OMELIA
L'esperienza di Gesù, man mano camminiamo nel tempo alla luce della sua presenza, ci fa comprendere il mistero che avvolge la nostra vita.
Gesù questa mattina anche a noi, come ai discepoli, rivolge la domanda:
e voi chi dite che io sia?
Questa è una domanda che percorre continuamente la nostra esistenza
quando vogliamo verificare la profondità della nostra esperienza di fede ed è
interessante come l'evangelista Luca ponga la domanda in un contesto di
preghiera, in un contesto dove l'uomo trascende le dialettiche
dell'intelligenza per entrare in una fusione di cuore con il Maestro. La
bellezza delle domande di Gesù si risolve solo in una disponibilità totale ed
assoluta nell'azione di Dio. Ed è la professione di fede che caratterizza il
cristiano nel cammino della sua esistenza.
Il cristiano è una professione vivente di fede del mistero di Gesù.
Ma cos'è, in un contesto orante, una professione di fede?
Spesse volte quando utilizziamo la parola “professione di fede”,
andiamo inevitabilmente a un discorso di tipo letterario… “io credo in Dio Padre
onnipotente...”, ma se guardiamo attentamente il senso di quell'espressione “professione
di fede”, siamo davanti a un altro orizzonte: la formula letteraria è
l'espressione emergente di una vitalità personale. La professione di fede è un
simbolo di una vita interiore che elabora una dimensione spirituale che diventa
poi linguaggio.
La professione di fede non è una espressione letteraria, è il canto di
un cuore ricolmato da una presenza!
L'evangelista Luca ci colloca la domanda: “e voi chi dite che io sia?”
in un contesto di preghiera, in un contesto in cui l'uomo è totalmente invaso
dalla divina Presenza, è imbevuto del suo Spirito e non può non cantare!
La fede non si dice.. la fede si canta! La bellezza della fede è la
pienezza della realizzazione del cuore dell'uomo e questo ce lo ha detto molto
bene l'apostolo Paolo nel brano che abbiamo ascoltato e che riproduce la
bellezza della fede. La professione di fede, è l'espressione di ciò
che noi viviamo abitualmente e l'apostolo Paolo ce l’ha detto molto bene: dobbiamo
coniugare fede ed esperienza battesimale
per essere rivestiti di Cristo.
Tre sono i passaggi che qualificano veramente la dinamica della fede e
che ci deve caratterizzare: la fede è il gusto di Cristo che abita in noi.
È molto bello come l'apostolo Paolo nella lettera agli Efesini ci
offra quella bella pennellata: “Cristo abiti, mediante la fede, nei vostri
cuori!”
La fede è gustare la creatività personale di Gesù nella nostra
persona.
La fede è un cuore abitato da qualcosa di ineffabile... Quando l'uomo
vuole entrare nella vita della fede, deve sospendere l'intelligenza, aprire il
cuore e lasciarlo abitare da una persona.
La professione di fede è un simbolo, è un invisibile che diventa
linguaggio, è una interiorità abitata che diventa espressione. In questo Paolo - che è un innamorato di Gesù - non può non
partire da questa premessa: l'essere battezzati è nient'altro che dire, con il
linguaggio della vita, la mentalità di Gesù. Infatti il cuore, quando è vero
nelle sue pulsazioni interiori se non quando diventa il linguaggio della vita?
La vitalità interiore è veramente personalizzata quando diventa la vita con la
molteplicità dei suoi linguaggi.
Noi, tante volte, quando
sentiamo la parola battesimo andiamo subito al sacramento. Paolo è più profondo!
Il battesimo è una vivente relazione dove l'uomo, nel cammino della
vita, dice continuamente la signoria di Gesù. Vivere di fede è costruire la storia
nell’0esuberanza di una presenza.
Paolo, per aiutarci ad approfondire questa vitalità esistenziale usa
un'altra parola: l'essere “vestiti” o “rivestiti”. Quando sentiamo questa espressione, dobbiamo andare
alla visione della rivelazione scritturistica dove il vestito non è un abito,
ma è il linguaggio di una relazione. Guardiamo sempre (e forse l'abbiamo già
citata questa esperienza giudaica) a come si comportavano gli studiosi giudaici
quando bisognava interpretare la finale del capitolo secondo della Genesi. Qui
si afferma che i due progenitori, Adamo ed Eva, erano nudi e non se ne
accorgevano, ma non erano nudi! Erano rivestiti dell'abito della gloria di Dio,
perché quell'abito, della gloria di Dio, rendeva luminosa la loro corporeità;
l'abito è una presenza che entra nel profondo dell'uomo e lo riveste. Ecco
perché, quando Adamo ed Eva sono cacciati dal paradiso terrestre, Dio
confeziona per loro due abiti - che sono
gli abiti dei leviti - di quelli che vivono ogni giorno della fedeltà di Dio.
In questa luce scritturistica, intuiamo che l'uomo, in qualunque situazione
storica possa ritrovarsi, è sempre impregnato della fedeltà di Dio. Se non ha
più quell'abito di gloria del paradiso terrestre, ha l'abito della fedeltà di
Dio che è speranza. L'abito è il linguaggio storico di quello che avviene
nell'interiorità dell'uomo e, allora, intuiamo in questa visione come la
professione di fede sia nient'altro che l'espressione del lasciarci plasmare,
ogni giorno, dalla potenza creatrice di Gesù, e l'uomo che vive questa
meravigliosa esperienza della professione di fede è la creatività vivente di
Dio.
Quando l'uomo fa questa scelta di fondo della sua vita e quindi gusta
questa relazione intima con il Maestro che lo trasfigura continuamente,
accoglie il tutto e chi accoglie il tutto accoglie anche il particolare.
Se guardiamo attentamente il Vangelo, spesse volte, veniamo catturati
o dalla confessione di fede di Gesù che parla sua Pasqua o dalle espressioni con
le quali il brano evangelico si conclude, dimenticando che queste espressioni
si riescono a cogliere solo da innamorati da Gesù e ne accolgono in pienezza il
mistero, non perdendosi nei particolari. Quante volte il cristiano appesantisce
la sua esistenza perché deve portare la croce. L’interrogativo che dobbiamo
porci è questo: portiamo la croce con tutta la sua pesantezza deprimente o
stiamo seguendo il Maestro, cantandone il mistero di un amore veramente
incomprensibile?
Nelle dinamiche delle relazioni interpersonali, quando uno accoglie il
tutto che è l’altro, nel tutto accoglie anche il particolare, un determinato
momento della sua esistenza. Chi non è innamorato di Gesù non capisce la croce,
chi è innamorato di Gesù capisce la croce; chi ama il tutto di una persona ne
accoglie tutta l'esistenza con tutto ciò che la può caratterizzare. Questo
avviene anche nell'esperienza quotidiana. Quando intensamente si è innamorati
di una persona, non si guardano mai i difetti o le esigenze, c'è il rapporto
che qualifica la persona e, in quel rapporto amoroso, si accoglie il tutto!
Così è nella fede!
La professione di fede è vivere questa vitalità di Cristo che permea
tutto il sensitivo, il razionale, l'intellettuale, tutto ciò che è attivo nella
nostra persona. Noi, in questo momento, stiamo vivendo questo mistero: la vita
di Gesù in tutta la sua ricchezza e verità.
È molto bello come nella Chiesa del primo millennio, durante la
celebrazione eucaristica non si recitava mai la professione di fede, il Credo.
La motivazione è molto semplice. La
professione di fede espressa dal Credo apparteneva al linguaggio proprio della
celebrazione battesimale. La vera professione di fede era la preghiera
eucaristica dove, mentre si canta la fede gustiamo la fecondità di Dio, il pane
che diventa corpo, il vino che diventa sangue o meglio, il corpo diventa pane,
il sangue diventa vino perché l'uomo che nella sua vita canta la fede è un uomo
sempre trasfigurato. Nel cantare la fede ha luogo quella creatività divina che
dà all'uomo la bellezza e la capacità di camminare.
Gesù questa mattina ci ha radunato nell'eucaristia perché la bellezza
dell'eucaristia si costruisce nel cantare la fede, dove questa fede diventa
così trasfigurante per le nostre persone da regalarci il gusto della vita. Ogni
volta che nella nostra esistenza nascono degli interrogativi Gesù ci dice:
entra nell'orizzonte della libertà del Padre che è la preghiera, spalanca la
tua vita alla mia persona e, in quel momento, il buio diventa luce, la paura
diventa coraggio e il non senso diventa canto di vita! Allora credo che Gesù,
questa mattina, nella bellezza della celebrazione voglia veramente aiutarci a
superare quelle letture teoretiche, pragmatiche, sensitive che abbiamo della
fede, che tante volte sono quei corollari che oggi ci sono e domani non ci sono
più, essendo manifestazioni o linguaggi semplicemente culturali. Ritroviamo la
bellezza della fede come essere abitati dalla reale presenza del Risorto, e
quando il cuore è abitato da tale affascinante Mistero, il cuore diventa signore
davanti alle situazioni contingenti. Questa è la bellezza della fede, questa è
l'esperienza che vogliamo vivere in questa eucaristia in modo che, vivendo in
pienezza questa divina presenza, possiamo dire: è bello credere perché io non
sto portando una croce, ma il Cristo in me mi fa vivere il suo mistero di
salvezza.
La professione
di fede celebrata nei divini misteri è la luce calorosa che dà energia al
nostro corpo e al nostro spirito per maturare ogni giorno nel dono d’essere
uomini luminosi in Cristo Gesù.
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