OMELIA
Cristo presente in mezzo a noi rinnova continuamente la nostra esistenza perché, come giustamente ha detto l'apostolo Paolo, "non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me".
L'uomo è la
vivente novità di Dio: è il grande mistero che il cristiano sperimenta
continuamente e gli offre la speranza al di là delle situazioni storiche.
Questa novità oggi passa attraverso il mistero del perdono.
L'evangelista
Luca ci dà una successione di fatti che ci permettono di comprendere che la
bellezza del perdono è gustare l'armonia di essere luminosamente abitati dal
Cristo. Il Signore, quando si accosta all'uomo, ha come criterio fondamentale
di rifare interiormente l'uomo.
Entriamo nella
struttura di questa donna di cui parla il Vangelo cogliendo il mistero di
perdono di cui Gesù l'ha arricchita. Il primo passaggio è che quella donna è
stata conquistata da Gesù. Non è la donna che va da Gesù, è Gesù che ha
conquistato quella donna, l'ha affascinata con la sua persona; Gesù è entrato
nella storia degli uomini perché ci lasciamo attirare a lui. L'attrazione a lui
è il valore fondamentale.
Il perdono non
nasce dalla coscienza dei nostri peccati, il perdono nasce da questa attrazione
affascinante del volto di Gesù. È una cosa, questa, molto difficile per l'uomo
contemporaneo perché abituato a ben altri criteri. Spesso abbiamo una
concezione abbastanza zoppicante del ministero del perdono: vado a dire i
peccati e sono perdonato. Che visione povera!
La bellezza
della vita è il fascino di Gesù.
Avete notato che
quella donna non ha enumerato nessun peccato; quella donna è entrata
nell'esperienza di Gesù che è diventato il criterio della sua vita, vivere di
Gesù era il senso della sua vita. Noi qualche volta abbiamo una mentalità poco
credente e poco evangelica: vado a dire i peccati, ricevo l’ assoluzione. Non è
uno scambio commerciale? "Dò perché tu mi dia".
Quella donna è
stata conquistata da Gesù; se non percepissimo tale verità non riusciremo
comprendere il suo atteggiamento. Infatti, se guardiamo attentamente il brano
ascoltato, quella donna non pronuncia nessuna parola, quella donna è tutta
gestualità e, questa gestualità, è niente altro che la riconoscenza della donna
che si regala totalmente a Gesù perché Gesù, il lei, si è regalato totalmente.
Se notiamo i verbi con i quali l'evangelista delinea l'atteggiamento di quella
donna ci accorgiamo che sono tutti linguaggi affettivi, linguaggi di una
persona che è stata lentamente penetrata da una Presenza che non può non
regalare tutta se stessa a questa persona. Dall'afferrare i piedi legati al
baciarli con intensità, (non è l'intensità di un rapporto interpersonale
fisico?) alle lacrime, che sono la sintesi di amore e di tristezza, di povertà
e di accoglienza di una richiesta. Gesù non deprime mai le persone.
L'incontro che
abbiamo con Gesù, se guardiamo attentamente, non è un incontro in cui diciamo i
nostri peccati, sono tutti già nel file della Santissima Trinità, ma gli
regaliamo la nostra persona ricca di riconoscenza perché lui è il tutto. Quando
uno si sente amato in pienezza non ama a tempo parziale, quando uno si sente
amato in pienezza si regala, come forma di riconoscenza a chi l'ha amato
intensamente. Il perdono dei peccati lo gusta solo chi canta la gratitudine
della sua persona che si è lasciata innamorare da Gesù. Quella donna vive
esattamente l'area di influenza dell'amore di Gesù. Allora, ci accorgiamo che
la bellezza del perdono non è quello che faccio io, la bellezza del perdono è
un canto di un cuore che gratuitamente si lascia amare. Quando l'uomo entra in
questa gratuità l'unica risposta non sono le parole, l'unica risposta è la propria
persona che si riconsegna alla persona che lo ama. Qui intuiamo la bellezza e
la profondità del perdono.
Il perdono è
creare l'uomo nuovo.
Evidenziato
tutto questo con un'espressione abbastanza paradossale, ma che ritraduce in
modo concreto quello che il Vangelo ci offre: cantare i nostri peccati che è
cantare la gratitudine di un amore ineffabile.
I cristiani non
pensino più a “cosa vado a dire”, che stoltezza! Ma vado a lasciarmi amare in
una dimensione relazionale che rende l'uomo gioioso. È molto bello il racconto
del Vangelo: quella donna è perdonata non perché ha amato, ma -la frase di Gesù
con la quale conclude il Vangelo- "La tua fede ti ha salvato", il
coraggio di spalancare la tua persona alla mia persona. Il linguaggio del
perdono e nient'altro che un semplice linguaggio di gioiosa relazione: un cuore
innamorato che apre la propria persona alla fonte della vita, che si sente così
animato interiormente da regalarsi. Dovremmo chiederci se, quando celebriamo
il sacramento della penitenza, siamo l'elenco morale-giuridico o siamo il linguaggio
amoroso che si riconsegna alla fonte dell'Amore. In quel momento avvertiamo che
il sacramento non è quello che dico, ma il sacramento è dire con tutto noi
stessi la gioia di un Altro che invade la nostra esistenza.
Quando l'uomo
vuole avvertire in verità il senso del perdono sa esattamente che la pienezza
del perdono è la gioia di far abitare un Altro in noi. Allora intuiamo come
Gesù (Paolo lo ha detto molto bene) vuole entrare talmente in noi da
trasfigurarci per cui, uscendo da qualunque mistero celebrato, dovremmo dire
con Paolo "non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me", Lui
mi ha amato e ha consegnato se stesso per me.
Diversamente che
differenza ci sarebbe tra il sacramento della penitenza e una seduta psico-analitica?
Credo che sia
importante entrare in questo mistero e quando l'uomo vive la luminosità di
questa presenza sempre la sua vita è straordinariamente rifatta.
Non è
l'eucaristia che stiamo celebrando?
Il fascino di
Gesù ci ha chiamati a questa eucaristia e la gestualità della donna è la nostra
gestualità nell'accostarci ai divini misteri. In quel pane e in quel vino
sentiamo l'amore ineffabile di Dio che fa nuova tutta la nostra persona.
In questo
orizzonte l'essere perdonati è cantare la bella espressione di Gesù dell'Apocalisse:
"Ecco io faccio nuove tutte le cose" o, come Paolo, "le cose
vecchie sono passate, ne sono nate di nuove".
Nell'atto nel
quale siamo amati da Dio non c'è né passato né futuro, si gusta la fecondità
del presente.
Questa è la
bellezza cui Gesù ci invita questa mattina per essere creature che cantano
sempre; anche con le lacrime cantano sempre, perché si sentono amati in modo
meraviglioso e in modo così ricreativo da essere uomini e donne ricchi sempre
di tanta speranza.
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