Gb 19,1.23-27a Rm 5,5-11 Gv 6,37-40
OMELIA
Nella grande cornice della liturgia dei santi, che ricolma di speranza il cristiano, noi oggi siamo di fronte a un grosso interrogativo, che spesse volte tormenta l'uomo e diventa principio di problemi circa il domani: qual è il senso del morire? Allora credo che la Parola che questa mattina Gesù ci ha regalato ci aiuti a vedere l'esperienza del morire come una grande liturgia dei santi. Nel testo che abbiamo ascoltato, abbiamo colto tre aspetti:
- ogni
uomo è un regalo di Gesù al Padre;
- ogni
uomo è conservato dal Cristo, che è il Signore della vita;
- ogni
uomo in Gesù risorge continuamente.
È la luminosità che la fede ci
offre. È molto bello ricordare che nella
liturgia antica il morire era un benedire Dio. Attraverso questi tre passaggi,
che il testo giovanneo ci ha offerto, cerchiamo di illuminare il mistero della
morte come un canto alla vita, come un canto al desiderio di essere nella vita.
Quando un uomo viene concepito, è
regalato dal Padre al Figlio. Giovanni lo ha detto molto bene nella preghiera
sacerdotale: “Ho fatto conoscere il tuo nome a quelli che mi hai dato. Erano
tuoi e li hai dati a me”. Quando noi ci poniamo la domanda su quale senso abbia
la vita, rispondiamo che la vita è un regalo che il Padre fa al Figlio ed è
molto bello come, nella stessa preghiera, Gesù rivolgendosi al Padre dica: “e
nessuno di quelli che mi hai dato ho lasciato sfuggire dalle mie mani, se non
chi non era secondo le Scritture”. L'uomo è un regalo all'interno della
Santissima Trinità. Anzi, quando avviene un battesimo, quel bambino è regalato
alla Santissima Trinità. E nel mistero di Dio c'è solo la vita. “In lui era la
vita e la vita era la luce che illuminò gli uomini in questo mondo”. E questo
regalo non andrà mai perduto. Ecco perché abbiamo ascoltato dall'apostolo
Paolo, dalla Lettera ai Romani, che Gesù, mentre noi eravamo peccatori, è morto
per gli ingiusti. È un regalo e Gesù che lui stesso non si lascia mai sfuggire
dalle mani. Dovremmo, nella nostra esistenza, riscoprire che la nostra storia è
nelle mani del Figlio e dello Spirito Santo, nel pensiero del Padre. Ecco il
primo elemento che dobbiamo ritrovare, perché noi viviamo la morte in base a
come concepiamo la vita. È il primo elemento che dobbiamo proprio cogliere,
siamo un regalo intratrinitario, per cui costruiamo la vita in Gesù che abita
in noi.
È Gesù che fiorisce in noi.
Ricordiamo sempre che ognuno di noi è un sacramento di Gesù. Addirittura,
soprattutto se ci accostiamo alla bellezza del mondo bizantino, ogni gesto che
noi facciamo, ogni cosa che noi prendiamo in mano, ogni parola che udiamo con
le orecchie, è santificato dalla vita di Gesù in croce. Ogni gesto è un
meraviglioso sacramento di Gesù in noi.
In certo qual modo, la nostra esistenza è un lavorare insieme, diremmo
noi “sinergico”, tra il Cristo e noi. Di conseguenza, quando noi utilizziamo
quell'espressione, con la quale l'evangelista Luca definisce Gesù a Nazaret “e
il bambino cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini”, lo
possiamo applicare a ciascuno di noi. Cresciamo in sapienza: lo Spirito Santo;
età: la vita che Cristo sviluppa in noi; e grazia: l’amore meraviglioso del
Padre. Allora, occorre riuscire a cogliere il mistero della vita come il
fiorire di Dio in noi. Spesse volte noi cadiamo in un'esistenza amorfa,
soprattutto nella cultura contemporanea, dove c'è, come io dico, “nebbia in Val
Padana”, senza entusiasmo, o abitate da persone deluse. La bellezza è vedere
quella vita divina che in noi cresce continuamente.
Ecco perché, quanto più gli anni
passano, tanto più, come abbiamo pregato e cantato nel Salmo responsoriale,
desideriamo il volto di Gesù, perché, e per ben due volte lo abbiamo ascoltato,
nel Vangelo di questa mattina, “chi crede in lui abbia la vita eterna e io lo
risusciterò nell'ultimo giorno”. E quando noi siamo davanti alla parola” ultimo
giorno”, in modo immediato saremmo portati a pensare al giorno della nostra
morte, ma l'ultimo giorno è una persona, è Gesù, per cui risorgere nell'ultimo
giorno non è il momento della morte, ma è lo sviluppo della vita di Gesù in
noi. Quando moriremo saremo la pienezza della vita e la vita in noi esploderà e
passeremo da questa alla Gloria eterna. Questo è abitare nell'ultimo giorno.
Spesse volte l'uomo vive il morire come “un improvviso”. Nelle vecchie litanie
dei santi troviamo: “Liberaci Signore della morte improvvisa”. Ma per chi è nel Signore, non c'è nulla di
improvviso. Chi è nel Signore è tutto un'attesa. Ecco perché dicevo all'inizio
che nella chiesa antica ogni morte era un benedire Dio, tant'è vero che
Tertulliano, un autore del secondo secolo, diceva che davanti alla morte noi
piangiamo sommessamente, perché sappiamo che colui che è morto sta contemplando
la gloria di Dio. Il pianto è sommesso perché la natura umana ha la sua
esigenza, sommesso perché sappiamo che il fratello è luminoso nella gloria di
Dio. È qualcosa che noi abbiamo un po' perso e certe categorie culturali,
agostiniane prima e germaniche dopo, hanno rovinato questa concezione molto
bella. Però ritroviamo, alla luce di Giovanni, che abbiamo ascoltato, questa
bellezza: uno muore come vive. E allora ricordiamoci: siamo un regalo del Padre
al Figlio, per cui il Figlio vive in noi, rigenerandoci continuamente, perché
in lui abitiamo, perché lui è l'ultimo giorno.
E tutto questo noi lo stiamo
vivendo: l'Eucaristia è un canto con i viventi. È molto bello che il sacerdote
di rito bizantino, quando ha finito la celebrazione eucaristica, preghi
personalmente il Cantico di Simeone: “Ora lascia Signore che il tuo servo vada
in pace, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza”. L’Eucaristia è la
pregustazione della eternità beata, quando mangeremo con gli occhi del cuore il
Signore, in una luminosità veramente inesauribile. Noi ora ci accostiamo al Signore con i segni
benedetti, domani con la contemplazione gloriosa di Dio.
La festa di oggi non è la festa dei suffragi, che tante volte, direbbe Agostino, sono più una compensazione psicologica dei viventi che una verità per i defunti, ma entriamo in questo mistero di luminosità, di gloria, perché in questa Gloria è tutta la nostra vita. Allora, quando moriremo, avverrà qualcosa di molto grande: il Padre ci ha regalati al Figlio, con il Figlio siamo vissuti e, al termine della nostra vita, il Figlio ci regalerà al Padre. È una cosa questa che dovrebbe penetrare nel profondo del nostro cuore, per cui non esiste lutto, ma gaudio. È quella luce di eternità beata che è Cristo Gesù. Allora la vera comunione con i santi è quando siamo attorno all'altare. Lo dicevamo nell'omelia ieri: Ecco il Cristo è il Santo per eccellenza. Riuniti attorno al Cristo, condividiamo nel pane e nel vino la sua persona è nella sua persona siamo In comunione con la grande liturgia del cielo. Viviamo questa luce e questa speranza, che nascono da questa Eucaristia, in modo che l'eternità non si sa qualcosa che avverrà domani, ma un gusto di vita che stiamo già gustando. È problema di orologio: quando lui verrà, l'orologio finirà e saremo eternità beata. Questa sia la speranza che vogliamo portare a casa dalla Divina liturgia di questa mattina.
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