27 luglio 2025

XVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO C -

DOMENICA 27 LUGLIO 2025                                                        

Gn 18,20-32      Col 2,12-14      Lc 11,1-13

OMELIA

Gesù domenica scorsa ci invitava a dargli ospitalità in modo che egli potesse nella nostra vita camminare con noi e ricolmarci di quella speranza che è luce nelle tenebre della storia, ma questa ospitalità che siamo invitati a dar a Gesù oggi, si ritraduce nell’esperienza della preghiera.

Infatti il pregare è essenzialmente la gioia di dare ospitalità a Gesù.

Pregare è permettere a Gesù di agire nella nostra storia per cui, nell’atto del pregare, abbiamo il gusto del Signore che, in noi, si rivolge al Padre.

Ecco perché questa mattina Gesù vuol aiutarci a comprendere il vero significato della nostra vocazione a pregare, poiché tale vocazione non si ritraduce nella preghiera, ma nel lasciare operare Gesù nella nostra vita, per cui l’uomo è orante perché lascia spazio, nel cammino della sua vita quotidiana, alla creatività divina dentro di lui.

L’uomo, quando decide di voler pregare e pensare a quello che deve dire, già non sta pregando, perché la bellezza della preghiera è gustare quella creatività di Cristo in noi, che ci fa percepire il sapore del suo rapporto con il Padre.

Il vero pregare è gustare la creatività della divina Presenza dentro di noi.

Ecco perché non esiste uomo che non preghi, sia che egli lo sappia, sia che non lo sappia, perché ogni uomo essendo stato creato a immagine e somiglianza di Dio è la presenza di Dio e questa presenza di Dio è dinamica, quindi la vocazione a pregare è lasciar aprire il proprio cuore alla creatività di Dio.

Ecco perché il cristiano quando incomincia a pregare non sa quello che chiederà, perché il pregare è dire a Dio quello che Dio ha seminato nel nostro cuore e pone continuamente sulle nostre labbra.

Il pregare è la spontaneità di un cuore abitato da Dio che diventa il linguaggio delle labbra, il linguaggio della gestualità.

Partendo da questa convinzione – per cui non dobbiamo nella nostra vita preoccuparci di quello che diremo – ma avere il gusto di una Presenza, intuiamo il contesto nel quale l’evangelista Luca colloca la preghiera del Padre Nostro.

Un discepolo vedendo Gesù in orazione lo invita a insegnargli lo stile della preghiera, perché il discepolo – come discepolo – vive di una condizione orante abituale.

Infatti noi, tante volte, siamo tentati da due atteggiamenti che ci impediscono la verità e la semplicità della vita: il pensare che il pregare sia dire tante preghiere e che seguire Gesù sia un comportamento morale.

Tutte e due le linee, molto pericolose, ci potrebbero far dimenticare il cuore.

Il discepolo sa esattamente che la sua esistenza è semplicemente l’incarnazione della personalità di Gesù. La bellezza di essere discepoli del Signore è, in certo qual modo, permettergli di vivere totalmente dentro di noi e il nostro atteggiamento quotidiano ne è l’espressione feriale.

Come possiamo effettivamente rendere la nostra vita di sequela del Maestro una continua incarnazione della sua presenza se non nella duttilità interiore che è lo Spirito di preghiera? Lo Spirito di preghiera ci dà quella capacità di ascoltare il Signore interiormente e di permettergli di agire nelle parole, nei comportamenti, nelle relazioni, per cui il discepolo che vive in condizione di preghiera - lette in questo modo - fa sì che tutta la sua vita sia un meraviglioso sacramento di Dio.

Ecco perché quando vogliamo seguire il Maestro dobbiamo sempre dargli quella ospitalità orante che gli permette di essere creativo dentro di noi. Di riflesso, noi abbiamo la gioia di pregare, perché nel pregare, ogni azione ha il “sapore” di Cristo.

Gesù non ci ha insegnato la formula del Padre Nostro, Gesù ci ha insegnato a dire: “Abbà, Padre”, ci ha insegnato a permettergli di comunicare a Lui il gusto che egli ha nel suo rapporto con il Padre.

Un vero discepolo che voglia veramente rendere viva la sua vita dice solo: “Padre!” e nel momento in cui dice “Padre” percepisce il Cristo in lui, percepisce il gusto di Gesù che si relaziona con Dio e, in questo modo, pregare è diventare persone che percepiscono il meraviglioso rapporto Padre–Figlio.

Ecco perché le tante preghiere distraggono “la preghiera”.

L’uomo che pensasse di pregare perché dice tante preghiere è un illuso, perché la preghiera è essenzialmente “Padre!”, percepire la gioia di essere discepoli in un itinerario dove lui è il Signore!

Una cosa bella che l’uomo contemporaneo mette in luce è abolire le preghiere lunghe.

L’uomo contemporaneo non digerisce le preghiere lunghe perché ha una incapacità psico-fisica.

La vera preghiera è una parola che è il segno di una profonda vitalità interiore.

La preghiera, usando un’immagine, diventa semplicemente “schiacciare un tasto del pianoforte” da cui esce un’infinità musicale, è una nota che riempie di divino la nostra esistenza.

Allora ci accorgiamo che non esistono “momenti” di preghiera perché non esistono momenti in cui Gesù è l’ospite, e giorni in cui Gesù è assente!

Gesù è sempre presente quindi abbiamo sempre il gusto di questo pregare che è niente altro che la gioia del Signore dentro di noi.

Allora il vero discepolo sa pregare e chi sa pregare è il vero discepolo.

In questa ottica il Signore ci ascolta sempre, perché non siamo noi a pregare, ma è lui in noi, anzi, nel pregare entriamo in una circolarità molto bella che un autore ortodosso ha espresso in questa formula: “Quando preghiamo, Dio prega Dio” cioè entriamo nella circolarità della vita divina.

Ecco perché le tante preghiere sono una stanchezza spirituale!

La vera preghiera è il silenzio che si incarna in poche parole, ma soprattutto nella gestualità serena della vita di tutti i giorni.

Pregare continuamente è vedere in quello che facciamo, il Signore che sta operando.

È bello ogni giorno dare ospitalità a Gesù per lasciarlo agire.

Allora cosa è la nostra vita?

È un passeggiare feriale con Gesù che ci mette in rapporto con il Padre da cui deriva il dono ineffabile dello Spirito Santo!

Attraverso il costruire in questo schema di vita la realtà di tutti i giorni, pur nel trambusto quotidiano, abbiamo il gusto di una meravigliosa Presenza.

In questo momento in cui il Signore è presente in mezzo a noi, Egli entra in noi nel suo Corpo e nel suo Sangue, e noi nel silenzio dell’Adorazione eucaristica ne scopriamo la meravigliosa Presenza, in modo che uscendo di chiesa, questa mattina, siamo il luogo in cui abita il Signore che sta pregando anche quando parliamo delle cose di tutti giorni, perché lui è veramente presente!

Entriamo in questa esperienza anche se in modo immediato ci sembra abbastanza ardua, è una cosa molto semplice, il problema sono gli allenamenti, in modo da abbandonare le tante preghiere, per essere preghiera.

Il Signore che abita in noi ci dà il gusto della sua Presenza, il gaudio della relazione con il Padre, la creatività dello Spirito Santo che ci dicono: segui, cammina nelle vie della vita in attesa di quella preghiera che non avrà mai fine in una lode inesauribile che sarà il canto eterno del Paradiso.

 

20 luglio 2025

XVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO C -

DOMENICA 20 LUGLIO 2025                                                        

Gn 18,1-10a      Col 1,24-28      Lc 10,38-42

OMELIA

Il cristiano è chiamato a diffondere nel cammino di tutti i giorni pace e armonia.

È quello che Gesù ci ha insegnato domenica scorsa invitandoci a essere prossimo per ogni fratello, ma per realizzare questa meta -nella quale ogni uomo ritrova veramente se stesso - oggi Gesù ci dice che lo dobbiamo ospitare nella nostra vita, lo dobbiamo ospitare nella nostra persona.

Infatti l’episodio di Marta e Maria che danno ospitalità a Gesù è estremamente significativo del “come” noi ci comportiamo nei confronti di Gesù.

Le due persone sono l’espressione di due atteggiamenti: Marta è presa dall’insieme delle cose che deve fare, tradita dal fatto che dare ospitalità a Gesù era offrirgli una buona accoglienza esteriore.

L’uomo che è nell’affanno della vita non dà mai ospitalità a Gesù perché è tutto preso nel suo mondo, l’insieme delle cose che fa diventa il valore della sua esistenza. Se noi vogliamo essere discepoli del Signore e vogliamo veramente accoglierne la presenza dobbiamo superare ogni agitazione di vita che ci fa rinchiudere in noi stessi e ci impedisce di essere quella pura accoglienza del Maestro che invece ha realizzato la figura di Maria. Infatti cosa vuol dire quel linguaggio dell’evangelista che “Maria stava ai piedi di Gesù per ascoltarlo”?

Alcune sottolineature ci possono aiutare per riscoprire come dobbiamo, nella nostra vita quotidiana, dare ospitalità al Signore.

Il primo elemento è che dobbiamo essere consapevoli che stiamo alla sua Presenza.

Noi possiamo dare ospitalità a Gesù mettendo la nostra esistenza davanti a lui: è la creatura che ama dare ospitalità al Creatore.

Davanti a questa Presenza nasce tutta quella attrazione che dovrebbe caratterizzare il discepolo. Il discepolo davanti al Maestro dimentica se stesso perché è tutto preso dalla persona di Gesù che è il criterio attorno al quale elaborare la propria vita.

L’uomo costruisce la sua vita attraverso attive presenze nella propria storia e la storia del cristiano è essenzialmente accogliere la presenza di Gesù. Ma perché Gesù si fa nostro ospite e quindi noi veniamo attratti dalla sua persona ritrovandovi il senso e il gusto della vita? Ora, se entriamo in profondità nella comprensione dell’atteggiamento di Gesù, un primo elemento che appare in modo chiaro è, che Gesù, entrando in rapporto con Maria, entra in rapporto con la verità dell’uomo facendo emergere dal cuore dell’uomo quella sete di verità.

È un’esperienza che Gesù opera continuamente nella sua storia, quando si incontra con gli uomini fa emergere quella positività del cuore umano che si ritraduce fondamentalmente nella sete e nella ricerca del volto di Dio, perché il cuore dell’uomo è innamorato del Signore, sia che lo sappia, sia che non lo sappia. Il cuore dell’uomo è il cuore di chi è creato a immagine e somiglianza di Dio, quindi Maria, ponendosi ai piedi di Gesù, si lascia conquistare, afferrare e fa emergere sotto lo stimolo del Maestro quella sete del volto di Dio e della sua Parola che è il principio dell’esistenza.

Gesù si rende ospite dell’umanità per fare emergere quel desiderio di Dio che è presente nel cuore di ogni uomo.

Attraverso questo primo passaggio (per cui non esiste cuore umano che non abbia la sete del volto di Dio) ecco, in questo silenzio, Gesù entra in questa sete che caratterizza Maria. È la pedagogia meravigliosa del Signore…

Il Signore quando diventa ospite della nostra esistenza fa emergere da noi quella meravigliosa creatività nel quale semina la sua Presenza. Il nostro cuore allora è abitato: il Signore è dentro di noi, il totalmente Altro viene a abitare in un cuore che ha sete di Lui.  Questa signoria fa sì che Colui che è dentro di noi diventa il grande protagonista della nostra esistenza. Infatti quando un cuore che ama è abitato dalla persona sommamente amata, il cuore fa quello che ama la persona amata!

È il grande mistero della fede per cui il cristiano non fa niente altro che lasciare vivere Gesù dentro di sé attraverso il porre continuamente le sue opere. Ecco perché Gesù si fa ospite, perché il nostro cuore abitato da lui compia le sue opere: essere continuamente speranza, pace e armonia.

Anche perché (e lo abbiamo ascoltato nel racconto di Abramo) quando l’uomo si apre alla divina Presenza, si lascia attirare dal suo mistero e ne compie le opere, ha la fecondità di Dio, perché quando Dio viene dentro di noi, non è una Presenza “inerte”.

Essendo la persona che il discepolo sommamente ama, quella Presenza diventa talmente ricreativa che anche nella nostra povertà, Dio è sommamente meraviglioso!

Dare ospitalità a Dio è godere continuamente l’espandersi della gratuità di Dio.

L’uomo, in quel momento, ritrova il gusto della vita.

Il Signore si fa ospite attraverso questa attrazione nella quale egli si colloca perché noi abbiamo il gusto della vita e Lui è la vita che illumina ogni uomo che viene in questo mondo. Ecco perché il credente ogni volta che si lascia prendere dal suo Signore ritrova la bellezza della vita (e si intuisce perché Gesù ha detto che: “Maria ha scelto la parte migliore che non le sarà mai tolta”).

Se nel cammino della nostra esistenza daremo feconda ospitalità al Signore ci accorgeremo, in modo immediato, che in noi nasce quell’ebbrezza di eternità che sarà il gusto e il gaudio per sempre. Chi dà ospitalità al Signore sarà ospite del Signore per tutta l’eternità.

Lo “stare” ai piedi di Gesù -  come Maria - diventa principio di eternità beata.

Allora, la nostra vita di discepoli, non deve essere una vita agitata per tante cose da fare, ma deve essere semplice: una vita che accoglie, si lascia attirare, gusta una Presenza, la lascia agire con un cuore ricco di amore per regalare ai fratelli il gusto di quella vita che nell’eternità avrà la sua pienezza e la sua completezza.

Chi accoglie Dio ha la fecondità dell’eterno.

Ecco perché questa mattina ci siamo qui riuniti: per dare ospitalità al Signore.

In questo momento il Signore è ospite attirandoci a sé e, se ci lasciamo attirare da Lui, Lui ci dà la sua fecondità, il suo Corpo e il suo Sangue sacramentali, perché Lui vuol continuamente entrare in noi, regalandoci quel misterioso evento di salvezza che ci dà il gusto della vita.

Accogliamo nel pane e nel vino Gesù che diventa un ospite, in modo da lasciarci veramente trasfigurare da questa Presenza e con il Signore, dal quale non possiamo mai staccarci, cammineremo nel cammino della storia senza timore perché con Lui l’eternità è già cominciata, è problema solo di tempo.

Entriamo in questo cammino glorioso in attesa del momento in cui, dopo aver ospitato il Signore sacramentalmente e nella fede, possiamo domani essere suoi ospiti nel paradiso che ci attende tutti.

 

13 luglio 2025

XV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO C -

DOMENICA 13 LUGLIO 2025                                                        

Dt 30,10-14      Col 1,15-20      Lc 10,25-37

OMELIA

Domenica scorsa Gesù ci invitava a percorrere le vie della storia comunicando pace e armonia ai fratelli in modo che si creasse un mondo nuovo che fosse segno che il Signore era veramente entrato nella storia.

Nel momento nel quale noi entriamo in comunione con gli uomini, ci accorgiamo che l’umanità si ritrova in una drammatica situazione di vita. Allora Gesù ci invita a entrare in rapporto con i fratelli diventando loro “prossimo”. È la parabola che Gesù questa mattina ci regala: riscoprire la nostra vocazione ed essere prossimo.

Gesù si pone dinnanzi come l’esempio di cosa voglia dire essere prossimo. Infatti la parabola è niente altro che la narrazione della storia di Gesù.

Gesù è diventato nei confronti dell’umanità il prossimo, colui alle cui orecchie giunge ogni grado di sofferenza.

Gesù si colloca in questo atteggiamento attraverso i primi tre verbi che la parabola ci offre e che determinano il comportamento stesso di Gesù: passare accanto, vedere, avere compassione.

Tre elementi attraverso i quali riusciamo a incarnare Gesù che si colloca accanto alla sofferenza dell’umanità per seminarvi la speranza.

Innanzitutto quel “passare accanto” di Gesù: in quell’atteggiamento cogliamo il primo elemento per scoprire cosa voglia dire farsi prossimo. Passare accanto vuol dire ascoltare, ascoltare il grido di sofferenza, il grido di umanità che è nel dramma dell’esperienza della malattia, della sofferenza, del disagio, delle oscurità.

Farsi prossimo è ascoltare.

Questo è il primo elemento che Gesù questa mattina ci insegna: imparare ad ascoltare.

Prossimo non è colui al quale ci rivolgiamo attraverso le opere di misericordia. Gesù ci ha detto che prossimo è colui alle cui orecchie giunge un grido di aiuto e, di riflesso, il porci accanto ai fratelli e ascoltarne il disagio.

La prima esperienza alla quale Gesù ci chiama è aprire l’ascolto del cuore.

Questo primo atteggiamento si ritraduce nel vedere. 

Quando il cuore è attento ed è aperto all’ascolto, in quel momento, riesce a vedere, riesce a fare entrare nella propria vita l’altro fratello. Vedere è il linguaggio del passaggio dall’esterno all’interno; l’ascolto diventa visione.

Questo vedere lo potremmo ritradurre con la parabola di Gesù dove il piccolo seme diventa albero e su quell’albero gli uccelli fanno il loro nido, diventare persone nelle quali i fratelli vengono ad abitare. Farsi prossimo è dire al fratello: “Abita nella mia persona! Prendi dimora nel mio cuore! Trovati a tuo agio nella mia vita!”

È quello che ha fatto Gesù che, non solo ha ascoltato il grido dell’umanità, ma è diventato uomo vivendo il dramma dell’uomo.

Gesù non si è posto solamente come compagno di viaggio dell’umanità, si è identificato con l’esperienza dell’umanità attraverso l’incarnazione e la condivisione della vita.

Allora, il terzo passaggio: “ne ebbe compassione”. Ha vissuto il dramma di quell’uomo.

Ecco perché questa compassione si è ritradotta poi nei verbi successivi: gli si fece vicino, lo fasciò, gli versò olio e vino per poterlo curare, l’olio che lenisce, il vino che disinfetta.

Ecco che ritroviamo come Gesù, nel farsi prossimo, guarisce profondamente l’umanità.

Ecco perché il cristiano nel cammino della sua vita continuamente è aperto all’altro facendolo abitare nella propria vita, per poterlo veramente rigenerare!

In questo intuiamo come il cristiano sia veramente la consolazione dei fratelli.

Non solo siamo chiamati a portare la pace, ma poiché la storia è irta di difficoltà dobbiamo diventare buon samaritano.

Ascoltare nel farci vicino ai fratelli, dobbiamo farci buon samaritano attraverso il vedere l’altro, facendolo passare nella propria vita in modo che la compassione diventi guarigione.

È il mistero che viviamo non solo ogni giorno, ma particolarmente in questa Eucaristia perché se affrontassimo veramente il senso dell’Eucaristia è Gesù che si fa nostro prossimo.

Gesù vedendo il nostro dramma si rende presente in mezzo a noi, ascolta il nostro dramma e lo fa proprio e, nel pane e nel vino, ci dà la consolazione che è la nostra guarigione.

Ecco perché Gesù ci dice: “Vivi la tua storia con i fratelli, non temere”.

Allora la domanda dello scriba: “Che cosa devo fare per avere la vita eterna?” e la chiara risposta di Gesù: “Va’ e fà anche tu lo stesso”.

Se vuoi entrare nell’esperienza vera della comunione divina che dona la pace, diventa il buon samaritano, imita la mia vita!”

Poiché nell’Eucaristia continuamente veniamo guariti, uscendo di chiesa dobbiamo essere il buon samaritano: ascoltare, vedere, avere compassione, guarendo i fratelli.

Allora nascerà quel mondo nuovo per il quale Gesù ha donato effettivamente la sua vita.

Tale sia il mistero che vogliamo vivere e condividere in questa celebrazione in modo da camminare con fiducia e con speranza certi che, se Gesù si fa nostro prossimo ascoltando i nostri disagi, possiamo in lui ritrovare la speranza di essere uomini nuovi che fanno nuovi i fratelli diventando noi, a nostra volta, prossimo per chiunque incontriamo nel cammino della vita.

 

08 luglio 2025

Oggi, qui, Dio ci parla...

"Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe"

La bellezza del costruire la novità del mondo passa attraverso la docilità alla signoria della preghiera.

L'uomo attraverso questo atteggiamento si mette nelle mani di Dio, amandone intensamente il mistero. 

Lo Spirito Santo ci guidi nel perseguire tale finalità. 

AMEN

06 luglio 2025

XIV DOMENICA T.O. - ANNO C -

DOMENICA 6 LUGLIO 2025

Is 66,10-14c      Gal 6,14-18      Lc 10,1-12.17-20

OMELIA

Il discepolo è chiamato a vivere continuamente l’interiorità del Maestro.

Lui abita in noi, in lui noi ritroviamo ogni giorno il senso della vita perché la vita del cristiano è un sacramento vivo della presenza del Maestro.

Ecco perché Gesù questa mattina ha invitato i suoi discepoli ad andare, perché l’intensa comunione che egli ha stabilito con loro diventi il criterio di comunicazione.

Le cose grandi che il Signore opera in noi devono essere comunicate.

Il discepolo è sacramento delle meraviglie del Signore; Gesù in questo orizzonte, oggi, ci pone dinnanzi un atteggiamento che ci dovrebbe intensamente qualificare: Gesù ha inviato i discepoli e ha detto loro: “Entrando in una casa dite: pace a questa casa!”

In questo atteggiamento cogliamo la dimensione sacramentale della vita: nel gesto di entrare in una casa, come segno visibile, si comunica una realtà invisibile: la pace.

L’atteggiamento del discepolo è una visibilità che regola un’esperienza invisibile.

Ecco perché il cristiano nell’itinerario della sua storia è un sacramento che diffonde l’armonia di Dio. È la bellezza della nostra vita!

Spesso pensiamo che il mistero dei sacramenti siano quelli che celebriamo in chiesa, ma la loro funzione è di rendere la nostra vita “sacramento”, segno visibile del comunicarsi di un’affascinante esperienza invisibile.

Innanzitutto, Gesù, è il sacramento della pace.

Gesù dicendo ai discepoli: - entrando in una casa dite: “Pace a questa casa!” - non fa niente altro che dire ai discepoli: nella vostra vita fate quello che ho fatto io.

Se andiamo alle narrazioni evangeliche la mattina di Pasqua Gesù apparendo ai discepoli ha detto: “La pace sia con voi”.

Il Risorto è il sacramento della pace di Dio, dell’armonia di Dio.

Ma come Gesù ha potuto elaborare questo meraviglioso frutto dello Spirito Santo che è la pace?

In Gesù che fu profeta in parole e in opere scopriamo due elementi: Gesù è tutto nel Padre, è nascosto nel Padre, Gesù è l’armonia del Padre.

Se guardiamo attentamente la persona di Gesù ci accorgiamo come essa fosse tutta un evento di comunione per cui Gesù era la tranquillità di Dio, ma nello stesso tempo Gesù è prossimo all’umanità, è molto concreto.

Dal momento dell’Incarnazione, per tutto l’itinerario della sua esistenza, Egli ha comunicato armonia: i miracoli, i suoi atteggiamenti, le sue parole. Gesù ha costruito un’esistenza regalando la pace di Dio, perché in Gesù si sono sintetizzate tutte e due le componenti: “tutto in Dio e tutto per l’uomo” e “tutto uomo per regalare il suo essere tutto di Dio”.

Ecco perché il cristiano ricevendo nel profondo della propria esistenza tale mistero riesce a elaborare una vita sacramento di armonia.

Ogni gesto del cristiano, ogni parola, ogni pensiero è regalare l’armonia di Dio.

È qualcosa di cui dobbiamo essere profondamente convinti perché ogni volta che ci ritroviamo con il Signore, lui ci rigenera, ci rifà, genera in noi una novità di vita, ma tutta questa realtà non è qualcosa che rimane rinchiusa nell’ambito del nostro io, deve diffondersi, attraverso la semplicità dei gesti di tutti i giorni.

Ecco perché la pace che il Signore ci regala non è un espediente psicologico.

Spesso l’uomo è tentato di essere nella pace scappando dalla vita, uscendo dalla storia, scappando dai rumori dell’esistenza. La pace non è data dagli ambienti, la pace non è data dalle situazioni esterne che in un modo o in un altro raggiungono la nostra vita, la pace è una pienezza che si diffonde attraverso la semplicità feriale di ogni giorno.

“Egli passò beneficando e sanando tutti quelli che erano sotto lo spirito del demonio, perché Dio era in lui!”

Ecco perché il cristiano incontrando qualunque persona attraverso il linguaggio della vita dice: ti regalo l’armonia di Dio!

Spesse volte siamo tentati dall’accumulare tante cose e, in certo qual modo, anche il cristiano ha la malattia della frenesia dimenticando quello che è il criterio di fondo che, nella semplicità di tutti i giorni, noi regaliamo: la pace di Dio.

Non solo, ma se scopriamo che la nostra esistenza nel suo valore più profondo è un grande sacramento, noi, regalando pace, maturiamo nella pace.

Ogni gesto che poniamo ci rigenera nell’armonia di Dio. Ecco perché il Signore ci invita questa mattina a rivivere il suo mistero: tutto in Dio, tutto con gli uomini, dove le due realtà devono essere continuamente compenetrate, quindi la grandezza di Dio opera dentro di noi, per essere – attraverso il concreto della vita – regalato ad ogni fratello.

Nella vita di un grande santo della Chiesa russa - San Serafino di Sarov - si dice che, talmente era compenetrato in questa presenza divina che quando si accostò a un animale indomabile (il lupo), il lupo immediatamente, nella luce che emanava da questa persona, divenne tranquillo come un agnello.

Linguaggio magari paradossale, ma cosa molto vera! Se nella nostra esistenza maturassimo un profondo amore a Dio e all’umanità concreta noi trasmetteremmo, in qualunque relazione, questa esperienza di armonia.

L’uomo è sacramento di Cristo che fa miracoli continuamente, che regala la pace di Dio a ogni umana creatura.

Dovremmo ogni giorno abitare nell’armonia d’amore di Dio perché l’amore di Dio (ben lo sappiamo) dimora dentro di noi.

La vita allora non è correre, ma la vita è un camminare sacramentale, attraverso la gestualità feriale regalare l’armonia di Dio per cui le persone incontrandoci dovrebbero dire: sono affascinato dalla pace del Signore!

Ecco perché il Signore questa mattina ci stimola a vivere il nostro cammino quotidiano nella comunicazione.

È qualcosa di grande che il Signore opera dentro di noi ed è quello che stiamo vivendo in questa Eucaristia nella quale il Signore ci dà la sua pace. Ecco il mio Corpo dato per voi, ecco il mio Sangue versato per voi.

Perché nel Sangue di Cristo, Gesù ha fatto pace con tutti.

Questa mattina assumendo il Corpo e il Sangue del Signore, nella sua componente sacramentale, Gesù ci comunica la sua pace e noi uscendo di chiesa siamo chiamati a essere sacramento dell’armonia di cui il Signore ci ha arricchiti.

Tale sia il mistero che vogliamo vivere perché attraverso anche la nostra vita, la meravigliosa profezia di Isaia (prima lettura) divenga una realtà feconda in un mondo tribolato: la gioia di essere credente è diffondere armonia attraverso il sorriso del cuore che è speranza per ogni fratello.