At 10, 34.37-43 Col 3,1-4 Gv 20,1-9
OMELIA
Il cammino che Gesù ci ha fatto
percorrere nel tempo quaresimale raggiunge il suo compimento nel grande evento
della risurrezione. Dal silenzio nella solitudine della morte e della
sepoltura, ora Gesù ci vuol rendere partecipi della sua luminosità. La
grandezza della risurrezione sta nell’essere avvolti dalla gratuità fedele
delle tre Persone divine: chi entra nel buio di Gesù, ne gusta la luminosità.
Il discepolo questa mattina, come
ci insegna la sequenza che abbiamo pregato, sta vedendo il Risorto come Maria
di Magdala, poiché la bellezza dell’esistenza non è solo assumere la
sensibilità e la mentalità del Maestro, ma giungere a quella intimità che è espressa
dal verbo “vedere”. Così ci ha detto
l'evangelista: “Allora entrò anche
l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette”. Il cristiano vede il Risorto per essere
trasfigurato nella sua persona, perché Gesù stesso ha detto che chi crede è già
passato da morte a vita.
Anche noi, come ha detto
l’apostolo Pietro, siamo testimoni
prescelti da Dio, chiamati a gustare la bellezza del Volto del Signore
attraverso l’esultanza del vederlo nella fede. Il testo evangelico ci indica la
via per poter giungere a questa esperienza attraverso tre passaggi. L’esperienza
del Risorto avviene nello stile della progressività,
mediante la lenta acquisizione del primato dell’Invisibile nel visibile.
Chiamati ad essere discepoli, lo diventiamo un po' alla volta, sotto l'influsso
dello Spirito. In questo processo ha un ruolo determinante il cuore, che ci fa
riconoscere di essere discepoli sommamente amati dal Signore. L'occhio vede ciò
che abita ii cuore.
Innanzitutto, il principio della progressività. Il Vangelo ci presenta il
dinamismo dell'incontro con il Risorto: il discepolo che Gesù amava arriva, ma
non entra; Pietro entra e vede; infine il discepolo che Gesù amava entra, vede,
crede. La fede nel Risorto richiede un cammino che percorre tutta l’esistenza
del discepolo. Egli ha dentro di sé l’esigenza di vedere il Maestro, il quale
attira continuamente a sé l'uomo. Le meraviglie della salvezza si percepiscono
un po' alla volta, nella quotidiana conversione a ciò che non si coglie in modo
immediato. Come possiamo essere dei discepoli che non amano vedere il Maestro? Tutta la nostra vita è desiderare la sua
Presenza! Tutti i nostri giorni sono un dirigersi verso questa meta, espressa dal
correre dei due discepoli.
Siamo tesi alla ricerca del volto
del Signore, ma per entrare in questa visione dobbiamo acquisire la mentalità
del primato dell’Invisibile nel visibile,
del primato delle realtà eterne rispetto a quelle storiche. È la seconda dimensione
che spiritualmente dobbiamo fare nostra: innamorarci dell'invisibile. Un
discepolo che rimanesse legato a ciò che vede, a ciò che sente, a ciò che
percepisce storicamente, non vedrà mai il Risorto! Siamo chiamati ad un
incontro sacramentale: vedo un segno, contemplo il Mistero. L’uomo
contemporaneo, nel cammino della fede, ha grosse difficoltà. In una cultura
dominata dal sensitivo, dai principi della produzione, dagli obiettivi
concreti, non potrà mai vedere il Risorto: sarà sempre il forestiero che i
discepoli di Emmaus hanno incontrato e non hanno saputo riconoscere. Ecco
perché, progressivamente, noi entriamo nell’esperienza del Risorto: “lentamente”
dobbiamo lasciarci educare dalle realtà invisibili. È necessario affinare una
sensibilità interiore. Dovremmo sempre lasciarci condurre dalla Parola nel
leggere la storia e i suoi avvenimenti, andando al di là dei fatti concreti. Occorre
assumere uno stile interiore nell'approcciarci al vissuto. Ciò che veramente
anima l’uomo e veramente gli dà la capacità di vivere è l’invisibile, che opera
nel suo cuore. La storia quotidiana, veramente vissuta, ci insegna questo stile
di vita. L’uomo non può vivere se non amando, ma chi ha mai visto l’amore? Non
può vivere senza l’amicizia, ma chi ha mai visto l’amicizia? Il criterio
dell’invisibile ci consente di accostarci con fecondità al mondo del visibile:
è il cuore che vibra nel visibile. Dobbiamo immergerci nel concreto, senza
lasciarci soffocare, perché la vigilanza ci mantiene aperti a qualcosa di più grande.
Intuiamo quindi il terzo passaggio, che ci
porta all'essenza del cammino di fede: il
cuore che ama. Chi entra, vede e crede, se non il discepolo che Gesù amava?
È il principio dell’esperienza di essere discepoli: entrando nell’esperienza
amativa di Dio, l’uomo incomincia a vedere, incomincia a credere. Anzi, e qui
il testo dell’evangelista è di una straordinaria profondità: occorre che il
discepolo ogni giorno si lasci amare, apra la propria storia alla storia di Dio,
che porta inevitabilmente nel mistero dell’Invisibile, facendogli avvertire la
creatività del cuore. Allora il Risorto invaderà con la pienezza del suo amore
la nostra persona. Quanto più ci lasciamo amare dal Signore, tanto più le
realtà visibili diventano segno della presenza dell’Invisibile. Ecco perché il
discepolo entrando nel sepolcro vede quei teli, vede quel sudario che sono
segni visibili di morte e contempla il Risorto. Il cammino per lasciarci
incontrare dal Signore è molto lento e si costruisce progressivamente. Quando
l’uomo è profondamente immerso nell’amore divino, “vede” il tutto del
quotidiano come un segno di qualcosa di più grande e, educato a questo stile di
vita, vede il Risorto. Quanto più il nostro cuore è abitato dal Signore, tanto
più si lascia attirare da lui e desidera vederlo nei segni della vita: i
fratelli, la storia, i sacramenti. È qualcosa che ci deve prendere nel profondo
del nostro essere.
Il Signore si rende presente per
essere sempre più desiderato e perciò visto nella fede. È importante che noi
progressivamente ci lasciamo amare, ci innamoriamo e non ci facciamo prendere
dallo scoraggiamento, perché non siamo ancora arrivati. Nella pazienza di Dio,
amati da Dio, cresciamo nel gusto amativo del volto di Dio.
La bellezza del vedere il Risorto
è la bellezza della vita stessa, dove lentamente, amando l’Invisibile, vediamo
il visibile come un segno che ci regala qualcosa d’altro e, quando il nostro
cuore si lascia progressivamente immergere nell’Invisibile, allora gustiamo
quell’amore divino che ci fa vedere il Risorto.
Questa verità è il dono che Gesù
ci fa di se stesso nella celebrazione eucaristica. L’apostolo Pietro nel
discorso fatto a Cornelio ci dice che il Risorto è apparso a testimoni scelti, “a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui, dopo la sua risurrezione”.
Questa mattina abbiamo la grande
gioia di vedere il Risorto perché stiamo mangiando e bevendo con Lui. Anche se
non riusciamo in questo momento ad entrare in questa pienezza, sappiamo però
che stiamo vivendo nella grandezza del suo amore. È il grande orizzonte che ci
offre l'apostolo Paolo: “La vostra vita
è nascosta con Cristo in Dio! Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato,
allora anche voi apparirete con lui nella gloria”.
Ciò che conta è che con il cuore
innamorato cerchiamo, col cuore innamorato viviamo dell’Invisibile, col cuore
innamorato ci lasciamo incontrare sacramentalmente da chi, per eccellenza, è
l’amato del nostro cuore, Cristo Signore.
In questa Eucaristia ravviviamo
questo nostro desiderio del Risorto in modo che, uscendo di chiesa, non diciamo
più “Oggi è Pasqua”, ma diciamo “Oggi mi è apparso il Risorto!” e regaliamo a
ogni fratello questa novità divina.
Facendo questa esperienza
scopriamo che la nostra vita è nascosta con Cristo in Dio e questa esperienza
ci dà la luce, la forza, il coraggio della vita: è veramente risorto, perché lo
stiamo vedendo!
Con questa gioia celebriamo i
divini misteri, in modo da poter sempre dire con Sant’Ambrogio: “O Signore, io
ti vedo ogni giorno nei tuoi misteri”.
-
Nessun commento:
Posta un commento