Ger 1,4-5.17-19 1Cor 12,31-13,13 Lc
4,21-30
OMELIA
La presenza
di Gesù nella sinagoga di Nazaret ha creato stupore nella comunità che lo ha
ascoltato. I presenti hanno contemplato il Cristo, compimento della fedeltà di
Dio, attraverso la citazione del profeta Isaia. Nella loro ammirazione si
scopre il fascino della persona di Gesù, ma questo fascino era semplicemente
una emozione. Infatti la contrapposizione tra l'ammirazione iniziale del testo
evangelico e la sua conclusione ci dice chiaramente come quell'entusiasmo non
avesse un fondamento. Era un entusiasmo che diremmo psicologico, un entusiasmo
senza fondamento, e l'evangelista ci descrive questo cambiamento immediato
dall'essere affascinati da Gesù a volerlo uccidere. Tre sono i motivi che
emergono dalla parola di questa mattina che ci permettono di intuire come il
fascino di Gesù, tante volte, sia molto estrinseco e non generi novità di vita.
Il primo
aspetto che emerge chiaramente, è che i suoi ascoltatori rimangono legati a
Gesù di Nazaret, al figlio di Giuseppe e non sono capaci di fare un salto di qualità.
Sono legati al contingente e non hanno la capacità di entrare nell'Invisibile.
La persona di Gesù è un segno concreto di un mistero molto più grande; essi non
hanno percepito la grandezza all'interno della personalità di Gesù. E Gesù l'ha
detto molto bene quando ha affermato che nessun
profeta è accetto in patria sua perché accettare un profeta è accettare che
Dio parli, che Dio attraverso quell'uomo ponga la creatura in un atteggiamento
di conversione, di novità di vita, di ricerca, di desiderio di qualcosa che è
più grande delle attese degli uomini. Non si può conoscere veramente Gesù se la
dimensione visibile non si apre alla dimensione dell'Invisibile. La vita è
qualcosa di invisibile che noi incarniamo nelle scelte quotidiane. Gesù si è
fatto uomo, ma è il mistero di Dio che si è fatto storia, e quindi attraverso
l'approccio alla persona di Gesù noi siamo chiamati ad andare al di là del
visibile, di ciò che corre nel tempo, per lasciarsi illuminare di eternità
beata. In certo qual modo il cristiano vede Gesù, contempla il figlio di Dio,
vede la storia, gusta l'eternità. Questo è il primo elemento che ci permette di
comprendere quel cambiamento immediato che avviene negli ascoltatori della
sinagoga di Nazaret; non hanno il gusto di qualcosa di più grande che affascina
la vita. Lo stupore è la profondità di un cuore che nel tempo sa entrare in
qualcosa che è al di là di ogni comprensione umana.
Gesù, per
affermare che questo è il cammino da seguire ci ha offerto l'esempio della
vedova di Zarepta che, nell'incontro con il profeta Elia, fa una scelta che per
noi sarebbe assurda, ma corrisponde ad un vero cammino di fede. Questa donna
nell'incontro con il profeta Elia dice, davanti alla richiesta del profeta di
dargli da mangiare: Per la vita del
Signore, tuo Dio, non ho nulla di cotto, ma solo un pugno di farina nella giara
e un po' d'olio nell'orcio; ora raccolgo due pezzi di legna, dopo andrò a
prepararla per me e per mio figlio: la mangeremo e poi moriremo. Quella
donna, davanti alla richiesta del profeta, non guarda al suo disagio economico,
ma accoglie il profeta. Accoglie quell'invisibile che è il senso della vita. È
bello a questo punto visto il rapporto con il profeta Geremia. Il profeta è
colui attraverso il quale Dio parla alla storia dell'uomo attraverso la storia
dell'uomo. Come quella donna si è affidata al profeta ed essendosi affidata al
profeta ha avuto la possibilità di vivere fino a quando la carestia sarebbe
finita, così per entrare nella conoscenza di Gesù, l'amore all'invisibile ci
porta a fidarci. Così dice il Signore.
Il profeta è la parola di Dio, fidandoci del profeta che ci rivela Dio entriamo
nella fecondità di Dio. L'uomo che vive di invisibile non si lascia
imprigionare dalle realtà contingenti, ma spalanca l'orizzonte della sua vita
su qualcosa che è molto più grande: fidarci di Dio! ... di quell’assoluto che è
il senso portante della storia.
Questo
nostro fidarci di Dio, ed è il terzo passaggio del testo evangelico, passa
attraverso la figura di Naamàn il Siro. Questo personaggio, ammalato di lebbra,
che va dal profeta Eliseo e pensa che il profeta Eliseo gli faccia chissà quali
riti per poterlo guarire, ma lui, Eliseo semplicemente gli dice và a lavarti nel Giordano, il fiume
della vita ordinaria. La bellezza di accostarci alla grandezza di Dio non passa
attraverso le cose grandiose dal punto di vista psicologico, o come si dice
oggi mediante grandiose manifestazioni culturali, ma attraverso il vivere
dell'invisibile nella concretezza di ogni giorno. Il discepolo del Signore si
sente chiamato a vivere dell'invisibile gustando giorno per giorno
l'affidamento a Dio, attraverso l'amore alle realtà di tutti i giorni.
Se
riuscissimo a entrare in questo tipo di cammino, ci accorgeremmo che nelle
difficoltà noi saremo sempre vincitori. È molto bello come il brano si concluda
con Gesù che passando in mezzo a loro riprende il suo cammino verso
Gerusalemme. Dal punto di vista così concreto è un po’ impossibile che un uomo
in mezzo a una folla riesca a scappare, ma c'è tutto un mistero dietro la
narrazione: chi veramente vive di invisibile, chi veramente si affida nel
feriale, nel quotidiano, ai misteri di Dio, chi attraverso le cose di tutti i
giorni continuamente rinnova la bellezza dell'assoluto, vive la certezza che
attraverso la morte si passa nella vita, nel mistero della risurrezione e in
questa dinamica pasquale risulta sempre vincitore. In certo qual modo
l'evangelista in questa narrazione ci parla già della morte e risurrezione di
Gesù.
Nella
nostra esistenza quotidiana è sempre bello ritrovarci attorno al Maestro con
questi tre sentimenti che ci permettono di leggere la storia non secondo le
nostre attese, ma ci aiuta a interpretare la storia collocandoci in un contesto
molto più ampio, in questo mistero di Gesù, al quale affidarci nelle scelte
della vita concreta e ordinaria. Allora vivremo il mistero della Pasqua,
cammineremo in novità di vita e vivremo in modo dinamico quella meravigliosa
carità di cui ha parlato l'apostolo Paolo: una comunione di fratelli che nell'ordinario
vive dell'invisibile che è la presenza del Maestro. Questa sia l'eucaristia che
stiamo celebrando. Qui e ora stiamo vivendo la bellezza di un fascino che anima
le realtà di tutti i giorni, non sono le nostre parole che costruiscono la
nostra vita, ma la parola di Dio, che è Gesù morto e risorto, che nell'Eucaristia
ci rende creature nuove.
Viviamo
questa fiducia, questo coraggio, questa speranza e il sorriso di Dio sarà il
coraggio nelle lacrime di tutti i giorni.
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