Is 63,16b-17.19b; 64,2-7 1Cor 1,3-9 Mc 13,33-37
OMELIA
Celebrando la solennità di Cristo, Re dell'universo, siamo stati orientati verso la pienezza della gloria e questa pienezza della gloria è il desiderio dei nostri desideri, è la verità dell'uomo, che vive il presente tutto orientato verso il futuro. Paolo ci ha detto in modo molto chiaro che siamo in attesa della manifestazione gloriosa del Signore. Se la festa di Cristo Re ci ha collocati nella pienezza divina, il tempo dell'Avvento è il tempo del dilatare questo desiderio nella concretezza quotidiana, per giungere a contemplare eternamente il suo volto. È un'attesa che è carica di una pienezza e che vive di tale pienezza. La bellezza del presente è l'orientamento verso il futuro. Immersi in tale dinamismo, ci poniamo la domanda: “Come possiamo proiettarci verso questa pienezza gloriosa, quando il Signore rivelerà tutta la sua gloria e saremo nell'armonia universale?”.
L'apostolo Paolo ci ha detto in modo molto
chiaro che siamo stati arricchiti di tutti i doni, che abbiamo la pienezza di
Cristo e dei doni dello Spirito Santo. “In
lui siete stati arricchiti di tutti i doni...La testimonianza di Cristo si è
stabilita tra voi così saldamente, che non manca più alcun carisma a voi, che
aspettate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo”. Il tendere
verso il mistero glorioso, che ci sta aspettando in paradiso, nasce dalla presa
di coscienza che noi siamo già un capolavoro. È il Signore stesso che nella
nostra persona ci fa tendere continuamente in avanti, perché la bellezza della
nostra vita è glorificarlo per sempre. Ecco perché il cristiano avverte nella
propria storia questo intenso desiderio di vedere il Signore. Ora noi lo
contempliamo nella fede, lo contempliamo nella gestualità feriale, lo contempliamo
nell'azione sacramentale, ma questa contemplazione deve diventare “tensione”. Quando
noi siamo stati battezzati e siamo stati ricolmati della pienezza divina, in
quel momento siamo stati chiamati a “contemplazione”, dove la contemplazione è
l'orientamento del nostro cuore verso una pienezza, è la bellezza di quel “TU”
di Cristo che opera in noi e si fa attendere nella grandezza del suo Mistero. È
il Signore che sta aspettando ognuno di noi nel mistero della gloria. Questa
sicurezza si fonda sulla consapevolezza che lui è il Signore dentro di noi: è
quell’ Invisibile che anima il visibile. Anzi è talmente forte e determinante
questa presenza dell'Invisibile, che tutto ciò che facciamo, le realtà che
tocchiamo, le scelte che operiamo sono impregnate dell'Invisibile, per cui
tutta la nostra vita è una tensione verso la gloria. Un simile processo può
effettivamente realizzarsi perché questa pienezza è il calore di Dio nel nostro
cuore. La sua presenza è calore, è qualcosa che è dentro di noi e ci dà
l'agilità di proiettarci in avanti. È un calore che illumina l'intelligenza, la
quale brama d'entrare nel Mistero, per essere veramente realizzata. Il tempo
dell'Avvento è il Signore che si fa desiderare nella pienezza della gloria.
Davanti a
questo grande sviluppo interiore, il richiamo da parte di Gesù nel Vangelo, “Vegliate!”, è la presa di coscienza della nostra radicale povertà. Sicuramente
il desiderio dell'incontro glorioso è il fascino della nostra vita. Ben
sappiamo che dobbiamo passare dall'Invisibile sacramentale all'Invisibile
contemplato nel paradiso, ma tutto questo passa attraverso quel "Vegliate!",
attraverso quella coscienza della radicale povertà della nostra vita. Infatti,
quando noi vogliamo che il divino operi nella nostra storia, dobbiamo avere la
convinzione profonda dei nostri limiti, la gioia dei nostri limiti, la gioia della
nostra povertà, la gioia anche delle oscurità che tante volte ci attanagliano,
perché l'uomo, che con coraggio accoglie il suo limite, diventa il luogo della
libertà di Dio. Qui noi entriamo in un mistero che dovrebbe allietare la nostra
esistenza. Come possiamo attendere questo Signore glorioso, che ci manifesterà
la luminosità della sua persona e ci collocherà in quella comunione con il
Padre e con lo Spirito Santo per tutta l'eternità beata? L'uomo povero, che
riconosce i propri limiti, è colui che lascia agire la libertà divina dentro di
sé. Noi qualche volta ci sentiamo scoraggiati, perché siamo dei distratti nati
e dimentichiamo questa creatività di Dio dentro di noi. È in certo qual modo la
potenza della fede che ci dice: "Sii ostinato nel camminare verso la
gloria, ponendo le tue fragilità nelle mani delle tre Persone divine". In
simile clima esistenziale diventiamo una preghiera autentica e diamo alla luce
la supplica, che sempre coltiviamo e che in modo particolare viviamo in questo
tempo di Avvento con l'invocazione: “Vieni Signore Gesù!". Nella nostra
ostinazione vogliamo giungere a percepire fino in fondo la pienezza della
gloria di Dio. Vivendo questa triplice dimensione, intuiamo tre aspetti che
qualificano la nostra esistenza: avere sempre davanti a noi chiaro l'orizzonte
verso il quale stiamo andando; approfondire la percezione della creatività di
Dio dentro di noi; costruire ogni istante del nostro percorso esistenziale in
una vita di intensa supplica. La supplica è la bella liturgia dei poveri che
bramano l’Assoluto, la supplica è il gusto del mistero che, mentre ci fa
percepire e toccare i limiti del quotidiano, orienta la nostra esistenza a quel
gridare "Vieni Signore Gesù!", perché la nostra vita non ha senso se
non entriamo in questo mistero di gloria. La Parola di questa mattina, che dia
veramente il senso dell'Avvento sia "il paradiso", questo mistero di
luce che ci investirà, trasformandoci in una esperienza di luminosità senza
fine.
Tutto
questo è estremamente vero in questo momento. La bellezza di ritrovarci nell'Eucaristia
è di chi desidera l'eternità beata. Noi spesse volte abbiamo dimenticato quello
che è il cammino che la cultura antica ci ha offerto. Se guardiamo le chiese
romaniche o paleocristiane, il centro di tutta l'architettura è sì l'altare, ma
la sua conclusione è rappresentata dal catino absidale: il mistero della gloria
eterna! Noi siamo in cammino nel tempo nell'Eucaristia e il Cristo ci rifà
completamente, orientandoci verso la pienezza della gloria. Quando tra poco ci
accosteremo all'Eucaristia, come dicevamo anche in altre domeniche, sentiremo
quella espressione: “Beati gli invitati alla cena delle nozze dell'Agnello!”. Le
nozze dell'Agnello sono la grande liturgia dell'Apocalisse, di una comunità che,
continuamente guidata dallo Spirito, grida: “Vieni Signore Gesù!”. E lo sposo
risponde: “Ecco, verrò presto". Qui troviamo la ricchezza
dell'acclamazione: “Ecco l'Agnello di Dio!". Allora entreremo in questa
profonda vivacità interiore, sapremo respirare una atmosfera di pienezza di
gloria, che nel buio della storia ci dirà: “Sei veramente nella luce". È
un paradosso che il cristiano è chiamato a vivere in profondità: più la storia
ti pone nel buio, più il cuore è luminoso di eternità beata, perché ha il
desiderio di anticipare quell'incontro finale verso il quale stiamo andando. E
allora, in questa Eucaristia, pregustiamo l'eternità beata. Una volta abbiamo
usato questa immagine, che è dell'evangelista Luca: come il Signore passi a
servire i dodici apostoli nell'ultima cena, perché egli è il servo che si pone
al servizio, distribuendo il pane eucaristico. Così noi pure, accogliendo
questo pane eucaristico, stiamo pregustando il momento in cui, nell’eternità,
il Signore stesso passerà a rivestirci eternamente di quelle vesti candide, che
ci porteranno alla gloria eterna, che non si concluderà mai. Viviamo così
questo tempo di Avvento, in questo desiderio di pienezza di gloria, nella certezza
che colui che attende in noi è il Signore stesso. Egli ci stimola ad andare avanti,
perché vuole che giungiamo tutti a quel passaggio, che ci permette l'accesso al
suo volto, in cui eternamente canteremo la gioia di appartenere con tutti noi
stessi alla radiosità della gloria trinitaria, che non avrà mai fine.
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