05 aprile 2020

DOMENICA DELLE PALME - Anno A -


Is 50,4-7                   Fil 2,6-11                  Mt 26,14-27-66

OMELIA

L’itinerario quaresimale ci ha lentamente introdotti nell’interiorità di Gesù: in lui scopriamo noi stessi e veniamo stimolati ad essere autentici secondo il progetto del Padre.

Il brano dell’evangelista Matteo ci pone dinnanzi al mistero della morte del Maestro. Alla luce del suo racconto vogliamo ulteriormente entrare nel cuore di Gesù, attraverso tre suoi atteggiamenti sull’albero della croce:

Il silenzio davanti alle provocazioni;

La fede nel Dio fedele, attraverso la citazione del salmo 21;

L’affidamento colmo di speranza al Padre, nel grido al momento della morte.

Innanzitutto, Gesù nel mistero della croce è in silenzio. Il silenzio rivela il criterio della sua vita: essere nel Padre. Gli uomini lo provocano ma egli, in silenzio, si regala a lui. È il silenzio dell’olocausto: la piena dedizione al Padre. La sua esistenza si è costruita tutta nelle mani di Dio e le sue parole all’umanità sono state un annuncio di salvezza attraverso la sua persona. L’evangelista pone Gesù in silenzio nel momento della morte per indicarci la verità del cristiano: collocarsi nell’oggi misterioso di Dio. L’esemplarità del Maestro diventa per noi particolarmente significativa quando la storia ci travolge con gli avvenimenti del quotidiano. Gesù non parla, perché è in dialogo con il Padre. Dovremmo continuamente entrare in questo mistero, perché davanti al dramma contemporaneo della sofferenza del mondo intero, davanti al dramma del dolore, ma soprattutto davanti al dramma della morte, siamo chiamati a immergerci nel silenzio, dove l’anima vive profondamente il suo rapporto con Dio, fonte, forza e meta della vita. Gesù sulla croce è in silenzio e lì diventa olocausto. In quel silenzio offre totalmente se stesso a Dio, in un amore inesauribile per l'intera umanità. Il suo silenzio è la professione di fede nella signoria di Dio.

Per aiutarci ad entrare in questa interiorità di Gesù, che diventa olocausto, l’evangelista pone sulle labbra del Maestro divino il salmo 21, la cui conclusione abbiamo ascoltata nel salmo responsoriale.

Perché Matteo pone sulle labbra di Gesù il salmo 21, che inizia con l’espressione molto forte “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” e termina con “Ti loderò nell’assemblea dei santi”? Gesù, da pio ebreo, era stato allenato alla scuola delle Scritture alla profonda consapevolezza che Dio è fedele. Ogni pio ebreo ruminava giorno e notte la Scrittura perché in essa trovava la sapienza del cuore, coglieva il dono e il gusto della vita, vedeva la luce che offre la possibilità di illuminare ogni tenebra della storia. La Scrittura è il Dio fedele che parla al suo popolo e gli assicura che non lo abbandonerà mai. Gesù, che sull'albero della croce può dare la sensazione di essere solo (e psicologicamente è completamente solo), di fatto costruisce quel momento come la viva e totale relazione con il Padre e con le sue parole, in una esperienza di profonda interiorità, che lo pone nell’atteggiamento del fidarsi. Il silenzio dell’olocausto vive del “fidarsi” di Dio che parla, condividendo con lui la grandezza dell'amore. Se veramente riuscissimo a vivere il silenzio interiore come offerta a Dio, in un ascolto ricco di speranza e, nello stesso tempo, ruminassimo continuamente la sua fedeltà nella storia della salvezza, allora incontreremmo davvero il “Dio fedele”. Anche se gli uomini lo abbandonano, anche se gli uomini si collocano in condizione di emarginazione esistenziale, anche se gli uomini si dimenticano, Dio è fedele! Il pio ebreo, attraverso la quotidiana meditazione della Parola di Dio, sperimentava il suo non essere solo. La Bibbia, rivelazione del Dio fedele, è l’alimento del cuore credente, perché il credente sa che non vedrà mai la morte.

Nella morte l’uomo esprime la sua piena fedeltà a Dio e pone l’atto massimo della sua libertà, collocandosi nell’oggi misterioso del Padre. Questo si percepisce chiaramente nel terzo passaggio: il grido della speranza. In quel grido cogliamo l’atteggiamento di Gesù che, offrendo la sua libertà alla libertà di Dio, dice che la vita è più forte della morte. La fedeltà di Dio ha la solidità che non conoscono le fedeltà degli uomini. In quel gridare di Gesù cogliamo il suo affidamento totale, estremo, definitivo. Il silenzio lo ha collocato nell’olocausto, la Parola gli ha rivelato il Dio fedele, in quel grido si consegna. Nella bellezza dell'essere nell'amore del Padre, entra nell’intimo della relazione con lui e gli fa dono di sé.

Allora intuiamo come la contemplazione della croce diventi la grande speranza! Noi uomini non riusciamo a dare senso ai gravi interrogativi dell’esistenza perché non interiorizziamo questo triplice atteggiamento di Gesù: porci nel silenzio, dove Dio è il Signore; ascoltare la sua Parola; consegnarci al Padre nel quale c’è solo la vita. La morte è l’atto di libertà dell’uomo che pregusta il passo della vita. Ecco perché la Chiesa ci offre questo testo della morte di Gesù all’inizio della Settimana Santa: se il cristiano va incontro alla morte, sa tuttavia che sta gustando la vita; è il morire nel risorgere e la bellezza del risorgere passa attraverso il dramma del morire.

È un itinerario esistenziale che ha il suo centro nella celebrazione eucaristica. Il racconto della passione del Signore parte dalla narrazione dell'Ultima Cena, perché in essa noi veniamo introdotti alla passione gloriosa di Gesù. Il calice dell'Ultima Cena diventa il calice dell'Orto degli olivi, diventa l'offerta del grido credente sull'albero della croce. La bellezza di questa Eucaristia ci porta nella " solitudine comunionale " di Gesù, che ci dà il coraggio della speranza nei nostri drammi contemporanei.

Guidati dallo Spirito Santo entriamo nel Mistero. Nell’ascoltare con partecipazione interiore la preghiera eucaristica, veniamo condotti nel silenzio della fedeltà del Padre che, nel Corpo dato e nel Sangue versato del suo Figlio, ci rivela il mistero del morire e ci dà la consapevolezza che, nel momento in cui ci regaliamo a lui, gustiamo il Risorto, speranza della nostra vita. L’Eucaristia domenicale è vivere la morte e la risurrezione del Signore nel silenzio, nel gusto del Dio presente, che non delude e che attira tutti noi nella luminosità della glorificazione.
Con la contemplazione della croce entriamo gioiosamente in questa Settimana Santa, sapendo che la sofferenza, la solitudine, la morte non sono l’ultima parola della vita, ma solo la penultima, sono il passaggio necessario per godere eternamente la gloria della risurrezione, l’essere immersi nella signoria ineffabile di Dio e godere eternamente la bellezza della vita.




-

Nessun commento:

Posta un commento