DOMENICA 27 LUGLIO 2025
Gn 18,20-32 Col 2,12-14 Lc 11,1-13
OMELIA
Gesù domenica scorsa ci invitava
a dargli ospitalità in modo che egli potesse nella nostra vita camminare con
noi e ricolmarci di quella speranza che è luce nelle tenebre della storia, ma
questa ospitalità che siamo invitati a dar a Gesù oggi, si ritraduce
nell’esperienza della preghiera.
Infatti il pregare è
essenzialmente la gioia di dare ospitalità a Gesù.
Pregare è permettere a Gesù di
agire nella nostra storia per cui, nell’atto del pregare, abbiamo il gusto del
Signore che, in noi, si rivolge al Padre.
Ecco perché questa mattina Gesù
vuol aiutarci a comprendere il vero significato della nostra vocazione a
pregare, poiché tale vocazione non si ritraduce nella preghiera, ma nel lasciare
operare Gesù nella nostra vita, per cui l’uomo è orante perché lascia spazio,
nel cammino della sua vita quotidiana, alla creatività divina dentro di lui.
L’uomo, quando decide di voler
pregare e pensare a quello che deve dire, già non sta pregando, perché la
bellezza della preghiera è gustare quella creatività di Cristo in noi, che ci
fa percepire il sapore del suo rapporto con il Padre.
Il vero pregare è gustare la
creatività della divina Presenza dentro di noi.
Ecco perché non esiste uomo che
non preghi, sia che egli lo sappia, sia che non lo sappia, perché ogni uomo
essendo stato creato a immagine e somiglianza di Dio è la presenza di Dio e
questa presenza di Dio è dinamica, quindi la vocazione a pregare è lasciar
aprire il proprio cuore alla creatività di Dio.
Ecco perché il cristiano quando
incomincia a pregare non sa quello che chiederà, perché il pregare è dire a Dio
quello che Dio ha seminato nel nostro cuore e pone continuamente sulle nostre
labbra.
Il pregare è la spontaneità di un
cuore abitato da Dio che diventa il linguaggio delle labbra, il linguaggio
della gestualità.
Partendo da questa convinzione –
per cui non dobbiamo nella nostra vita preoccuparci di quello che diremo – ma
avere il gusto di una Presenza, intuiamo il contesto nel quale l’evangelista
Luca colloca la preghiera del Padre Nostro.
Un discepolo vedendo Gesù in
orazione lo invita a insegnargli lo stile della preghiera, perché il discepolo
– come discepolo – vive di una condizione orante abituale.
Infatti noi, tante volte, siamo
tentati da due atteggiamenti che ci impediscono la verità e la semplicità della
vita: il pensare che il pregare sia dire tante preghiere e che seguire Gesù sia
un comportamento morale.
Tutte e due le linee, molto
pericolose, ci potrebbero far dimenticare il cuore.
Il discepolo sa esattamente che
la sua esistenza è semplicemente l’incarnazione della personalità di Gesù. La
bellezza di essere discepoli del Signore è, in certo qual modo, permettergli di
vivere totalmente dentro di noi e il nostro atteggiamento quotidiano ne è
l’espressione feriale.
Come possiamo effettivamente
rendere la nostra vita di sequela del Maestro una continua incarnazione della
sua presenza se non nella duttilità interiore che è lo Spirito di preghiera? Lo
Spirito di preghiera ci dà quella capacità di ascoltare il Signore
interiormente e di permettergli di agire nelle parole, nei comportamenti, nelle
relazioni, per cui il discepolo che vive in condizione di preghiera - lette in
questo modo - fa sì che tutta la sua vita sia un meraviglioso sacramento di
Dio.
Ecco perché quando vogliamo
seguire il Maestro dobbiamo sempre dargli quella ospitalità orante che gli
permette di essere creativo dentro di noi. Di riflesso, noi abbiamo la gioia di
pregare, perché nel pregare, ogni azione ha il “sapore” di Cristo.
Gesù non ci ha insegnato la
formula del Padre Nostro, Gesù ci ha insegnato a dire: “Abbà, Padre”, ci ha
insegnato a permettergli di comunicare a Lui il gusto che egli ha nel suo
rapporto con il Padre.
Un vero discepolo che voglia veramente
rendere viva la sua vita dice solo: “Padre!” e nel momento in cui dice “Padre”
percepisce il Cristo in lui, percepisce il gusto di Gesù che si relaziona con
Dio e, in questo modo, pregare è diventare persone che percepiscono il
meraviglioso rapporto Padre–Figlio.
Ecco perché le tante preghiere
distraggono “la preghiera”.
L’uomo che pensasse di pregare
perché dice tante preghiere è un illuso, perché la preghiera è essenzialmente
“Padre!”, percepire la gioia di essere discepoli in un itinerario dove lui è il
Signore!
Una cosa bella che l’uomo
contemporaneo mette in luce è abolire le preghiere lunghe.
L’uomo contemporaneo non
digerisce le preghiere lunghe perché ha una incapacità psico-fisica.
La vera preghiera è una parola
che è il segno di una profonda vitalità interiore.
La preghiera, usando un’immagine,
diventa semplicemente “schiacciare un tasto del pianoforte” da cui esce
un’infinità musicale, è una nota che riempie di divino la nostra esistenza.
Allora ci accorgiamo che non
esistono “momenti” di preghiera perché non esistono momenti in cui Gesù è
l’ospite, e giorni in cui Gesù è assente!
Gesù è sempre presente quindi
abbiamo sempre il gusto di questo pregare che è niente altro che la gioia del
Signore dentro di noi.
Allora il vero discepolo sa pregare
e chi sa pregare è il vero discepolo.
In questa ottica il Signore ci
ascolta sempre, perché non siamo noi a pregare, ma è lui in noi, anzi, nel
pregare entriamo in una circolarità molto bella che un autore ortodosso ha
espresso in questa formula: “Quando preghiamo, Dio prega Dio” cioè entriamo
nella circolarità della vita divina.
Ecco perché le tante preghiere
sono una stanchezza spirituale!
La vera preghiera è il silenzio
che si incarna in poche parole, ma soprattutto nella gestualità serena della
vita di tutti i giorni.
Pregare continuamente è vedere in
quello che facciamo, il Signore che sta operando.
È bello ogni giorno dare ospitalità
a Gesù per lasciarlo agire.
Allora cosa è la nostra vita?
È un passeggiare feriale con Gesù
che ci mette in rapporto con il Padre da cui deriva il dono ineffabile dello
Spirito Santo!
Attraverso il costruire in questo
schema di vita la realtà di tutti i giorni, pur nel trambusto quotidiano,
abbiamo il gusto di una meravigliosa Presenza.
In questo momento in cui il
Signore è presente in mezzo a noi, Egli entra in noi nel suo Corpo e nel suo Sangue,
e noi nel silenzio dell’Adorazione eucaristica ne scopriamo la meravigliosa
Presenza, in modo che uscendo di chiesa, questa mattina, siamo il luogo in cui
abita il Signore che sta pregando anche quando parliamo delle cose di tutti
giorni, perché lui è veramente presente!
Entriamo in questa esperienza
anche se in modo immediato ci sembra abbastanza ardua, è una cosa molto
semplice, il problema sono gli allenamenti, in modo da abbandonare le tante
preghiere, per essere preghiera.
Il Signore che abita in noi ci dà
il gusto della sua Presenza, il gaudio della relazione con il Padre, la
creatività dello Spirito Santo che ci dicono: segui, cammina nelle vie della
vita in attesa di quella preghiera che non avrà mai fine in una lode
inesauribile che sarà il canto eterno del Paradiso.
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