Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio
26 ottobre 2022
25 ottobre 2022
24 ottobre 2022
23 ottobre 2022
XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO C –
Sir 35,15b-17.20-22a
2 Tm 4,6-8.16-18 Lc 18,9-14
Omelia
Gesù opera intensamente nella vita
di ogni discepolo e gli fa pregustare passo passo la grandezza del suo amore,
nella prospettiva della pienezza della gloria.
Nel cammino quotidiano della fede
avviene nel battezzato un processo di incessante attrazione, che lo colloca
sempre più nella luce divina, quella luce che deve animare e qualificare la sua
storia. Specialmente nell’esperienza della preghiera questa dinamicità si
rivela estremamente significativa e produttiva.
L’uomo, che desidera essere
sapiente nelle scelte quotidiane, sa collocare i propri parametri esistenziali
nel mistero della propria relazione con il Dio che crea, redime e
santifica. Infatti, quando il discepolo
si pone della condizione della orazione, come accoglienza costante della divina
presenza nella propria concreta esistenza, avverte in se stesso l’agire divino
che lo stimola a lasciarsi permeare dalla gratuità che lo avvolge, lo fa
esistere, lo attira a sé e lo aiuta a ritrovare se stesso. E’ il senso della
parabola che oggi Gesù ci offre.
Il tempio rappresenta per
eccellenza il luogo in cui abita la gloria di Dio. L’uomo, “entrando nella nube
del mistero”, avverte la verità della propria condizione interiore e ritrova se
stesso non solo come creatura strutturalmente limitata, ma soprattutto come
creatura che è profondamente impregnata dalla condizione di peccato. Nella luce
che viene dall’alto l’uomo riscopre la verità della propria esistenza.
Sicuramente una simile convinzione
serena e coraggiosa della propria creaturalità lo porta ad accogliere sé stesso
con tutti i propri limiti esistenziali e a porsi in relazione viva e dinamica
con colui che gli può offrire consistenza per le scelte quotidiane nello
scorrere della sua vicenda storica. Il salmista ci dice: Solo in Dio riposa l’anima mia, da lui la mia
speranza.
Solo a chi ama essere piccolo nel
mistero della grandezza divina, Dio rivela la grandezza del suo amore. La gioia
della propria piccolezza, anche se peccatrice, rappresenta l’esperienza
quotidiana per assaporare la grandezza inesauribile della misericordia di Dio.
Ciò che conta nell’esperienza quotidiana sta nel ritrovare il coraggio di
abitare nell’Amore. In tale orizzonte esistenziale l’aspetto, tuttavia, al
quale Gesù vuole condurci e sul quale vuole richiamare la nostra attenzione è
quello di sentirci evangelicamente peccatori. Infatti non solo siamo chiamati a
prendere coscienza della nostra piccolezza, ma anche ad avvertire la condizione
di non vitale comunione con
Tale esperienza è fattibile solo
nella diretta relazione con il divino. La luce, che anima la parabola odierna
del pubblicano e del fariseo, scaturisce dal tempio e ha come contesto il
tempio. Solo alla presenza di Dio l’uomo, che brama un’intensa purezza del
cuore, ama sentirsi pura gratuità divina e si lascia condurre a riconoscere il
proprio peccato. Chi entra da credete nel mistero della misericordia trinitaria
gusta l’essere nuova e luminosa creatura, in una esaltante ebbrezza interiore.
Nel tempio si fa l’esperienza di
un peccato che nella fede diventa luogo del darsi misericordioso di Dio che
rigenera il cuore umano.
Il dramma del fariseo lo cogliamo
nel fatto che egli non avverte la propria povertà esistenziale. Di riflesso si
allontana dalla convinzione evangelica di non sentirsi pura grazia, con la
grande tentazione del sentirsi interiormente “protagonista”. Egli infatti, nel
suo atteggiamento, rivela l’incapacità di non sentirsi profondamente amato, con
la conseguenza logica di saper amare la propria condizione di radicale povertà.
Dovremmo amare d’essere semplici nel
cammino quotidiano, mettendo i nostri limiti nel fuoco dell’amore della
incarnazione pasquale del Signore. Il pubblicano, invece, si colloca in un
altro orizzonte e pone sé stesso pienamente nelle mani di Dio. Il suo
atteggiamento esteriore e le parole che fioriscono dal suo cuore sottolineano
la coscienza attiva della grandezza di Dio nella sua storia. Infatti la
coscienza di sentirsi peccatore in una grande speranza fiorisce dal diuturno
incontro con Dio.
Infatti se Dio smettesse di
illuminare il cuore della creatura e di offrirle la sua fiducia nello Spirito
Santo, questa non avvertirebbe mai la fecondità della presenza divina nella
propria esistenza e non ne godrebbe l‘infinita misericordia. La grandezza della
persona umana sta tutta nel mettersi davanti a Dio per lasciarlo operare nel
proprio cuore. Infatti il linguaggio del pubblicano ritraduce la ferma
convinzione d’essere sotto l’influsso dell’amore divino, che opera nel cuore
umano in modo fecondo. Ogni riconoscimento del proprio peccato incarna la
fecondità dell’azione divina nel cuore della creatura.
Se guardiamo attentamente l’azione
divina nel cuore dell’uomo, ci accorgiamo come lo Spirito Santo illumini le
profondità della nostra persona e le faccia comprendere come abbia operato
scelte che non incarnavano la vocazione alla comunione con Dio e con i fratelli.
E’ in Dio allora che l’uomo dice d’essere e di sentirsi peccato. Questo
atteggiamento, che potrebbe sembrare in modo immediato un’esperienza negativa,
tuttavia risulta un momento fecondo per proiettarsi in un itinerario di
conversione, nel quale l’uomo si rende sempre più docile all’azione dello
Spirito Santo.
Egli si sente, nella propria
persona, la fiducia di Dio in atto.
Quando si vive tale esperienza,
non viene mai meno il coraggio d’affrontare ogni avventura esistenziale per
maturare nella luminosità dell’esistenza, non avendo paura neppure dell’impossibile.
Intuiamo di conseguenza che l’uomo
viva da perdonato con il coraggio della fede, non temendo mai di riconoscersi
peccatore, poiché tale esperienza scaturisce dalla forte e continua relazione
con Dio, nel quale ama abitare quotidianamente, per essere stimolato a
costruire ogni istante della propria esistenza in una continua novità di vita.
Questa condizione diventa allora
la convinzione abituale che anima il cristiano per comprendere la propria
esistenza nell’orizzonte divina e per crescere nella conversione.
Il risultato di un simile percorso
sarà l’espressione del recupero in termini personali e consapevoli della
comunione che Dio continuamente sviluppa nel cuore del discepolo. Questi vivrà
la sua storia regalando quotidianamente quella speranza esistenziale, e tale
vitalità spirituale rappresenterà la forza per ricominciare sempre da capo.
In questo percorso esistenziale intuiamo
l’affermazione di Gesù che il pubblicano se ne sia ritornato a casa
giustificato meglio del fariseo. Chi dimora in Dio, vive una profonda
luminosità spirituale che gli fa percepire contemporaneamente la sete di luce
che zampilla nel suo cuore, e un intenso desiderio di abbandono progressivo del
regno delle tenebre.
Questo è un itinerario che non
avrà mai alcun termine, fino a quando la creatura sarà definitivamente
trasfigurata nel mistero di Dio.
Il quadro parabolico che Gesù oggi
ci presenta lo stiamo vivendo ora.
Anche noi siamo saliti al tempio e
ci troviamo nella gloria divina, contemplando nello Spirito la presenza luminosa
del Cristo. Se in questa viva e vivace relazione con il Maestro sappiamo
sentirci peccatori, nella speranza che viene dall’alto, allora nel momento in
cui faremo la comunione, Gesù ci donerà il suo Corpo dato e il suo Sangue
versato per renderci uomini giusti, uomini che crescono - per grazia - nella
meravigliosa comunione divina. Qui viviamo ogni domenica la vivacità della
nostra rigenerazione esistenziale.
Non dobbiamo mai temere nel
sentirci peccatori nel mistero che ci avvolge, ma dobbiamo lasciarci invadere
dalla potenza divina per maturare giorno per giorno nel desiderio d’essere
progressivamente trasfigurati nel Maestro.
Ciò avverrà pienamente nella
meravigliosa liturgia del cielo.
22 ottobre 2022
21 ottobre 2022
20 ottobre 2022
19 ottobre 2022
18 ottobre 2022
17 ottobre 2022
16 ottobre 2022
XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C -
Es 17,8-13 2Tm 3,14-4,2 Lc 18,1-8
Domenica scorsa la Chiesa ci ha riuniti perché
ricordassimo la dedicazione di questa comunità cristiana. Nell’aula della celebrazione
liturgica scopriamo d’essere persone che appartengono al Signore e tale
esperienza vuol dire imparare ad essere in stato di preghiera. E’ molto bello
come il profeta Isaia abbia detto la mia casa è casa di preghiera perché la
bellezza di essere comunità cristiana è essere fraternità orante. In continuità
con tale verità questa mattina la Chiesa ci offre la parabola sulla necessità
di pregare continuamente. Ci sentiamo dunque stimolati ad intuire come sia
bello soffermarci ad intuire cosa voglia dire pregare continuamente. Su tale
orizzonte emergono tre possibili sottolineature:
la vocazione a
pregare continuamente
esercizio
dell'essere creature, in una perseveranza continua,
in attesa di
lasciarci incontrare dal Signore quando verrà sulle nubi del cielo.
Innanzitutto il pregare e il pregare continuamente,
come ci suggerisce il testo evangelico, è l'esercizio dell'essere creature.
Della nostra identità creaturale. Dobbiamo sempre distinguere tra il “pregare”
e “il dire le preghiere”, il dire le preghiere è un linguaggio storico, il
pregare è la vocazione all'interno della persona, il pregare è l’esercizio
della gioia dell'essere creature nelle mani del Creatore. Ecco perché
l'immagine che Gesù ha usato nella parabola della preghiera è quella della
vedova? Chi è la vedova? E’ la donna che è stata “depauperata” del marito, e
l'evangelista Luca è innamorato della tipologia delle donne vedove. Per ben
quattro volte nel Vangelo di Luca viene citata tale esperienza; Anna figlia di
Fanuele, la vedova di Naim, la donna Siro-fenicia e la vedova della parabola
odierna. Tale tipologia aiuta a comprendere il valore di essere vedove; donne
che vivono del desiderio dell’intimità con lo sposo. Infatti qual è il
fondamento del nostro pregare? E la risposta ce la dà quel testo molto bello
della creazione dell’uomo: facciamo l'uomo a nostra immagine perché diventi progressivamente nostra
somiglianza. Pregare è respirare quotidianamente la gioia coraggiosa di
essere creature nelle mani del Creatore, pregare è collocare la nostra
esistenza nella signoria di Dio, e pregare è prendere coscienza continuamente
che siamo l’oggi della divina provvidenza trinitaria. Il pregare è la gioia di
vivere in relazione con il Signore ritrovando e riscoprendo in modo continuo la
nostra esperienza d'essere capolavori della relazione con Dio. Come conseguenza
il pregare continuamente, è nient'altro che prendere giorno per giorno una
coscienza progressiva dell'appartenenza della nostra identità al mistero
creativo di Dio che è Padre Figlio e Spirito Santo, pregare è respirare l'agire
trinitario nella nostra persona. Vivere è pregare in alto, e il pregare in alto
ci dà la bellezza e il coraggio del vivere. L'idea di Gesù espressa nella
parabola del pregare continuamente è nient'altro che l'esercizio, gioioso e
coraggioso, di essere creature nelle mani del Creatore e pregare continuamente è
divenire la luminosità della presenza di Dio che trasfigura le nostre persone collocandole
nelle mani della Provvidenza che ci guida continuamente.
Partendo da questo primo elemento per cui non esiste
uomo che non preghi, perché ogni uomo è chiamato a respirare quotidianamente il
dono di esistere, emerge il secondo passaggio nelle immagini della vedova.
Infatti dicevamo che l'evangelista Luca ami le immagini della vedova poiché ritraduce
una profonda condizione esistenziale che nell'ordine della fede possiamo ritradurre
così: senza il Signore non possiamo vivere! Pregare è una professione di fede: Tu sei il mio Signore! Anche se a
livello emozionale possiamo avere la sensazione di non riuscire a pregare, tuttavia
il coraggio di vivere, il coraggio di camminare nella storia, il camminare nel
coraggio di appartenere a Dio è un meraviglioso pregare. Le preghiere sono il
linguaggio storico di una vocazione all'interno della nostra vita solo in Dio
riposa l'anima mia! Ecco perché la preghiera più bella è il silenzio di un
cuore orante che nel cammino quotidiano si affida, si fida cantando la propria
gratitudine a Dio. Il pregare continuamente è gustare il dono della ferialità
della vita. E questo aspetto è sicuramente importante da riscoprire perché ci
accorgiamo che la preghiera continua è respirare l'atto creativo di Dio che ci
ama in modo inesauribile e infinito.
Allora attraverso questo itinerario quotidiano si
realizzerà la risposta alla domanda che Gesù ha posto al termine di questo
brano evangelico ma il figlio dell'uomo quando verrà troverà la fede sulla
terra? Troverà persone che lo stanno aspettando?
L'uso delle immagini della vedova a tale riguardo
risulta estremamente significativa. L’anima del battezzato, espressa nella
dinamicità della donna vedova, nell'incontro con il Signore, realizzerà la propria
storia. E’ quel desiderio di eternità beata che è dentro di noi. Creati a
immagine di Dio abbiamo la vocazione ad essere oranti per venire trasfigurati
nella bellezza divina. Camminando nella gioia coraggiosa di essere creature
nelle mani di Dio diventiamo sua immagine per potere, al termine della nostra
vita, gustare eternamente la visione della Trinità beata. La verità del pregare
è il desiderio che cresce continuamente di poter vedere la gloria di Dio, è un
camminare dove il futuro è la vivacità del presente nella coscienza che siamo
capolavori costruiti dal Padre, dal Figlio e dello Spirito Santo per poter
veramente entrare in questa visione beata. L’invito a pregare continuamente riassume
tutto ciò che siamo, tutto ciò che bramiamo, tutto ciò che noi facciamo, tutto
ciò che noi desideriamo. E allora il momento della morte sarà l'incontro
desiderato per vedere eternamente il Signore in una visione inesauribile che
qualifica le nostre persone.
Ecco perché ci troviamo nell'Eucaristia. L’Eucaristia è
una preghiera vivente, attraverso il linguaggio del rito, perché è nient'altro
che vivere in atto nelle mani del Signore e vivendo nelle mani del Signore, il Signore
non ci delude. La presenza sacramentale del corpo e del sangue di Gesù è la
nostra preghiera concretizzata. Quando noi andiamo ai doni eucaristici è il Signore
che ci ha ascoltati, ha accolto il nostro desiderio di ricrearci nel cammino
del quotidiano, in attesa del banchetto glorioso Beati gli invitati alla cena
delle nozze dell'Agnello. Il pregare continuamente non è altro che desiderare
in modo continuo ed inesauribile la gustazione dell'eternità beata. Qui siamo
nel provvisorio, pregare continuamente è desiderare quell'incontro definitivo
quando Dio sarà tutto in ciascuno di noi. La odierna celebrazione eucaristica
rappresenta il massimo incontro nuziale con il Cristo nello Spirito Santo in un
inno di lode al Padre. E allora chiediamo allo Spirito Santo questo desiderio dello
sviluppo della vita divina dentro di noi in modo da orientare la nostra storia
in questa bellezza gloriosa che sarà la realizzazione della nostra vita. In
tale dinamica spirituale scopriremo allora che la persona sommamente amata, la
potremo raggiungere ella convivialità del paradiso, con essa godere di quella
visione gloriosa dove la Trinità allieterà profondamente il nostro spirito.
Ecco il pregare continuamente: il cuore amato che ama desidera un compimento di
gloria nella realtà del Paradiso nella Gerusalemme del cielo in quella pienezza
di gloria quando Dio sarà tutto in ciascuno di noi. Il pregare continuamente si
riveste di beatitudine eterna e tale è la gioia che vibra nei nostri cuori.