Es 17,3-7 Rm 5,1-2.5-8 Gv 4,5-42
OMELIA
Il discepolo è chiamato giorno per giorno, ma
in modo particolarmente significativo nella quaresima, ad assumere la mentalità
del Maestro che, come lo Spirito ci suggeriva domenica scorsa, si manifesta nel
suo agire paradossale. Egli ci investe della creatività divina che fa nuove
tutte le cose. Chi entra nella figura di Gesù e cerca veramente di comprenderne
gli aspetti più profondi, si accorge che il suo modo di comportarsi è
diametralmente opposto al modo normale di operare dell'uomo. Lo cogliamo nella
preghiera che Gesù rivolge al Padre prima del miracolo che compie facendo risorgere Lazzaro: “Padre ti rendo
grazie perché mi hai ascoltato”.
Leggendo questa frase, ci poniamo la domanda:
“Come mai Gesù ringrazia il Padre quando il miracolo non è ancora avvenuto?”
Abitualmente noi lo ringraziamo dopo che abbiamo visto gli effetti: gli effetti
ci portano a dire “Grazie”. Gesù in questo caso ringrazia prima degli effetti,
perché il suo pregare rivela il suo modo di concepire la vita, espresso
chiaramente nelle parole: “Padre ti ringrazio perché mi hai ascoltato; io
sapevo che tu mi dai sempre ascolto, ma l'ho detto per la gente che mi sta
attorno, perché credano che tu mi hai mandato”. La preghiera di Gesù non è in
vista di qualche cosa, ma è la manifestazione del mistero, il dilatarsi di una
vita di comunione, l'incarnare una relazione abituale con il Padre. Il dramma
di noi credenti è pregare per avere. Gesù ci dice che pregare è il linguaggio
ordinario di chiunque viva la comunione con Dio, che è più importante di tutti
gli effetti. Le cose sono relative al tempo e allo spazio, la comunione ha il
sapore dell’eternità beata.
Marta afferma che il Padre ascolta sempre
Gesù, perché il Figlio non fa nulla se non stando in comunione col Padre, Tutto
è espressione di quella mirabile relazionalità che esiste tra loro, che hanno
come unico interesse la vita: donare la vita, seminare la vita, fare
riconoscere all'uomo la bellezza della sua identità. Allora pregare è gustare
questo mistero che unisce il Padre al Figlio e, quando c'è profonda comunione
di vita, non si guardano mai gli effetti. Se c'è una profonda esperienza di
preghiera e di comunione di vita, l'essere l'uno nell'altro e l'uno per l'altro
importa più di tutto quello che potrebbe accadere. La mentalità di Gesù è
compiere solo ciò che vuole il Padre e poiché il Padre dona la vita, anche il
figlio fa lo stesso: il miracolo di Lazzaro ci dice che nella fede c'è solo la
vita.
La bellezza all'interno del dialogo, tra
Marta e Gesù prima e Maria e Gesù dopo, ritraduce la concezione interiore che
egli ha espresso nella sua preghiera: la comunione con il Padre è sempre vita.
Gesù compie il miracolo, che è profezia della sua risurrezione, perché è
innamorato della vita dell'uomo, del suo mistero, della sua metà gloriosa. Egli
sa che non si muore in modo definitivo, sa che l’amico risorgerà, perché
nell'esperienza della fede esiste solo la vita.
Entriamo nelle mentalità libera e liberante
di Gesù che, nel profondo della sua esistenza è così legato alla sensibilità
del Padre, da essere segno di questo mistero di comunione. Allora comprendiamo:
“Chi crede è già passato dalla morte alla vita!” e “Chi crede in me, anche se
muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno”. La bellezza
della fede, la bellezza della mentalità di Cristo, la bellezza delle nostre
mentalità si trova nel coraggio di accedere alla vita, che era nascosta nel
Padre e si è resa visibile.
Ecco perché il cristiano, se da una parte, a
livello psicologico, si interroga davanti ai fatti terribili, davanti alle
morti drammatiche di questi giorni, dall'altra conosce il criterio della
storia: la vita trionfa sempre, come ci ha detto la seconda lettura.
Allora credo che Gesù questa mattina potrebbe
regalarci la mentalità che troviamo nel suo dialogo con il Padre. Ricordiamo
sempre che da come preghiamo diciamo la nostra concezione della vita: “Dimmi
come preghi, ti dirò che cosa vivi”. Se
riuscissimo a vivere in comunione con Dio, saremmo distaccati delle cose che
chiediamo, sapendo che la comunione con lui è vita e libertà davanti alle
realtà contingenti. Allora vedremmo la gloria di Dio: la risurrezione di Gesù,
perché mistero del suo morire è il mistero del suo vivere; vivere nell'amore
per risorgere per amore.
In questa Eucaristia cerchiamo di cogliere la
profondità di questo insegnamento. Il Signore si rende presente perché, credendo in lui,
siamo in comunione con lui. Se siamo veramente in comunione con lui, gli
diciamo “Grazie” ancor prima che si renda presente nel suo Corpo e nel suo
Sangue, perché pregare è comunicare in modo così profondo che noi abbiamo la
certezza che Dio è fecondo, non tradisce e ci introduce nella vita che non
conosce tramonto. Tale è il mistero che vogliamo celebrare, per gustare il
grande mistero della risurrezione attraverso il quotidiano morire. In questo
modo ci prepariamo a vivere intensamente anche i misteri della morte del
Signore, nella certezza che la morte non distrugge mai la comunione, che è
fondamentalmente la bellezza e il gusto della vita.
Se qualcuno di noi muore, sappiamo che ora è
nella gloria di Dio, dove siamo tutti convocati per cantare eternamente la
nostra lode al Padre, unica meta, unico sospiro, unico desiderio del nostro
cuore.
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