che non vedrà mai la morte.
Nella morte l’uomo esprime la sua
piena fedeltà a Dio e pone l’atto massimo della sua libertà, collocandosi nell’oggi
misterioso del Padre. Questo si percepisce chiaramente nel terzo passaggio: il grido della speranza. In quel grido
cogliamo l’atteggiamento di Gesù che, offrendo la sua libertà alla libertà di
Dio, dice che la vita è più forte della morte. La fedeltà di Dio ha la solidità
che non conoscono le fedeltà degli uomini. In quel gridare di Gesù cogliamo il
suo affidamento totale, estremo, definitivo. Il silenzio lo ha collocato nell’olocausto,
la Parola gli
ha rivelato il Dio fedele, in quel grido si consegna. Nella bellezza
dell'essere nell'amore del Padre, entra nell’intimo della relazione con lui e
gli fa dono di sé.
Allora intuiamo come la
contemplazione della croce diventi la grande speranza! Noi uomini non riusciamo
a dare senso ai gravi interrogativi dell’esistenza perché non interiorizziamo
questo triplice atteggiamento di Gesù: porci nel silenzio, dove Dio è il
Signore; ascoltare la sua Parola; consegnarci al Padre nel quale c’è solo la
vita. La morte è l’atto di libertà dell’uomo che pregusta il passo della vita. Ecco
perché la Chiesa
ci offre questo testo della morte di Gesù all’inizio della Settimana Santa: se
il cristiano va incontro alla morte, sa tuttavia che sta gustando la vita; è il
morire nel risorgere e la bellezza del risorgere passa attraverso il dramma del
morire.
È un itinerario esistenziale che
ha il suo centro nella celebrazione eucaristica. Il racconto della passione del
Signore parte dalla narrazione dell'Ultima Cena, perché in essa noi veniamo introdotti
alla passione gloriosa di Gesù. Il calice dell'Ultima Cena diventa il calice
dell'Orto degli olivi, diventa l'offerta del grido credente sull'albero della
croce. La bellezza di questa Eucaristia ci porta nella " solitudine
comunionale " di Gesù, che ci dà il coraggio della speranza nei nostri
drammi contemporanei.
Guidati dallo Spirito Santo
entriamo nel Mistero. Nell’ascoltare con partecipazione interiore la preghiera
eucaristica, veniamo condotti nel silenzio della fedeltà del Padre che, nel
Corpo dato e nel Sangue versato del suo Figlio, ci rivela il mistero del morire
e ci dà la consapevolezza che, nel momento in cui ci regaliamo a lui, gustiamo
il Risorto, speranza della nostra vita. L’Eucaristia domenicale è vivere la
morte e la risurrezione del Signore nel silenzio, nel gusto del Dio presente,
che non delude e che attira tutti noi nella luminosità della glorificazione.
Con la contemplazione della croce
entriamo gioiosamente in questa Settimana Santa, sapendo che la sofferenza, la
solitudine, la morte non sono l’ultima parola della vita, ma solo la penultima,
sono il passaggio necessario per godere eternamente la gloria della risurrezione,
l’essere immersi nella signoria ineffabile di Dio e godere eternamente la
bellezza della vita.
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